Rai e l’esigenza di ridare identità alle reti (Retroscena TvBlog)
La Rai di ieri, la Rai di oggi, la Rai di domani
C’era una volta un’unico canale. Era il 1954 e nacque la televisione in Italia con la Rai. Poi arrivò il secondo canale e poi ancora il terzo. L’esigenza era quella di raccontare l’Italia e con la riforma Rai del 1975, la prima rete fu assegnata alla Democrazia Cristiana, la seconda al PSI e la terza al PCI. Si passava dunque dal controllo governativo della televisione pubblica, ad un controllo parlamentare. Si voleva dare un’identità precisa alle tre reti assegnandole ai tre partiti maggiori italiani. Famosa in questo senso la frase detta dall’allora direttore del Tg1 Bruno Vespa “La DC è il mio editore di riferimento“.
Una frase che allora fece molto scalpore. In realtà Vespa disse solamente come stavano le cose. Il Re era stato svestito. Le tre reti iniziarono a farsi concorrenza fra di loro, anche piuttosto forte, rubandosi spazi, divi e telespettatori. Poi arrivarono le televisioni commerciali, dapprima le locali e poi i network nazionali. Dopo i fallimenti di Rusconi con Italia 1 e Mondadori con Rete 4, Silvio Berlusconi, che aveva fatto crescere la sua Tele Milano facendola diventare Canale 5, si compra le due reti in sofferenza. Nasce quindi il primo grande polo della televisione commerciale italiana: Fininvest, poi diventato Mediaset. Scorrono gli anni e scorrono gli avvenimenti.
La Rai si sente in pericolo, sopratutto dopo che la legge Mammì concede la diretta anche alle reti Fininvest. Il tutto evidenziato con la nascita del Tg5. La Rai, guidata allora dal grande Biagio Agnes, già qualche anno prima, decide che per far restare la tv pubblica al centro del panorama televisivo nazionale occorreva tirare fuori l’orgoglio e la professionalità Rai. Nascono le Domeniche in di Corrado e Pippo Baudo. I Fantastico dello stesso Baudo. I Pronto e Buonasera Raffaella con Raffaella Carrà. Arriva poi la Rai3 di Angelo Guglielmi e Sandro Curzi e con loro Chi l’ha visto, Samarcanda, Linea rovente. Rai2 diventa col tempo una rete fatta di sperimentazione e intrattenimento colto, con un immenso Enzo Tortora e il suo mitico Portobello. Il Mixer di Giovanni Minoli. Gli show di Renzo Arbore, Quelli della notte e Indietro tutta.
Insomma la Rai riconquista il suo primato. Poi ci sono le stagioni di luci e di ombre, con una Rai che si omologa alla tv commerciale, mutuandone troppo i concetti basilari di quel tipo di tv. Niente di sbagliato, ma il troppo stroppia. Basterebbe lasciare l’anima commerciale alla sola Rai1, la rete che paga gli stipendi ai dipendenti Rai, come in molti fra il serio ed il faceto dicevano e dicono. Si arriva quindi ad un bilanciamento dei contenuti, che rendono il percorso della tv pubblica degli ultimi anni un qualcosa di meno originale rispetto al suo glorioso passato.
In realtà non contano solo gli stravolgimenti politici, o quello che in molti chiamano, anche giustamente, spoil system. C’è dell’altro, per esempio una certa sedimentazione di idee e uno spopolamento delle figure più grandi della Rai. Ma se accanto allo spoil system fatto di esseri umani se ne affiancasse uno pure di idee -televisive s’intende- non sarebbe di certo male. In questo percorso ad ostacoli, che il nostro eroico cavallo di viale Mazzini ha fatto in tutti questi anni, c’è ora un nuovo sguardo che apre nuove strade, si spera per la Rai, feconde. Strade che, palinsesti e nomi di conduttori a parte, portino ad un assetto organizzativo della tv pubblica più agile e allo stesso tempo pimpante, fatemi usare questo aggettivo forse un po’ vetusto.
Si apre dunque ora l’esigenza di alcune correzioni rispetto all’assetto industriale dato alla tv di Stato negli ultimi anni. Le direzioni di genere, seppur nel loro concetto base siano pure in qualche modo positive, hanno dimostrato dei punti dolenti. Uno di questi riguarda certamente l’identità delle reti, che hanno sofferto questa struttura, esageratamente orizzontale. La verticalità dei canali è stata in qualche modo sacrificata ed ora questa cosa va certamente corretta.
In questo l’intenzione della nuova dirigenza Rai è quella di dare o se preferite di ridare alle tre reti una precisa immagine. Quando vai su Rai1, Rai2 o Rai3, devi già sapere cosa potresti trovarci. Ecco dunque che Rai1 deve essere la rete generalista per antonomasia. Deve cioè accogliere al suo interno il grande varietà. Deve accogliere il grande game show. Deve accogliere la grande fiction. Deve avere un grande telegiornale autorevole e deve pure sapere informare con grande autorevolezza. Rai2 deve essere la rete della realtà, vista non con un occhio pedante, ma con lo sguardo vivace di chi cattura la vita di tutti i giorni, perchè riesce a vedere oltre la siepe. Esattamente come la immaginava il suo primo direttore, il grande Massimo Fichera, deve saper essere un canale visionario. Arrivare, attraverso l’intrattenimento e anche attraverso la “real tv” a immaginare quello che sarà, in un processo visionario a 360 gradi.
Rai3 deve essere il canale della cultura e dell’informazione. Una rete che parla alla totalità del paese. Un canale che possa accogliere i pareri, le idee di tutta la società e naturalmente non solo quella dei partiti al governo. Un canale che sappia trovare la sintesi dei pensieri degli italiani. Che li racconti attraverso le parole, le idee, i pensieri, i concetti di tutti. Che li aiuti a capire e a farsi un opinione. Insomma, l’esigenza di dare un’identità precisa alle reti, che le direzioni di genere ha un po’ annacquato, è ora una priorità. Il ritorno ad un comitato editoriale composto dai direttori di genere, guidato da direttore generale e AD va proprio in questo senso.
Semplicemente quello che potrebbe tentare di fare chi si trova ad avere l’onore di guidare questa nuova Rai, è quello di dare all’Italia una televisione pubblica che sia di tutti. L’organizzazione e la targetizzazione dei canali è certamente il primo step, cui si dovranno affiancare con il tempo i volti di chi si troverà a dover raccontare questo paese, a dargli il giusto spazio e anche -non da ultimo- a divertirlo.