Claudio Brachino a TvBlog: “Barbara d’Urso non è trash, l’infotainment a Mediaset l’ho portato io. Ora in tv mi chiamano solo i ‘compagni’ di Rai3 e La7”
Claudio Brachino, l’uomo che ha portato a Mediaset il tanto criticato genere che mescola informazione e intrattenimento, parla a TvBlog
“Per fare il giornalista bisogna avere la passione per gli altri. A me l’ha data un signore che si chiama Eduardo De Filippo con il quale nel 1982 scrissi (con lo pseudonimo di Claudio Brachini, Ndr) la commedia ‘Mettiti al passo’. Eduardo diceva: andate in giro, guardate la gente, osservate come parla“. Claudio Brachino ha passato una vita davanti alle telecamere. Per 32 anni, dal 1987, ha lavorato a Mediaset, dove ha ricoperto i ruoli di vicedirettore e conduttore di Studio Aperto, conduttore di Top Secret su Rete 4 e Canale 5, direttore per due volte di Videonews, ma anche di Sport Mediaset. E pure, nell’ultimo periodo al Biscione, direttore ad personam all’interno della Direzione Generale Informazione.
Quella del direttore ad personam è un’esperienza che rimane nella vita. Quando leggete ‘ad personam’ vuol dire che c’è qualcosa che non va. Vuol dire che è finita, che è chiusa.
Partiamo da oggi, anzi da poche settimane fa. A inizio luglio Barbara d’Urso nella nota intervista al quotidiano La Repubblica ti ha citato, ricordando un pranzo di dicembre 2017 a cui entrambi partecipaste all’Hotel de Russie di Roma insieme ad altri dirigenti Mediaset: “Champagne, non capivo per brindare a cosa. Sarei dovuta partire, trasferirmi a Milano senza i miei due figli per inventare un programma in diretta, tutti i giorni, Mattino Cinque. 24 ore di tempo per decidere”.
È un fatto verissimo. Dopo tanti anni a Studio Aperto, ero diventato a settembre del 2007 direttore di Videonews. Mediaset aveva in progetto un morning show su Canale 5, già provato alcune volte, mai con particolare successo. Mi chiesero di scrivere un programma mattutino in diretta per contrastare Unomattina, titolo storico di Rai1 che andava benissimo. Lo feci e mi dissero che mi avrebbero affiancato Barbara d’Urso. A Roma ci fu il pranzo da lei ricordato, trovammo un accordo, che poi l’azienda perfezionò contrattualmente. Nel gennaio 2008 nello studio 5 di Cologno Monzese io e Barbara abbiamo iniziato l’avventura di Mattino Cinque. Un format – scritto da me – che ancora oggi è molto simile a quello dell’epoca. Fui abbastanza bravino: fui tra i pochi giornalisti ad avvalermi dell’aiuto del marketing prima e non dopo la messa in onda.
Così a Mediaset arrivò il tanto discusso infotainment.
Prima parte politica, con giornalisti e opinionisti, seconda più leggera e dedicata alla missione aziendale di promuovere il Grande Fratello, che era molto diverso da quello di oggi. All’inizio io e Barbara avevamo spazi divisi, pochi incontri, i primi anche tragici… Barbara ha un modo di fare provocatorio, mi prendeva in giro… ma alla fine trovammo una chimica. Ho un bellissimo ricordo di quella stagione. Fondammo un genere televisivo: l’infotainment, cioè l’incontro tra l’esperienza di tipo giornalistico classico e quella che viene dall’intrattenimento. Il genere esisteva già in America, c’era in Rai, ma non a Mediaset. Infotainment alla fine significa giornalismo popolare.
Fu un successo.
Pochi ci credevano, Mattino Cinque fece da subito il 20-25% di share. Qualcuno mi disse: “Per ottenere ascolti devi fare come Luca Giurato, indossare la giacca rossa e rovesciarti i ceci sulla testa”. Io invece feci esattamente il contrario. Portai al mattino di Canale 5 i servizi, l’attualità, la politica, i collegamenti, anche nella parte più leggera di Barbara. Da lì nacque un’avventura industriale prima ancora che di genere televisivo. Dopo Mattino Cinque arrivò Pomeriggio Cinque, quindi la domenica. Dal mio Top Secret – programma colto e raffinato, dedicato ai cold case – nacque Quarto Grado, che poi è diventato un’altra cosa. Quella Videonews, entro la quale confluì Matrix dopo l’addio di Mentana, è diventata un modello industriale, ha dato vita a molte prime serate su Rete 4.
Un modello che ha retto per quanto tempo?
Per dieci anni. Io sono andato via ad agosto 2019, al mio posto arrivò Mauro Crippa, che è anche il direttore dell’informazione dell’azienda. Come Adriano Galliani nella sua biografia risponde del Milan fino all’avvento di Barbara Berlusconi, io rispondo per quanto fatto a Videonews fino al 2019 (sorride, Ndr).
Perché l’infotainment funzionava?
Perché costava poco, perché faceva molti ascolti – per dieci anni abbiamo dominato – e perché da lì sono nati i vari talk politici che a vario titolo sono stati lo strumento delle relazioni politiche di Mediaset. Buttare nel cesso l’infotainment non si può fare! Che poi le epoche cambino e che si facciano altre cose… viva Dio! Io però quella stagione televisiva la difendo e difendo pure il lavoro fatto da Barbara d’Urso, che con me l’ha fondata. Specialmente i primi anni Barbara, che veniva da alcuni insuccessi, aveva molta voglia, si trovò bene all’interno della testata, fu molto creativa e disponibile. Poi, come succede sempre, si compiono errori e ci sono stati eccessi.
Tipo?
La cronaca nera senza opinionisti, ma solo con collegamenti in diretta. E quando nei salotti metti troppa gente di un certo tipo rischi che diventino ingovernabili. Tutte involuzioni rispetto al modello del 2008-2009.
Lo stop di Mediaset all’infotainment è un giudizio negativo sul tuo operato?
No, non lo vivo così. Io sono nato a Viterbo, ma mi sento un manager all’americana. Quando faccio una cosa, la faccio in quel preciso momento storico e non credo abbia senso giudicarla fuori da esso. Quel che mi dispiace più di tutto, oltre all’exit strategy di Barbara che però riguarda i suoi rapporti con l’azienda, è che si sia detto che allontanando lei finisce l’epoca del trash. Si è fatta confusione: Barbara, il trash e il genere dell’infotainment sono tre cose diverse. Barbara non corrisponde al trash; il trash è l’eccesso linguistico che può capitare in una stagione, ma a me l’equivalenza infotainment=trash non piace. Contaminare l’informazione con il linguaggio dello spettacolo non significa fare trash. Non tutto il male deriva dall’infotainment. E poi vorrei aggiungere un’altra cosa.
Prego.
Barbara non ha fatto le cose in clandestinità: tutti vedevano, tutti osservavano, tutti godevano dei suoi ascolti. Le discussioni non sono mancate, per carità, ma identificare tutta Barbara d’Urso con il trash non è giusto. Di trash esistono moltissimi esempi, dentro e fuori Mediaset. Non mi va di nominarli, ma è inutile prendersela solo con Barbara.
L’hai sentita di recente?
Quando ho letto la notizia della sua esclusione dai palinsesti di Mediaset, le ho scritto un messaggio e le ho detto che mi dispiaceva. Lei mi ha chiamato: era molto triste. Non abbiamo approfondito, ma ci siamo dati appuntamento a cena a settembre. Ci lega un rapporto di affetto e di stima.
L’amministratore delegato di Mediaset Pier Silvio Berlusconi già un anno fa disse: “I programmi che mescolano gossip, politica, cronaca rosa e nera non funzionano più. Sono il passato”. In pratica il modello Brachino non funziona più?
Pier Silvio ha tutto il diritto come editore di dire che una certa epoca è finita e di dare una sterzata alla sua azienda. Dopo il 2019 il mondo è cambiato, sono successe tante cose, dal Covid alla guerra. Alle elezioni del 2018 Salvini prese due punti in più di Forza Italia, nel 2022 Meloni ha vinto le elezioni col 27%.
Ok, ma quindi è una bocciatura del suo modello di tv?
No, non la vivo come tale. È giusto cambiare e fondare generi nuovi. Io comunque al momento in tv non vedo cose molto diverse da quelle che ho fatto io.
Mediaset dice basta al mescolamento di generi, ma poi piazza una giornalista del Tg5 come Cesara Buonamici come opinionista al Grande Fratello. Contraddizione?
Il Grande Fratello non è infotainment, è intrattenimento puro. Fino ad ora abbiamo parlato di come Pier Silvio vuole cambiare l’informazione a Mediaset. Il Grande Fratello è invece prodotto dalla struttura di Alessandro Salem, che è alla direzione Contenuti. Quindi l’avvento di Cesara è da interpretare come la volontà dell’editore di dare un segnale, della volontà di evitare eccessi anche nel campo dell’intrattenimento. Cesara ha il compito di ridefinire l’impianto del linguaggio dell’entertainment.
In tutto ciò, comunque, il modello infotainment resta al centro de La vita in diretta, contenitore di successo del servizio pubblico.
È un signor programma della tv italiana, usa il linguaggio dell’infotainment, mescola i toni, senza eccessi. Ma Rai1 ha un altro tipo di pubblico.
Il conduttore quanto incide?
È decisivo, serve per passare da un argomento ad un altro dando al pubblico i giusti toni e le giuste misure. Maurizio Costanzo ne era un esempio straordinario.
Nel 2009 a Mattino Cinque il caso dei “calzini turchesi” del giudice Raimondo Mesiano, l’uomo che aveva appena condannato Mediaset a pagare 750 milioni di euro di risarcimento alla Cir di De Benedetti. Anche quello fu un eccesso dell’infotainment?
L’infotainment in quella vicenda non c’entra nulla. Ho ampiamente spiegato cosa accadde: arrivarono quelle immagini, io da Roma non le vidi, ma le pubblicai. Sbagliai. Mi scusai, anche se rivendicai l’impianto di quella inchiesta. Le mie scuse sono state accettate e tutto è stato chiarito. Ho pagato il pegno per un errore commesso, l’unico della mia carriera in cui sono sempre stato preciso e trasparente.
Claudio Brachino, giornalista in primissima linea a Mediaset nel periodo d’oro del berlusconismo, perché non è coinvolto nella nuova Rai a trazione centrodestra ribattezzata TeleMeloni?
Questa domanda va posta ai dirigenti Rai (ride, Ndr). Nel 2020 ho lasciato Mediaset e, a 60 anni, mi sono ritrovato a casa da solo, senza nemmeno poter salutare i miei colleghi, perché c’era il lockdown per la pandemia. Un addio un po’ malinconico. L’Italia non offre lavoro ai giornalisti giovani, figurati ai 60enni. Non ho avuto solidarietà da nessuno, neanche da chi ho beneficato professionalmente da direttore; lentamente mi sono rimesso in gioco, ho ripreso a vivere, viaggiare e dialogare. Oggi dirigo un settimanale economico e politico, si chiama Il Settimanale e tornerà a settembre con una formula nuova. Il mio obiettivo non è dirigerlo per 15 anni, ma lasciare un format nella carta stampata così come ho fatto in più occasioni in tv. Inoltre sono editorialista e responsabile del multimediale dell’agenzia Italpress, dove faccio tre format: uno politico, Primo piano, uno economico, Italpress €conomy e, da febbraio, Radio Odessa con il direttore di The Odessa Journal Ugo Poletti in cui raccontiamo con grande libertà la guerra in Ucraina. L’8 ottobre andrò in America per moderare la conferenza per i 35 anni di Italpress e in quella occasione aprirà la sede a New York.
E la tv generalista?
Mi diverto a fare l’opinionista politico. Mi chiamano solo Rai3 e La7, mi chiamano i “compagni” (ride, Ndr), vuol dire che posso essere stimato anche da loro. Ho scritto dei format tv, uno politico e uno che riguarda il crime. Top secret è il mio figlio prediletto: centinaia di inchieste, è andato in onda dal 2012 al 2017. L’ultima puntata, ad agosto, nel ventennale della morte di Lady Diana, ha fatto il 16% di share su Canale 5. Se cerchi un dato simile oggi nella seconda serata di Canale 5 con un programma di informazione non lo troverai così spesso, ecco. Tornando alla domanda: io sono a disposizione, se qualcuno mi vuole chiamare io ci sono. Ho sempre vissuto solo del mio talento, del mio lavoro e del rispetto del mio editore. Non sono uno bravo a fare le pubbliche relazioni.
Sono trascorsi tre anni dalla separazione da Mediaset. È una ferita ancora non rimarginata?
No. Dopo 32 anni le storie possono finire. Trovammo un accordo consensuale formale, con tanto di comunicazione via agenzie, ben diverso da quanto accaduto di recente con Barbara d’Urso. Successivamente ho sempre mantenuto un atteggiamento di eleganza e di distacco. Non ci siamo mai più sentiti, mai più incontrati con l’azienda. Mi ha fatto impressione che quando è morto Silvio Berlusconi io abbia parlato di lui ovunque in tv, tranne che a Mediaset. Forse lì hanno pensato che non fosse il caso di chiamare me per ricordarlo… per fortuna siamo in democrazia e ho potuto farlo altrove. Ma lo dico senza polemica. Semplicemente una assenza totale di dialogo. Ma va bene così, ho girato pagina e sono andato avanti. Come ha detto Buffon: “Ho dato tutto, ho avuto tutto”.
Ok, ma avrai ancora un sogno oggi?
Un bel programma tv mio che sia la summa di tutto quello che ho fatto in carriera. Lo dico con presunzione: in Italia non sono tantissimi quelli che sanno scrivere, dirigere, condurre, organizzare e avere sensibilità per i servizi. Se raggiungessi questa cosa sarebbe… the last dance. Anche se il giornalismo non finisce mai.
Se dico Andrea Giambruno, tu cosa rispondi?
È un amico, è bravo e rispettoso, di fatto l’ho assunto io. Per molti anni è stato autore politico per Mattino Cinque. Ha conosciuto Giorgia Meloni in quello studio, ma non li ho fatti incontrare io. Oggi vive una stagione complessa, ma ritengo che abbia tutti i diritti di fare la sua carriera. Certo, essere compagno della Premier significa che tutto ciò che dici e che fai diventa simbolico; è complicato, ma, come nell’infotainment, bisogna saper trovare un equilibrio. Come diceva Conrad, bisogna navigare su quella linea d’ombra che separa la giovinezza dalla vecchiaia. O, pensando alla tv, che separa il bene dal male.