Lorenzo Spagnoli: “Campioni fu penalizzante per i calciatori. La tv mi cercò, ma non mi interessava”
Intervista a Lorenzo Spagnoli, tra i vincitori della prima edizione del programma tv “Campioni – Il sogno” del 2004 su Italia 1. “Campioni fu penalizzante per i calciatori. La tv mi cercò, ma non mi interessava”
Calcio e Spettacolo: Un Mix Rivoluzionario. Nel caldo estivo del 2004, Mediaset lanciò una sfida audace: unire le passioni del pubblico per il calcio e per l’intrattenimento televisivo. Nasce così ‘Campioni – Il Sogno‘, un programma tv innovativo su Italia 1 che prometteva ai vincitori un’esperienza unica: partecipare ai ritiri pre-campionato di squadre leggendarie come Juventus, Milan ed Inter.
Tra i fortunati, Lorenzo Spagnoli, un giovane centrocampista di 24 anni con un passato promettente nel calcio professionistico, si aggiudicò il pass per il prestigioso ritiro della Juventus. Con esperienze in serie C1 e C2, Spagnoli confida a TvBlog: “Avevo già giocato due anni in serie C1 con la Carrarese e altrettanti in C2 – racconta a TvBlog – all’inizio ero titubante, perché scendere così tanto di categoria non lo vedevo positivo per la mia carriera”.
Sì, perché la squadra scelta dalla trasmissione fu il Cervia, all’epoca militante in Eccellenza. Non proprio un bel biglietto da visita.
Ma un’inattesa chiamata estiva da mister Graziani, suo ex allenatore a Montevarchi, cambiò tutto. “Non risposi ad alcun annuncio. Venni informato da mister Graziani, che mi aveva avuto al Montevarchi in C”, svela Spagnoli. “In estate mi chiamò e mi illustrò il progetto. Alla fine mi convinse, dicendomi che poteva essere una vetrina importante”.
Convinto dalla prospettiva di una vetrina significativa, Spagnoli decise di accettare la sfida, partecipando ai provini televisivi e mettendo in mostra il suo talento calcistico già riconosciuto in Eccellenza: “Feci regolarmente i provini televisivi, ma quello calcistico l’avevo già svolto, visto che avevo un livello buono per disputare l’Eccellenza”.
Lo stipendio a quanto ammontava?
Riuscii praticamente a mantenere le stesse cifre che percepivo in C: circa 40-50 mila euro l’anno.
Avvertisti la supremazia del reality rispetto alle dinamiche sportive?
Soprattutto all’inizio feci molta fatica. Campioni era impostato sul format tv e si percepiva questa impronta con il racconto di parecchie storie extra-calcistiche e le telecamere presenti 24 ore su 24. Senza dimenticare le azioni di disturbo, come le feste organizzate e le serate in discoteca a Milano Marittima che fortunatamente Graziani riuscì successivamente ad eliminare.
La partenza fu in salita, su tutti i fronti.
Vero. Le cose non andarono bene, sia in campo che in fatto di ascolti. Ricordo una riunione svolta assieme alla produzione; da quel momento si decise di cambiare strada. Si spinse maggiormente sulla parte sportiva, sui sacrifici da compiere per raggiungere l’obiettivo. In fondo eravamo ragazzi che dovevano inseguire un sogno e nei primi mesi questo concetto non venne percepito.
La svolta arrivò a metà stagione.
Ci aiutarono parecchio le partite infrasettimanali svolte con squadre di serie A e la decisione di mandare le gare di campionato della domenica mattina in diretta su Italia 1. Inoltre, come detto, cominciarono a dare più spazio agli allenamenti, agli sforzi, al nostro impegno per arrivare all’obiettivo. La formula si rivelò vincente e il programma esplose. Facemmo ascolti incredibili e la nostra popolarità arrivò alle stelle.
Per la prima volta le telecamere entravano anche in uno spogliatoio.
Nei primi tempi non eravamo abituati alla novità. Lo spogliatoio per i calciatori era sacro. Tutto ci appariva strano, ma come allenatore avevamo una persona con grande carisma. Ci ha aiutato ad accettarle e a viverle serenamente, con naturalezza. Dopo qualche tempo non ci abbiamo più badato.
Vinceste il campionato e per te la gioia fu doppia.
La promozione in D era la missione più importante. Eravamo obbligati a vincere, se fosse andata diversamente sarebbe stata una figuraccia. Tutte le squadre che ci affrontavano giocavano alla morte. Non fu affatto semplice. Per quel che riguarda la mia vittoria personale, arrivai tra gli 11 finalisti che disputarono il match celebrativo allo stadio di Monza.
A quel punto si verificò la scrematura.
Gli 11 giocatori giunti all’ultimo step erano coloro che si erano laureati migliori in campo nelle partite del giovedì, alle quali presenziavano sempre degli ex calciatori che indicavano il loro preferito. Io venni scelto da Antonio Cabrini. Durante la partita a Monza fu aperto il televoto che proclamò la top five da cui i dirigenti di Juventus, Milan e Inter poterono pescare. Per la Juve c’era Alessio Secco e indicò il mio nome.
Era la squadra che sognavi?
Sono juventino. Mio padre mi ha trasmesso questa fede e in famiglia siamo tutti bianconeri. Per me fu la ciliegina sulla torta.
Il 14 luglio 2005 esordisti ufficialmente nell’amichevole contro la Vogherese, vinta 7 a 0.
Giocai il secondo tempo. In panchina ero seduto vicino a Del Piero, ho ancora la foto. Quando mi accorsi di avere addosso la stessa maglia dei miei idoli rischiai di piangere per l’emozione. Non lo feci solo perché avevo Alex al mio fianco. Poter partecipare alla preparazione estiva con loro per me era inspiegabile, fu un’emozione unica.
L’ultima apparizione avvenne a Cesena appena tredici giorni dopo.
In tutto disputai cinque amichevoli e col Pavia segnai. Mi procurai un rigore e i ragazzi spinsero affinché lo calciassi. Mutu si avvicinò e mi disse: ‘tiralo tu’. Risposi di no, ero già contento di quello che avevo fatto. Ma insistettero tutti, quindi presi coraggio e lo tirai. Dopo quel match salutai, la mia avventura si concluse lì.
Un sogno ‘a rapida scadenza’, insomma. Avevi altre aspettative?
Non ho mai pensato di poter disputare davvero una stagione con loro. La superiorità fisica era evidente, la realtà l’ho sempre avuta impressa. Nessuno di noi a quell’età avrebbe potuto sperare di rimanere in quel gruppo. Stiamo parlando di Del Piero, Ibrahimovic, Vieira, Trezeguet, Cannavaro. Erano di un livello spaziale. Porto comunque con me un ricordo indelebile. Furono tutti estremamente carini, dai dirigenti ai compagni, passando per Fabio Capello. Godevo della stessa considerazione dei big e per me era un privilegio. Mi sono sentito il rappresentante di milioni di tifosi.
Ti ritrovasti dunque svincolato.
Sì. Me ne andai al Lecco e in seguito approdai al Legnano e alla Sarzanese. Percepii poca credibilità nei miei confronti e questo mi spense. Pensai di smettere. Affrontai un paio di anni difficili.
Possiamo dire che Campioni non fu un buon biglietto da visita?
Sul fronte calcistico è stato purtroppo penalizzante. I club ci vedevano più come dei personaggi televisivi, anche in virtù delle scelte televisive dei miei ex compagni. Fecero bene, ci mancherebbe. Colsero l’occasione. Ma hanno fornito a tutti un’etichetta che ci ha svantaggiato.
Molti di loro sono sbarcarono a Uomini e donne, C’è posta per te e Temptation Island. La tv bussò pure alla tua porta?
Provarono a coinvolgermi per Uomini e donne e per alcuni reality, ma il mondo della televisione non mi è mai interessato. Ripeto: chi aveva giocato a calcio prima e avrebbe voluto proseguire dopo Campioni, risultò svantaggiato. Questa situazione mi diede molto fastidio e generò parecchia delusione.
A tuo avviso a risentirne fu anche Graziani?
Non so dirti se un personaggio così grande può esserne uscito penalizzato. Di lui ho ricordi incredibili, è stata una persona importante, che mi ha dato tanto calcisticamente e umanamente. Mi ha conosciuto che ero un ragazzino e instradato per diventare un uomo. Mi ha tirato fuori dei valori che tutt’oggi conservo.
Sei ancora in contatto con i ragazzi del Cervia?
Certo, con tutti. Abbiamo una chat dove ci scriviamo 2-3 volte a settimana. Abbiamo organizzato cene e partecipato tutti assieme al centenario del Cervia, qualche anno fa. Quell’esperienza ci ha unito, andò oltre la classica stagione sportiva. Vivemmo momenti particolari e superammo assieme le nostre paure.
Al Cervia ci tornasti nel 2006, stavolta lontano dai riflettori.
Avevo bisogno di ritrovare un ambiente familiare e di amicizia. Non avevo più quella cattiveria mentale per portare avanti una carriera di un certo tipo. Preferii compiere un passo indietro, nei Dilettanti.
L’ultima squadra da calciatore fu l’Imolese, club che in seguito hai acquistato, diventandone presidente.
Rilevai la società e provai un’esperienza dirigenziale. Quando arrivai era in Eccellenza, sull’orlo del fallimento. Ho provato a trasferire le mie idee in società e sono arrivate due promozioni. Siamo arrivati fino alla serie C, un traguardo straordinario. Con Alessio Dionisi in panchina sfiorammo addirittura la finale dei play off per andare in B. Battemmo tutti i record.
Se nel calcio è faticoso guadagnare nelle massime categorie, non oso immaginare le difficoltà incontrate nelle serie inferiori.
È tutta una rimessa. Soprattutto la C è un bagno di sangue. La Figc dovrebbe metterci mano e adottare una riforma sensata, perché così non ha senso. Non hai entrate di alcun genere, non avendo botteghino, sponsor, diritti televisivi. In compenso hai gli stessi obblighi di spesa, dato che il costo del lavoro è identico alla serie A, la tassazione dei contratti è la stessa. Ti portano all’esaurimento. Se ci fai caso, ogni 3-4 anni un presidente di C se ne va via, è ciclico.
Tu sei uno di quelli.
Sì. Io e mia moglie eravamo da soli, in una realtà che nutriva poco interesse per il calcio. Portare mille persone allo stadio era già tanto. Il covid, poi, è stato una mazzata. Quando dopo 3 anni ci è arrivata un’offerta ci siamo guardati negli occhi e abbiamo deciso di vendere, seppur con rammarico. Avevamo creato un gioiellino, tra prima squadra e settore giovanile.
Oggi cosa fa Lorenzo Spagnoli?
Vivo a Bologna e, dopo la cessione dell’Imolese, mi dedico completamente alla famiglia. Ho tre figli, li accompagno nella vita, seguendoli nello sport, nelle amicizie, nel quotidiano. Sono il loro taxi (ride, ndr). Mia moglie ha un’azienda di trasmissioni meccaniche, un po’ aiuto lei, ma sto soprattutto con i bambini. Luca gioca a padel, mentre nostre figlie Marta e Viola hanno una passione smisurata per l’equitazione ed è un’attività alla quale ci siamo avvicinati anche noi. Tutti i giorni vado a Modena, al maneggio di Francesca e Federico Ciriesi, dove si allena Marta. Sono settimane piene, tutti i weekend siamo in gara.