Maria Corleone, recensione: non c’è solo Rosy Abate, ma tutte le esperienze recenti di Taodue
Nella recensione di Maria Corleone è inevitabile paragonare la serie a Rosy Abate, ma la nuova fiction di Canale 5 attinge a numerose altre produzioni di Taodue, aspettando a trovare la propria strada
Scena: Rosy Abate, ormai ritiratasi da sparatorie e nascondigli, ha appena finito di cenare. Sente al telefono il figlio, gli chiede com’è andata la giornata, gli manda un bacio e gli augura la buonanotte. Poi accende la tv, mette su Canale 5, dove è appena cominciato Maria Corleone. E pensa “Ah, se ci fossi stata io al posto suo…”. E’ inevitabile che la nuova sfida della Taodue di Pietro Valsecchi rimandi alla memoria il celebre personaggio di Giulia Michelini. Il nome di Rosy Abate, sebbene sia stato ormai archiviato dai palinsesti televisivi, risuona ancora forte tra chi l’ha seguita per anni, prima in Squadra Antimafia e poi nel sequel a lei dedicato. Questo, quindi, sarà il più grande ostacolo che Maria Corleone dovrà superare: convincere il pubblico che questa storia è uguale e diversa.
La recensione di Maria Corleone
Maria Corleone (Rosa Diletti Rossi, che nelle espressioni in alcune scene sembra proprio Rosy Abate, o almeno una sua non troppo lontana parente) fugge dalla sua Sicilia e dal destino che sembra segnarla, appartenente com’è ad una famiglia i cui legami con la mafia sono oggetto di chiacchiere da sempre.
Fugge, ma alla fine si ritrova al punto di partenza: quella Palermo in cui il dolore per la perdita del fratello gemello diventa più forte di qualsiasi altra volontà di costruirsi una vita altrove. I primi due episodi (su otto) della serie sono molto cauti nel cercare di raccontare altro: si preferisce dedicarsi a mostrare il contesto e quelle che potrebbero essere le origini di un nuovo personaggio da inserire nell’elenco dei ruolo diventati cult grazie ai mob drama di Taodue.
La casa di produzione torna sul luogo del delitto o, meglio, là dove ha riscontrato i suoi più grandi successi televisivi. Il racconto della mafia, i suoi rapporti con il territorio e con il tessuto sociale, e soprattutto le dinamiche di famiglia in cui la sete di potere è più forte dell’affetto. Non sono però più gli anni di Calcaterra e Abate e il rischio del già visto è dietro l’angolo.
Ecco che, allora, l’operazione di Maria Corleone merita di essere analizzata con più calma, ovvero dando tempo alla storia di rivelarsi nella sua interezza. Questa è una serie che attinge non poco dalle precedenti esperienze di Taodue: c’è la Milano pronta a sporcarsi de Le mani dentro la città, il glamour del mondo della moda di Made in Italy e i rapporti familiari intrisi di sangue dei già citati Squadra Antimafia e Rosy Abate.
Tanti riferimenti, tanti rimandi: inutile dire che dopo questa introduzione durata due episodi il gioco si fa duro. E qualcosa lo abbiamo già intravisto con il colpo di scena svelato nel flashback in cui scopriamo che la protagonista, da piccola, aveva già ucciso. La prima puntata ci lascia con un dubbio: e se Maria Corleone fosse scappata da se stessa, e non dalla sua famiglia?
Per il resto, la firma di Taodue è riconoscibilissima: dall’attenzione per le location (e nel gioco di contraddizioni tra la cupezza del racconto e la luminosità siciliana) alle immancabili sparatorie, Maria Corleone è il nuovo tassello di un mondo che il gruppo di lavoro di Valsecchi (da cui parte sempre ogni progetto, di cui firma il soggetto di serie) non sono conosce bene, ma ha costruito fiction dopo fiction, fidelizzando un pubblico che sa cosa aspettarsi fin dai primi minuti. E sì, Rosy Abate continuerebbe a guardare gli altri episodi.