Laccio a TvBlog: “Finalmente anche in Italia la messa in scena conta. Da Sanremo a X Factor passando per Cattelan e Raffaele, vi racconto il mio lavoro”
Al secolo Emanuele Cristofoli, Laccio è ora al lavoro su Da Vicino Nessuno è Normale, il nuovo programma di Alessandro Cattelan. E ci anticipa che tornerà a X Factor
Fonte: Mattia Guolo
Il termine “quadro” è ormai entrato tra quelli più utilizzati da chi parla di televisione e di messa in scena di una performance. Fino a qualche anno fa non era così: poi, complici i talent show e la necessità di rendere le esibizioni dei concorrenti dei “mini-show”, si è fatta strada l’idea di affiancare alla voce anche un “contorno” fatto di scenografie e coreografie, un “quadro”, appunto.
Dietro queste messe in scena ci sono dei professionisti che studiano ogni dettaglio e che devono fare in modo che quanto pensato s’incastri alla perfezione con tutto il resto del progetto televisivo. In Italia, uno dei maestri in questo senso è Laccio, nome d’arte di Emanuele Cristofoli, la mente dietro le performance di numerosi show televisivi e non delle ultime stagioni.
Qualche esempio? Laccio (e il suo gruppo di lavoro) è da anni all’opera come direttore artistico di X Factor -di cui seguirà le performance anche nella prossima edizione-, ma ha avuto anche l’onore e l’onere di curare l’aspetto coreografico dell’Eurovision 2022, quello organizzato in Italia, oltre che essere stato scelto come Director Choreographer alla cerimonia di apertura dei Mondiali Qatar 2022. E poi, in tv, ha curato recentemente la direzione artistica di Michelle Impossible & Friends, di Colpo di Luna e di Da Vicino Nessuno è Normale, il programma di Alessandro Cattelan attualmente in onda su Raidue e su RaiPlay.
Insomma, tanto lavoro per un comparto, come quello della coreografia e scenografia, che sta scoprendosi essere non più solo un semplice contorno al progetto intero. “Negli ultimi anni la messa in scena, per fortuna, è diventata un elemento in più”, ci ha raccontato Laccio tra una pausa e l’altra dello show di Cattelan. “Prima c’era solo la canzone, poi è arrivato il look, adesso l’insieme. In Italia ci siamo arrivati un po’ tardi. Ora questa concezione della performance sta prendendo piede: a volte fa bene, a volte no”.
Parliamo dell’ultimo show di cui ti stai occupando, Da Vicino Nessuno è Normale: qui il corpo di ballo, ad eccezione dei momenti in cui accompagna un artista, è vestito con delle tute gialle, quasi da operaio. Spesso si ritrova a stare sull’attenti dietro al ledwall principale che -e questa l’ho trovata un’idea molto divertente- viene aperto proprio da loro per far entrare gli ospiti…
“Abbiamo voluto dare un’idea diversa. Spesso, quando si fanno le prime serate, c’è la tendenza a recuperare gli immaginari del passato. In questo caso, invece, ci siamo chiesti che cosa poteva totalmente allontanarci da quel mondo e rimanere un po’ nel mondo di Cattelan, che gioca sempre sull’ironia e sulle provocazioni. E abbiamo preso questa direzione, che tra l’altro fa anche parte dello stesso Teatro Franco Parenti (dove viene registrato il programma, ndr): al suo interno, chi vi lavora ha questa specie di divisa rossa, come avete visto nell’anteprima della prima puntata. Ci siamo ispirati un po’ anche a loro. E devo dire che i ragazzi sono molto bravi, perché si alternano tra una performance e l’altra, facendo anche cose ‘di servizio’ che ci hanno permesso, insomma, di rendere più ironico il loro ruolo”.
A inizio anno, invece, sei stato al lavoro su Colpo di Luna con Virginia Raffaele. Anche in quel caso le esibizioni del corpo di ballo erano molto originali, con degli inserti tra un momento e l’altro della puntata in cui si esibivano in uno spazio circolare…
“Quei momenti sono stati studiati nel dettaglio, anche perché la maggior parte erano dei piano sequenza. È stato un lavoro che doveva camminare con le inquadrature”.
Una sfida ardua: unire alla tradizione che il progetto voleva portare in scena (su ammissione stessa degli autori, l’ispirazione era il varietà Teatro 10) la contemporaneità del ballo di oggi. Un modo per sottolineare che classico e moderno possono coesistere?
“Assolutamente. Abbiamo avuto l’idea di vestirci in modo classico per poi sorprendere il pubblico. È stata la chiave di una direzione creativa e artistica, ovvero provocare il pubblico facendolo entrare in un immaginario e poi ribaltarlo. È anche un gioco, altrimenti il mio lavoro sarebbe noioso”.
Ed ha funzionato anche perché si è inserito alla perfezione nell’idea del progetto nel suo complesso…
“Quando in un progetto si parte tutti insieme, il progetto ha chiaramente una forza. Quando, invece, i reparti sono un po’ scollati, si intuisce subito. Nel caso di Colpo di Luna c’è stata una partenza all’unisono dei reparti, che ha permesso di avere un immaginario chiaro, leggibile e che ha aiutato la lettura del programma”.
Ed è quello anche che è successo con la direzione dell’edizione italiana dell’Eurovision Song Contest nel 2022. Hai curato tu la direzione artistica di questo evento importantissimo. È una manifestazione in cui il quadro scenico conta veramente tanto, in ogni singola esibizione, anche perché deve veicolare un messaggio che, cantando in più lingue, il pubblico altrimenti non riuscirebbe a cogliere. Ma non c’è il rischio -sia nel’Eurovision che più in generale- che a volte che la messa in scena vada ad oscurare la canzone?
“Il rischio è proprio dietro l’angolo. Però la bravura di chi fa questo mestiere deve essere di riuscire a trovare un equilibrio. È una cosa che faccio soprattutto a X Factor: l’obiettivo è quello di non oscurare né la canzone né il ragazzo, ma al contrario dargli una forza in più. Quando questo non succede, quando tutto il resto diventa più importante, è un problema. Ci si può cascare, bisogna mettere da parte l’ego creativo e lasciare spazio invece al reale carattere del ragazzo, alla sua vera identità”.
Dicevamo che negli ultimi anni la cura scenica della performance ha assunto maggiore valore nello spettacolo italiano. Secondo te chi o cosa ha permesso questo passo in avanti?
“Sicuramente X Factor ha contribuito, così come The Voice nelle prime stagioni (di cui Laccio è stato coreografo, ndr). Però era qualcosa che rimaneva slegata dalla vera industria musicale, restava legata al programma. Nel momento in cui alcuni artisti hanno sentito l’esigenza di fare qualcosa di differente, le cose sono cambiate: ad esempio Laura Pausini. Una volta mi ha detto ‘Io ne ho fatte tante di cose. Ho bisogno di rifarle, ma integrando dentro una parte di spettacolo’. Ecco, quando gli artisti più grandi hanno cominciato a inserire lo spettacolo nei loro concerti, quello è stato il momento in cui è stato dato il via a questo tipo di linguaggio”.
Prima di passare al capitolo X Factor vorrei tornare sull’Eurovision. Cosa ne pensi dell’esibizione che ha vinto, quella di Nemo con “The Code”?
“La sua performance mi è piaciuta molto. Io sono per il minimalismo in generale, quindi credo che in scena ci debba essere un’idea e che debba essere forte. Quando le idee diventano più di una, secondo me rischiano di diventare, come dicevamo, qualcosa che mangia la canzone o l’artista. Nel caso di Nemo c’era un’idea ed era molto forte. E la sua energia è arrivata, lo abbiamo visto tutti: è stata una messa in scena che non ha tolto al ragazzo, ma lo ha valorizzato. Da parte mia c’è una totale approvazione”.
E Angelina Mango?
“L’ho trovata molto brava, ha un’energia pazzesca. Devo dire che da quello che avevo visto nelle prove non ero rimasto entusiasta della sua performance. Invece, quando l’ho vista live mi ha convinto al 100%.”
Invece adesso parliamo di X Factor. Innanzitutto puoi confermarci che curerarai la direzione artistica anche nella prossima edizione?
“Sì, ci sarò. In questo momento sto rimettendo in piedi la squadra, decidendo l’organizzazione… Posso anticipare che ci saranno delle novità dal punto di vista della mia squadra, un incremento di figure utili al percorso dei concorrenti”.
Si punterà ancora di più sulla messa in scena?
“Si lavorerà di più sui ragazzi, cercheremo di concentrarci su quello che può essere il loro percorso, sia estetico che discografico”.
Come si svolge la preparazione delle esibizioni di puntata? Immagino che sia un lavoro molto complicato, anche perché si parla di tante performance da allestire in una settimana, puntata dopo puntata…
“In effetti abbiamo i tempi strettissimi. La difficoltà non è tanto studiare il ragazzo, ma è riuscire a lavorare sulla traccia musicale che lui realmente porterà in scena. Non possiamo lavorare su delle ipotesi, quindi dobbiamo rendere credibile quello che sarà in scena. E questo succede settimana dopo settimana. In realtà abbiamo un margine di poco più di una settimana, perché ipotizziamo già quello che potrebbe succedere se il ragazzo passa alla puntata successiva. Poi, però, può cambiare la scelta dei giudici: ad esempio, se il concorrente ha cantato un pezzo lento ed è stato criticato, magari il giudice mette in discussione la scelta di un altro lento, quindi bisogna cambiare brano… È veramente complicato. Facciamo una riunione, io do delle suggestioni sulla messa in scena e tutti iniziano a lavorare con dei tempi veramente strettissimi”.
È mai capitato di dover rifare tutto all’ultimo minuto o quasi?
“Succede, sì, per fortuna raramente. Ci sono occasioni in cui il giudice cambia idea: d’altra parte ha la responsabilità di quello che va sul palco, lo vede il giorno prima e deve dare l’ok, anche perché sarà lui o lei che poi dovrà difendere quello che c’è in scena. È successo una volta con Fedez, una volta con Morgan nell’ultima edizione: non ci siamo capiti, per cui abbiamo dovuto ricambiare il giorno prima alcune cose con molta difficoltà, abbiamo anche registrato la sera stessa dei contenuti da mandare in video, i grafici hanno lavorato la notte… Per fortuna succede raramente, ma succede: in quel caso bisogna essere tutti pronti a trovare una soluzione. Ma X Factor ha un team di professionisti veramente eccezionali, di grande esperienza, che permette di fare cose che in altre occasioni sarebbe non dico impossibile, ma quasi”.
A proposito di Morgan, nell’ultima edizione aveva avanzato delle critiche secondo cui alcuni cantanti sarebbero stati favoriti anche sulla base di alcune coreografie. Siete riusciti a chiarirvi?
“In realtà no: il momento in cui volevo chiarirmi era un momento veramente caldo tra lui e Fedez dietro le quinte, quindi non c’è stata occasione. Sono state delle dichiarazioni infondate, per cui non c’era neanche motivo di giustificarsi, non c’erano basi sulle quali quelle critiche fossero fondate”.
X Factor, Eurovision, ma lo show per eccellenze in Italia è Sanremo. Per il Festival hai realizzato un omaggio a Raffaella Carrà e hai lavorato all’esibizione Laura Pausini per il brano “Scatola”. Lavorare al Festival è più semplice o più complicato rispetto a uno show che ha maggiore continuità nelle settimane?
“È stato sicuramente più complicato, a Sanremo la parte più importante è la canzone. L’Ariston non è un teatro attrezzato per fare determinate cose, quindi portare dentro un linguaggio come abbiamo fatto, soprattutto con Laura, è stato molto complicato, non era semplice spostare tutti quegli elementi di scenografia. Ma quello ci ha permesso poi di avere la soddisfazione che abbiamo avuto: fosse stato troppo semplice da fare non saremmo stati ugualmente soddisfatti! Poi ti svelo una cosa, di cui nessuno si è accorto: appena partita l’esibizione di Laura, i neon che la circondavano non si sono accesi. Io ero sotto il palco: non dico che stavo per avere un infarto, ma quasi… Dopo cinque secondi sono partiti, per fortuna, anche perché avevo fatto spegnere tutte le luci, anche questa un’eccezionalità per un palco come quello di Sanremo. Ma alla fine è andato tutto bene, sicuramente quell’esibizione è diventata una reference per tanti”.
Hai fatto cenno all’Ariston: da anni c’è chi sostiene che sia ora di abbandonarlo per spostare il Festival in una struttura più grande. Tu che ne pensi?
“Non ne sono convinto: credo che Sanremo sia Sanremo perché è legato a un mondo e a dei luoghi che, in quel modo, sarebbero abbandonati. Piuttosto, si può pensare di fare un’altra manifestazione differente, ma Sanremo deve rimanere così com’è. E lo dico a discapito del mio lavoro, perché lavorare in un teatro piccolo come l’Ariston non è facile. In caso diverso, sarebbe davvero un altro tipo di show, si potrebbero pensare a situazioni totalmente differenti: ma a Sanremo c’è una tradizione che va rispettata”.
Prima di diventare ballerino e coreografo hai studiato interior design: in fin dei conti, sempre di riprogettazione degli spazi di parla, siano statici o dinamici. Cos’è che, di quegli studi, ti sei portato maggiormente dietro nel tuo lavoro?
“Sicuramente lo studio dell’arte, ma anche gli studi sulla redistribuzione degli spazi. Mi hanno permesso di dialogare meglio con i reparti della scenografia, aiutare a trovare delle soluzioni… Mi hanno reso facile le comunicazioni con vari reparti, mi ha permesso di avere maggiore lucidità”.
Vogue nel Regno Unito ti ha definito un giovane talento “con un viso da angelo del Botticelli e con lo spirito di Johnny Rotten”. Ora, guardando a ciò che hai fatto in questi anni, manterresti questa definizione o la cambieresti?
“No, è una definizione che mi ha sempre divertito e mi diverte ancora! In fondo, mi ha anche influenzato: non voglio cambiare nulla del passato, sennò non sarei chi sono oggi, nel bene e nel male”.