Mameli, la nascita dell’Inno d’Italia con il trattamento Bridgerton. Gullà/Bixio scene-stealer
Linguaggio moderno e veloce, personaggi freschi e regia d’azione trasformano il costume drama come già visto all’estero
È stato presentato come “la prima rock star italiana”, tanto che si narra che avesse fatto davvero degli autografi alle sue numerose ammiratrici (e no, Sanremo non era ancora stato inventato). Goffredo Mameli senza vincere un Festival o un talent è stato l’italiano -ok, tecnicamente non c’era ancora l’Italia- a creare il primo tormentone del nostro Paese: l’Inno nazionale. Partendo da questa prospettiva, Mameli è riuscita a costruire una storia che guarda al costume drama ma strizza l’occhio ai linguaggi più moderni, ottenendo un risultato strano sì, ma vincente.
La recensione di Mameli
La fiction di Raiuno e RaiPlay appartiene, senza troppi giri di parole, a quelle serie storiche che si divertono a contaminare i generi. A vedere il giovane e affascinante Mameli (Riccardo De Rinaldis Santorelli) prima struggersi per la perdita dell’amata Geronima (Barbara Venturato) e poi buttarsi a capofitto nell’impresa di fare l’Italia non ci vengono in mente polverosi libri di Storia, ma una puntata di Bridgerton o di The Great.
Il merito (o la colpa, a seconda dei gusti: noi optiamo più per il primo) dei registi Luca Lucini e Ago Panini è stato quello di prendere queste figure storie e trasformare in personaggi pop, che sapessero con i loro ideali sovrapporsi alla loro generazione corrispondente del nostro presente. Ecco che, allora, l’azione non è mai statica ma ci si muove sempre, il senso di fratellanza viene sostituito da quello di una “gang” di amici e i dialoghi -pur infarciti di termini oggi desueti- sono sani portatori di un entusiasmo che sì, avremmo potuto trovare anche a metà Ottocento.
Il Mameli voluto da Rai Fiction e Pepito Produzioni è insomma figlio di una nuova consapevolezza, quella che mette i più giovani di fronte alla decisione di guardare una serie solo se questa ha qualcosa di vero da comunicargli. E la Storia di come il nostro Paese sia nato diventa così un racconto di formazione, in cui dolore, crescita e amore sono i veicoli tramite cui si insegna la Storia.
Che in quel della tv di Stato abbiano capito che costume drama non significa noia a tutti i costi? L’esempio recente de La Lunga Notte e Mameli sembrano dimostrare di sì: si può viaggiare nel tempo senza dimenticarsi che le epoche passate e i personaggi che le vivono devono parlare ad un pubblico contemporaneo. Lo abbiamo capito anche in Italia, dopo che lo avevano capito e sperimentato con successo altrove.
E a proposito di linguaggi contemporanei, mai avremmo pensato che in Mameli ci fosse uno scene-stealer. E invece, Amedeo Gullà riesce a rubare la scena in più occasioni grazie al suo Nino Bixio: un corsaro dall’accento genovese, sempre pronto a mettersi in gioco, a buttarsi nella mischia ma a farsi serio quando necessario. Difficile non notarlo quando in scena: un personaggio così riuscito da farti venire voglia di vederne uno spin-off.