Marta Forghieri a TvBlog: “Ero la figlia di Dorelli e Goggi in Due per Tre. Oggi lavoro nella moda”
Marta Forghieri: “Cominciai a lavorare da bambina per la televisione e per le riviste. Uscivo da scuola e andavo direttamente sul set di Due per Tre. I compiti li facevo nei momenti di pausa. Mi è sempre piaciuto il mondo del design, lo spettacolo non era in cima ai miei interessi”
Cresciuta a pane e set e adesso lontana dai riflettori, per sua volontà. “La notorietà non mi piaceva, non amavo essere riconosciuta”, confida Marta Forghieri, che in tv fu soprattutto Martina Antonioli, la figlia maggiore di Johnny Dorelli e Loretta Goggi nella celebre sitcom Due per Tre.
Sessanta episodi complessivi per un totale di tre stagioni, che ancora si possono beccare in replica su qualche canale Mediaset, a riprova di quanto certi prodotti siano capaci di entrare indelebilmente nell’immaginario collettivo, diventando eterni. Ma in realtà si cresce, ci si evolve e Marta oggi ha letteralmente cambiato pelle, e lavora nella moda come designer.
Nata a Milano nel 1980, Marta si avvicinò fin da piccolissima al mondo della pubblicità. “Ho cominciato a lavorare da bambina per la televisione e per le riviste – racconta a TvBlog – ho preso parte a parecchie campagne e servizi redazionali. Tra i tanti spot realizzati ci sono quelli per il detersivo Ariel e la Nesquik”.
Tutto partì da un incontro avvenuto per strada: “All’epoca come oggi c’erano le agenzie per attori e modelli e quelle specializzate nel bambino e fermarono mia madre per la strada. Coinvolsero inizialmente mia sorella più grande, poi me. Da lì in poi iniziai a fare casting ogni volta che c’era una richiesta. lavorando spesso con gli stessi fotografi o stylist, capitava spesso che ti richiamassero”.
Diventata adolescente, ecco il passaggio alla televisione. “Fu automatico, non avevo un fisico da modella. Presi parte a diverse trasmissioni e spot tv quando alla metà degli anni novanta feci il provino per Due per Tre. Io, Alessandro e Margherita (gli altri fratelli della serie, ndr) eravamo tre ragazzini, tutti in età scolare, quindi si girava nel pomeriggio. I ciak si svolgevano in studio, completamente al chiuso. Un episodio si metteva in piedi in 2-3 giorni”.
Riuscivi a far convivere le riprese con l’impegno scolastico?
Frequentavo il liceo artistico sperimentale ed era abbastanza pesante, avevo quasi tutti i pomeriggi occupati. Uscivo da scuola e andavo direttamente sul set. I compiti li facevo nei momenti di pausa. Arrivavo a fine giornata abbastanza stanca. Ciò non compromise il mio rendimento, ma fu faticoso.
L’esperienza si prolungò per tre stagioni.
Tre stagioni che però non corrisposero a tre anni. Veniva girato un ciclo di episodi, si faceva una pausa e si ripartiva. Le scene erano piuttosto brevi, essendo una sitcom. Leggevamo il copione assieme e imparavamo le battute in tempo reale, non dovevo studiare di notte. A differenza del cinema, dove giri più volte da diverse angolazioni tra campi e contro-campi, una sit prevede quattro telecamere che riprendono contemporaneamente la scena. Non era così complicato.
Come fu lavorare con due big come Dorelli e Goggi?
Sapevamo chi fossero, ma da parte nostra non c’era soggezione. Erano persone molto alla mano, amichevoli ma al contempo professionali, come è normale che sia quando si lavora.
Qualche tempo prima eri sbarcata al cinema con Papà dice messa, al fianco di Renato Pozzetto e Teo Teocoli.
Facevo le superiori, avevo 16 anni. Alcune scene dovevano essere girate di notte, fu impegnativo. Le riprese durarono due mesi e a scuola ci andai poco. Fu un’avventura tanto intensa quanto interessante e bella.
Con Pozzetto realizzasti anche uno spot del panettone Motta. Poi, a cavallo del duemila, arrivò la pubblicità della Tim.
Ero all’Università. Andai ad un casting e mi presero. Il regista era Giuseppe Tornatore e anche altri se non ricordo male, dato che erano vari episodi. Come guest c’era Andrea Bocelli, anche se io non l’ho mai incrociato. In seguito venni scelta per la pubblicità del servizio civile, mentre l’ultima esperienza in assoluto fu nella soap Vivere. Interpretai per qualche episodio la fidanzata di Marco Falcon.
A quel punto dicesti “basta”. Perché?
Studiavo e dopo qualche tempo sarei partita per l’estero. Probabilmente è stato un percorso della mia vita che ho condotto per consuetudine più che per scelta. Non era in cima ai miei interessi, se capitava l’occasione la coglievo. Tuttavia, non ho mai detto ‘farò l’attrice’. Diventando grande ho dovuto scegliere, non c’era più il tempo per fare tutto.
L’avvicinamento al settore della moda come avvenne?
Mi è sempre piaciuto il mondo del design e della progettazione. Mi sono laureata in lettere a Bologna con una tesi in estetica. Successivamente mi sono trasferita a Londra per frequentare il Central Saints Martin College. Rientrata a Milano ho iniziato a lavorare a Gioia come fashion editor e mi sono iscritta all’Istituto Europeo di Design.
Attualmente cosa fai?
Insegno progettazione alla scuola di design del Politecnico di Milano e lavoro come designer freelance.
Capita ancora che qualcuno si ricordi di te?
E’ molto raro, ma succede. Un tempo la cosa mi creava disagio, mentre ora mi fa sorridere. Ormai sono adulta. Certo, dipende sempre da chi mi trovo di fronte.
E ti riguardi mai?
No, non ho la necessità e un po’ mi imbarazza. Qualche volta mia madre mi allerta che al mattino presto rimandano le puntate di Due per Tre, ma non mi ci sintonizzo, ho altri impegni. Ad ogni modo, ho tutta la collezione delle riviste di allora e ogni tanto le guardo con i miei figli, che hanno 7 e 11 anni. Sanno che ho fatto l’attrice, ma non mi hanno mai vista realmente. Non è un argomento che affrontiamo spesso.
I trascorsi televisivi sono stati un aiuto o un intralcio per la tua ‘seconda vita’?
E’ tutto un vantaggio, sempre. Fai esperienza. Gli impegni da piccolissima per le riviste, a livello di sensibilità per l’abbigliamento e per la costruzione dell’immagine di moda, male non mi hanno fatto. La tv non mi ha condizionato negativamente. Anzi, vedere certi meccanismi dall’interno è stato comunque formativo.
Se i tuoi figli volessero ripercorrere la tua strada, saresti felice?
Lascerei fare loro quello che vogliono. Tra l’altro, uno dei due è dotatissimo, è un attore nato. L’altro invece ha una vena più artistica. Non sarei affatto preoccupata, tutto è legato al tipo di opportunità, che andrebbe valutata. Non sarò io a spingerli, ma nemmeno sarò io negare loro delle possibilità. Se mai capitasse sarò pronta ad accompagnarli.