Essere contemporanei e al tempo stesso strizzare l’occhio ad una delle più classiche formule dei racconti per piccolo e grande schermo, ovvero le buddy stories. Il Clandestino, in fondo, fa questo, sfruttando la chimica che nasce fin dal primo episodio tra i due personaggi principali e intessendo una storia che viaggia sui binari della detection, incontrando così un pubblico pronto a seguire le nuove avventure di questa serie.
Il Clandestino, la recensione
L’operazione della nuova serie tv di Raiuno e RaiPlay, sebbene non presenti nulla di estremamente nuovo, è comunque molto originale per la fiction Rai, solitamente abituata a proporre serie investigative in cui la chiave comedy è affidata a elementi legati a un nucleo familiare.
Ne Il Clandestino il protagonista Luca Travaglia (Edoardo Leo) non ha una famiglia: vive da tre anni a Milano, dove si è trasferito da Roma dopo un attentato in cui ha perso la vita la fidanzata, che si pensa possa averlo ingannato per mettere in atto un gesto suicida ed approfittando del suo ruolo di ispettore capo dell’Antiterrorimo.
Luca si è isolato dal mondo, vive da clandestino, portandosi dietro le ferite di un tradimento che non guariscono: il personaggio ideale per risolvere casi in cui il rischio è alto, tant’è che Travaglia agisce come se non avesse nulla da perdere.
Il “twist” della serie arriva però quando Palitha (Hassani Shapi), proprietario cingalese di un’officina che lo ospita abusivamente, decide di approfittare delle sue doti e lo spinge a intraprendere un’attività di investigazione non autorizzata, rivolta a tutti coloro che sono in cerca di una verità ma che non possono o non vogliono dare nell’occhio.
Il Clandestino, insomma, nasce nel momento in cui nasce la strana coppia Luca-Palitha: il primo burbero, silenzioso, senza obiettivi; il secondo concreto, venale, in cerca di un riscatto dopo essersi trasferito in un Paese che lo ha trattato (e lo tratta) come un ospite a cui non è concesso chiedere più di quello che ha.
La formula che ne viene fuori è quella di due personaggi capaci, nel corso degli episodi, di cementificare il loro rapporto facendo delle differenze il loro punto di forza: due amici e “colleghi” che, come nella più classica delle buddy stories, imparano a sopportarsi con lo stesso ritmo con cui il pubblico impara a conoscerli.
Grazie a questa idea, che ci riporta indietro nel tempo a mitiche serie tv anni Ottanta (il camioncino d’epoca su cui gira la coppia non può non fare pensare a una versione molto riveduta molto corretta della Gran Torino su cui sfrecciavano i protagonisti di Starsky & Hutch) in cui il protagonista aveva sempre una spalla fidata su cui contare, Il Clandestino scopre e riscopre un genere che sulla tv italiana non ha mai trovato particolare spazio.
Chi guarda Il Clandestino, inizia a farlo per la parte più poliziesca, ma poi rimane per altro: che sia per questa improbabile coppia che, però, caso dopo caso evidentemente funziona, o per il racconto in una Milano lontana dal glamour e più vicina alla periferia o perché in fondo tutti abbiamo sognato di lasciare tutto e iniziare una nuova vita, poco importa.
Ecco che, allora, ripescando dal passato ma guardando all’oggi Il Clandestino sa creare una formula più che adatta a Raiuno: una storia giovane, semplice, intrigante ma soprattutto con in primo piano il valore dell’amicizia e il suo potere di fare sentire tutti a casa propria.