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La Napoli milionaria! di Miniero impoverisce Eduardo e dimentica il teatro

La versione 2023 di Napoli milionaria! si regge, praticamente del tutto, sui due meravigliosi protagonisti: come Gallo e Scalera nessuno mai…

pubblicato 19 Dicembre 2023 aggiornato 20 Dicembre 2023 09:52

È andata in onda ieri sera, lunedì 18 dicembre, Napoli Milionaria!, la quarta opera eduardiana firmata Picomedia in collaborazione con Rai Fiction, con la discutibile regia di Luca Miniero e due meravigliosi protagonisti, un Massimiliano Gallo che si è fatto scorrere Eduardo nelle vene ancor più di quanto visto con il Domenico Soriano di Filumena Marturano nel 2022, e una Vanessa Scalera che fa vivere donna Amalia Jovine come nessuna prima di lei.

La regia di Miniero

La nota stonata di questa Napoli milionaria! è la regia: piatta, quasi soap-operistica con la sua predilezione per i primissimi piani e per dei campi e controcampi che fanno perdere tutta la drammatica danza delle scene corali, quelle che rappresentano la dinamicità di una comunità che cerca di sopravvivere con ogni mezzo, sempre, e quella di un uomo smarrito, ricco di valori, ma schiacciato da un’avidità e da un cinismo che rischia di fargli perdere il bene più grande. Là dove nella scrittura ci sono tempi interrotti che marcano la difficoltà di un uomo a far aprire gli occhi all’orrore, qui c’è quasi il comico ma non tragico; là dove tutto gioca sulla ‘danza’ dei valori e dei disvalori tra Amalia e Gennaro, qui ci sono scene spezzate, ritmi tagliati, campi e controcampi che annientano il teatro e guardano a una resa cinematografica leggera, quasi impalpabile. Che con Eduardo non è un bene.

La scelta registica è la punta di un iceberg che ovviamente parte dall’adattamento scelto: Eduardo qui è disarmato della sua potenza, non solo nella dinamica di scena – ridotta a qualche sparuta occasione -, ma anche nelle sue parole. Mancano i momenti clou del testo, quelli che esplodono con tutta la loro forza davanti agli occhi di chi vuole far finta di niente nel monologo devastante di don Gennaro, qui ridotto a un “Non è finito niente”, e quelli che marcano la ‘silenziosa’ discesa agli inferi di Amalia, quando chiede al ragioniere “Quant’è?” per il medicinale che può salvare la vita alla figlia. Sarà anche, questo, il momento più retorico e ridondante del testo originale, ma quella battuta è l’harakiri del personaggio di Amalia, è la sua morte e la sua rinascita, espressa quasi senza rimorso apparente. Qui quel semplice “Quant’è?” non c’è, così come non c’è la risposta del ragioniere: tutto è affidato alla sola interpretazione dei due interpreti. E per fortuna che sono dei fuoriclasse. Ma quella ‘bomba’ serviva al testo: toglierla non ha aiutato a ‘sottrarre’, ma ad appiattire, a semplificare.

Quel che è stato sottratto in questa versione è la profondità del testo di Eduardo, tra i suoi più difficili in assoluto, scritto a caldo, con la rabbia e il disgusto per una società che ha perso i suoi valori. Un aspetto, questo, che viene almeno raccolto nella preghiera di donna Amalia dal sacrestano, quella sorta di “Ave Maria” che termina con un “facciamo schifo” lasciato tra le labbra. Un volto di Amalia diverso dall’originale, che invece si nascondeva fino all’ultimo dietro quel cinismo che l’aveva motivata e al quale non rinunciava neanche di fronte a una figlia morente nell’interpretazione di Regina Bianchi.

Dove toglie e dove mette, troppo

Quel che nel testo di Eduardo è ‘nascosto agli occhi’ qui viene mostrato fin troppo.

Il tormento di Amalia qui diventa furia, la delusione di Gennaro qui diventa leadership. Il risultato è una ‘forza’ narrativa che passa per l’azione più che per un lavoro consapevole sul testo. Si tolgono i momenti clou, ma si aggiunge tanto, troppo, inutilmente. Il risultato è quasi uno ‘spiegone’ fin troppo caricato e i primi piani insistiti ne sono la marca. Non c’è controscena, non c’è scambio tra gli attori e quindi tutto va spiegato ai più.

In questo rientra anche la presenza della piccola Rituccia, che invece in Eduardo non si vede mai. Non è ovviamente un caso: Rituccia è una figura metaforica, simbolica, è il ‘da salvare’. E dire che qui non c’era neanche bisogno di mostrarla per necessità di traduzione intersemiotica come la gamba di legno di Capitan Achab in Moby Dick, come ricorda Eco: quella di non mostrare Rituccia è una scelta precisa, qui del tutto ignorata per mettere dentro l’elemento ‘emotional’. Come se il resto non bastasse. Come se non fosse sufficiente.

Per Miniero, e gli autori, il lettore ideale ha sempre bisogno di spiegoni…

 

Napoli Milionaria

In questo non c’è più il teatro, ma fiction. Neanche cinema in senso stretto, proprio fiction. L’elemento cinematografico lo si ritrova per lo più nella fotografia, anche se il tocco scelto è fin troppo folkloristico: la scenografia segue questa visione stereotipata del vicolo napoletano, caricandolo di figure, di panni stesi, di ‘statuine da presepe’ senza riuscire a trasferirne l’anima.

Un peccato, visto che la versione di Filumena Marturano dello scorso anno era riuscita in una missione quasi impossibile, fondendo teatro, cinema e televisione in una resa scenica appassionata, portatrice di una visione dell’opera, non solo di uno ‘storyboard’, impreziosita da un cast d’eccellenza.

Napoli milionaria
Ph: Sabrina Cirillo

Ringraziamo gli attori

Questa Napoli milionaria!, ancor più di altri titoli, si regge quasi esclusivamente sull’interpretazione dei suoi protagonisti. In un valzer di ruoli, Massimiliano Gallo qui spicca più di quanto avvenuto con don Domenico Soriano di Filumena Marturano, riuscendo ad essere più che convincente nella sua lettura, sia pur filologica, di Eduardo. Non vi si sostituisce, ma finisce per evocarlo in alcune piccole pause, in alcuni versi, in alcuni movimenti che sono noti a chi conosce la versione teatrale e quella cinematografica di De Filippo. Ma non lo scimmiotta, mai. Una grazia incredibile, per un don Gennaro che ritrova nella sua interpretazione tutta la dignità del brav’uomo, così vituperato in una società di sciacalli.

Dal canto suo, Vanessa Scalera dà vita a una donna Amalia che dà il tempo emotivo del racconto: i suoi alti e i suoi bassi sono visibili e potenti, eccessivi, travolgenti, più di quanto ‘tràdito’ dalle trasposizioni dello stesso Eduardo. Ma la donna Amalia della Scalera convince, in ogni sguardo, in ogni gesto, in ogni smorfia. Non è uguale a nessun’altra e non stona, riuscendo invece a dare senso a scelte registiche piuttosto discutibili. Dove non arrivano scrittura e regia ci sono lei e Gallo, insieme ai sempre impeccabili Nunzia Schiano e Marcello Romolo, che ci riportano in teatro. A restituire il senso della scena anche il dottore che cura Rituccia, insieme al Carabiniere che avverte don Gennaro dell’imminente arresto del figlio, altro volto che fa sentire la polvere del palcoscenico. Gli altri, invece, cedono al fascino della soap…

Il sottotitolo random anche no…

Uno dei grandi misteri di questa versione è il sottotitolo ‘random’. Due le ragioni dello sconcerto, Il primo: quello di Eduardo non è dialetto, ma un italiano regionale, pensato e scritto per essere capito da tutti; è una delle sue marche linguistiche più interessanti. Se lo si sottotitola gli si fa un torto. Non c’è bisogno di capire “còsère”, si capisce che si sta cucendo… Questa scelta è un’abdicazione totale alla dfiffusa incapacità di leggere il contesto.

Il secondo: la sottotitolatura è ‘a sentimento’ di qualcuno. Non si sa di chi. Non c’è un criterio. Quando a qualcuno è parso di non capire bene, è stato aggiunto un sottotitolo. Così, quasi a caso. Una roba incomprensibile, che meriterebbe però un’analisi attenta su quali parti sono state ritenute da sottotitolare.

L’operazione Picomedia resta meritoria

Se c’è un merito in questa operazione – al di là della benemerenza del rimettere sempre in gioco le opere di un drammaturgo che devono continuare a vivere in scena – è che ogni trasposizione è stata diversa dalle altre. Ogni versione ha visto una diversa interpretazione del testo eduardiano, dei suoi personaggi, dei suoi contesti, dei suoi non detti; ogni regista ha lavorato in un modo diverso nella costruzione del racconto e nella messa in scena, così come gli interpreti che hanno scelto modi diversi di far propri i personaggi scritti dall’autore. Ne consegue che ogni opera ha avuto risultati diversi, non sempre accettabili, là dove per ‘accettabilità’ si intende la capacità di non stravolgere l’anima delle opere originali.

In questo senso, la Filumena Marturano del 2022 resta un capolavoro. Convincente anche il lavoro su Natale in casa Cupiello, del 2020, prima delle versioni con Sergio Castellitto che avevano fatto ben sperare nel prosieguo. Poi è arrivato quel Sabato, domenica e lunedì che ha davvero straniato e fatto urlare alla ‘lesa maestà’, tanto da congelare per tre anni quella che doveva essere la successiva opera del ciclo, Non ti pago, la cui messa in onda era prevista a una settimana dalla precedente e che invece è rimasta in un cassetto in attesa di tempi migliori. Tempi che dovrebbero essere ormai maturi, visto che Non ti pago, a questo punto quinta opera del ciclo, dovrebbe andare in onda nei primi giorni di gennaio 2024. Vedremo. Intanto lunga vita a Eduardo e al suo teatro.

(E a Natale regalatevi la Cantata dei Giorni Pari e La Cantata dei Giorni Dispari…)

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