Simone Jurgens: “Ero Carletto, quella canzoncina oggi sarebbe improponibile. Ora mi occupo di post-produzione audiovisiva”
Intervista a Simone Jurgens, che impersonò Carletto di fianco a Corrado: “Visto con gli occhi di oggi ha un certo fascino e fa sorridere”. Le esperienze dietro le quinte della tv e l’attuale impegno nella post-produzione audiovisiva
Ritrovarsi sotto i riflettori ad appena quattro anni, al fianco di Corrado Mantoni, uno dei volti più amati della tv. “Scelsero me perché ero l’unico bambino a disposizione”, confessa Simone Jurgens, figlio di Stefano, tra gli autori del brano ‘Carletto’, che avrebbe spopolato durante la terza edizione di Fantastico.
“Corrado era come un parente, lo chiamavo ‘zio’ – afferma Simone a TvBlog – lui e mio padre lavoravano assieme da tempo, avevano collaborato a Domenica In, tra l’altro nella primissima stagione a colori. Si vedevano tutti i giorni e si frequentavano anche nei fine settimana, fuori dal lavoro”.
Motivo per cui, quando si trattò di cercare un fanciullo che duettasse col conduttore, la decisione apparve scontata: “Ero piccolissimo. Dovetti imparare la canzone e mi aiutò mia madre, che era stata una corista in parecchi dischi. Una volta memorizzato il testo andai ad inciderlo in studio di registrazione. In seguito realizzai il famoso video, in playback, con Corrado che mi portava per mano”.
I ricordi sono comprensibilmente poco nitidi. Nonostante ciò, Simone ha fissato alcuni dettagli: “Vivevamo a Roma, ma Fantastico si faceva a Milano. Ci trasferimmo per sei mesi in un residence e porto nella mia mente i corridoi della casa, così come i giocattoli che mi venivano comprati. Non pensavo di vivere qualcosa di importante, per me era tutto abbastanza normale”.
In origine ‘Carletto’ era stata scritta per Mike Bongiorno.
L’ho saputo dopo. Non ho mai pensato a come sarebbe potuto essere un duetto con lui. Come Corrado, Mike era un personaggio mitico e avrebbe saputo cimentarsi nella parte. Essendo pignolo, sarebbe stato più adatto nei panni del papà che sgrida il figlio, ce l’avrei visto bene. Corrado, invece, era una figura più bonaria.
Il successo fu incredibile e il singolo conquistò il disco d’oro.
Vendette milioni di copie. Corrado era molto contento e ogni volta che il brano risultava primo in hit parade si festeggiava. Andava fiero di quel traguardo, era riuscito ad ottenere un piccolo successo nel mondo discografico senza saper cantare. Nella canzone parlava e per questo si vantava di essere stato il primo a portare il rap in Italia.
Il tormentone oltrepassò i confini nazionali.
Sì, ebbe successo anche all’estero. Fu prodotta una versione portoghese, ricordo un disco con Carlitos scritto sulla copertina. Ma il bambino che coinvolsero non ero io. Non ho mai cantato in altre lingue.
Come affrontasti la successiva notorietà?
Mi fermavano per strada e finiva lì. Non esistevano i selfie e in pochi avevano una macchina fotografica a portata di mano. Inoltre, non sapendo ancora scrivere non potevo firmare nemmeno gli autografi. Anche se non sembrava, ero un bambino piuttosto timido. La cosa non mi infastidiva, ma rimanevo perplesso. Non ero contento quando bloccavano me anziché i miei amici. Poi, crescendo, hanno smesso di riconoscermi e l’eco si è placata.
Sei consapevole di aver contribuito a scrivere un pezzo di storia dello spettacolo?
Dopo quarant’anni me ne rendo conto. Di recente alcune persone sono venute da me con il disco di Carletto per farselo autografare. Parliamo di gente che all’epoca uscì di casa per andare a comprarlo, a differenza di oggi dove contano gli stream su Youtube e Spotify. C’era un’attenzione diversa.
Il Simone quarantacinquenne con che sentimento guarda il Simone bambino?
Il video viene spesso ritrasmesso a Techetechete e mi fa piacere. Visto con gli occhi di oggi ha un certo fascino e fa sorridere. Un conduttore che prende per mano un bambino e inventa questa filastrocca è una roba così ingenua che probabilmente nella tv attuale non passerebbe più, apparirebbe ridicola. Negli anni ottanta c’era questo ed altro, adesso sarebbe improponibile.
Forse solo Gerry Scotti saprebbe impersonare il ruolo di Corrado.
Esatto. Gerry ci tiene a portare avanti lo stile del conduttore ‘vecchia scuola’. Però è una questione di contesto. Quel clima sarebbe impossibile da ricreare. Le sigle stanno sparendo, per questioni di tempo e per assenza di varietà. Una volta avevano l’orchestra, i balletti. Oggi o durano dieci secondi, o non ci sono affatto.
In tv ci sei comunque tornato, seppur dietro le quinte.
Dopo il liceo classico mi iscrissi al Dams, che non ho terminato. Ho cominciato presto a lavorare e ho preferito studiare da vicino come si scrivevano e sviluppavano i programmi. Quel mondo mi affascinava e ho iniziato facendo di tutto, soprattutto come collaboratore ai testi. Scrivevo le domande dei quiz, le scalette, le battute, i lanci pubblicitari per i presentatori. Ho imparato parecchio.
Il primo vero impegno fu a Tira e Molla.
Ci arrivai per caso. Andavo ancora a scuola e stavo per finire il liceo. In estate mio padre stava scrivendo le parodie musicali destinate a Laurenti. Avendo orecchio, affiancai papà e gli diedi una mano. Luca Tiraboschi, che era produttore esecutivo, mi offrì un’opportunità facendomi un contrattino. Un compenso piccolo, ma importante per un ragazzo di appena 18 anni. Figurando anche Corrado tra gli autori, mi sentii come a casa.
Il programma mutò in corsa. Partì in un modo e si trasformò radicalmente col passare dei mesi.
Io entrai in squadra a metà, quando il gioco era già cambiato. Paolo (Bonolis, ndr) aveva preso l’iniziativa inaugurando le telefonate da casa. Da bravo presentatore si trasformò nel conduttore che conosciamo ora, con quel modo di fare unico.
Rimanesti anche quando subentrò Giampiero Ingrassia. Cosa non funzionò?
La rete volle continuare anche dopo l’addio di Bonolis. Giampiero fu bravissimo a prendersi quel peso sulle spalle. Ma oltre al padrone di casa era cambiato pure il programma. Era diventato un’altra cosa. Non fu colpa di Ingrassia, che reputo un professionista molto bravo.
Ritrovasti Bonolis ad Italiani, show che si rivelò un flop.
Era un programma molto divertente. Forse c’erano troppe cose dentro. Non era molto differente da Ciao Darwin, ma credo fosse un po’ incompleto. Venne percepito come caotico e confusionario, non venne capito.
Andò in onda a ridosso dell’attacco alle Torri Gemelle. Il contesto influì negativamente?
Può darsi, il periodo influisce. I successi e i flop spesso si legano ai momenti storici.
Con Disney Club approdasti alla televisione per ragazzi.
Conducevano Giovanni Muciaccia e Carolina Di Domenico. Fu uno degli ultimi programmi destinati ai ragazzi, pian piano non se ne fecero più, perlomeno sulle reti generaliste. Giravamo a Cinecittà, tra l’altro vicino all’ex studio di Tira e Molla. Non mi spostai di molto. Era un altro tipo di pubblico, ma mi divertii. Mi occupavo dei blocchi musicali, gli artisti venivano a cantare in studio e li seguivo io, prendevo contatti con loro, organizzavo le situazioni. Un impegno che portai avanti anche a Buona Domenica e Questa Domenica. Una volta i cantanti facevano a gara per venire in tv, era l’unica strada per promuovere i loro lavori.
C’eri quando nel 2002 La Corrida tornò in video per la prima volta senza Corrado.
Ero ufficialmente collaboratore ai testi e autore di tutte le sigle, assieme al maestro Pregadio. Il brano era di mio padre e quando lo lessi composi una melodia che feci ascoltare in riunione. Piacque a tutti e Pregadio la arrangiò. Trenta elementi suonarono il mio pezzo, fu un momento molto emozionante.
Di tutti i conduttori che si sono succeduti, Scotti è quello che più si è avvicinato allo stile di Corrado. Sei d’accordo?
Sì, concordo. Era un suo volere, non volle mai strafare. E’ stato quello che più ha ricordato il suo modo di fare.
Sempre a proposito di Corrado, sei stato tra gli autori del ‘reebot’ de Il pranzo è servito, nel 2021.
Fu un esperimento che vollero fare, stranamente sulla Rai. Cercarono mio padre, ma essendo a Mediaset non poteva. ‘Almeno un Jurgens prendiamolo’ disse Marina Donato. Mi conoscevano e contattarono me.
Fu un’edizione senza pubblico in studio, per colpa della pandemia.
Un peccato. Flavio Insinna fu bravissimo, si comportava come se ci fosse. Andammo in onda in estate ottenendo buoni ascolti. Superammo la media di rete dell’anno precedente, tuttavia l’orario non aiutò. Avrebbero potuto collocarci a mezzogiorno, al contrario qualcuno decise per le 14. Bisognava aspettare che le persone tornassero dal mare. Sono convinto che se fosse stato trasmesso alle 12 sarebbe andato meglio. Ricevemmo tante telefonate per il gioco da casa. Si potrebbe riproporre, dipenderà dai piani alti.
Oggi di cosa ti occupi?
Per anni mi sono cimentato in adattamenti cinematografici e di serie tv americane. Mi sono occupato dei dialoghi destinati al doppiaggio e lo faccio tuttora. Parallelamente sono entrato nella Media Fenix, società che si occupa di post-produzione audiovisiva. Curiamo tutto, dai sottotitoli alle audiodescrizioni per i non vedenti.
La tv è un capitolo chiuso?
Finché non si paleserà un progetto interessante sarà difficile tornare. I programmi hanno i loro gruppi di lavoro, ognuno ha i suoi collaboratori. Io sono fuori in questo periodo e non sarebbe semplice rientrare. Vedremo. Certo è che la televisione non è più l’unica fonte di intrattenimento, ci sono tantissimi altri modi di fruizione, più comodi, veloci ed immediati. La tv la subisci e non interagisci, mentre con le piattaforme puoi ormai vedere ciò che vuoi, come vuoi e quando vuoi. Non è importante il mezzo, bensì il messaggio. Il pubblico ha bisogno di qualcosa e tu glielo devi fornire.