Il Re 2, il regista e gli sceneggiatori: “Lo spazio determina lo stile e le inquietudini dei personaggi”
Otto nuove puntate in partenza il 12 aprile su Sky e NOW
“L’inferno è pieno di seconde stagioni” diceva Mattia Torre citato da Luca Zingaretti durante la presentazione di Il Re 2 dal 12 aprile su Sky e NOW in streaming, perché le seconde stagioni non sempre soddisfano le aspettative create dalla prima stagione. Gli sceneggiatori Peppe Fiore e Alessandro Fabbri, insieme al regista Giuseppe Gagliardi, sono riusciti a evitare l’inferno aprendo il Re a una prospettiva diversa. L’introduzione di una storyline spy-thriller legata alla vicenda del magistrato Vittorio Mancuso, oltre a essere l’artificio narrativo che permette di far uscire Bruno Testori dal carcere facendolo rientrare da direttore, è utile anche per allargare lo sguardo oltre le mura del San Michele.
Alessandro Fabbri, new entry del team di scrittura ci ha spiegato che questa idea è arrivata fin da subito: “Sapevamo che volevamo andare lì, volevamo raccontare il conflitto di Bruno con un detenuto in particolare e non con un gruppo di detenuti, volevamo dare tante sfumature a questo nuovo personaggio. Però c’era anche il gusto di voler riprendere come era finita la prima stagione, quell’idea di Bruno dietro le sbarre per poi intraprendere il grande cammino di stagione 2. Praticamente è stato un unico flusso di idee tra i vari elementi della serie”.
Peppe Fiore ha sottolineato l’onore di lavorare con Fabbri ma anche come il suo contributo sia stato cruciale per spostare la storia dal giallo mystery della prima stagione di Il Re allo spy della seconda anche perché è “un genere che frequento poco”. Sicuramente non si è perso quel senso di oscurità e claustrofobia tipico dei prison drama e della prima stagione: “Mi piace sempre dire che è una serie che si fa da sola, lo spazio determina lo stile” ha detto il regista Giuseppe Gagliardi “L’ambiguità dei personaggi, le loro inquietudini sono già insite nel contesto in cui è ambienta, i chiaro scuri, la possibilità di usare lenti anamorfiche che deformano il viso del protagonista o quello del magistrato che si ritrova in carcere avendo prima una condizione di potere, sembra una sorta di allucinazione. E’ come lo spazio influenza le reazioni”.
Il carcere però è sempre presente così come i suoi diversi gruppi sociali ed etnici che lo popolano e che per Peppe Fiore hanno: “Quasi la funzione del coro nella tragedia greca fanno da corollario. Una delle caratteristiche genetiche del concept iniziale era di tenersi lontani dall’idea dei prison drama dello scontro tra gang, banalmente perché ci piace soffermarci sul personaggio di Bruno ed è il motivo per cui a differenza degli altri prison drama il focus è sulle guardie del direttore e non sui detenuti. Ci interessava il racconto tragico del personaggio. La caratterizzazione della popolazione è lasciata molto sulla superficie”.
Giuseppe Gagliardi: “In Italia ci sono 4 carceri in cui c’è l’area islamica. Quando siamo intervenuti nella messa in scena sulla ricerca dei volti, siamo andati sulla direzione della verosimiglianza, ci siamo lasciati guidare dagli attori di fede islamica, il capo gruppo delle comparse è andato a cercare tra figuranti che potessero anche davvero pregare e rendere tutto meno macchietta, raccontando così un aspetto che esiste.”