La Legge di Lidia Pöet, da una storia vera un’eroina italiana trasformata a misura di streaming: la recensione
Tra costume e legal drama, Netflix regala al suo pubblico una serie costruita in modo impeccabile, ma che segue un format ormai ben noto a tutto il pubblico
Dopo averci provato con Luna Nera, Netflix Italia torna a proporre un drama ambientato nel passato. Nel caso de La legge di Lidia Pöet, però, si apre un modo totalmente differente, fatto di casi di puntata, di battute scritte come se i personaggi vivessero ai giorni nostri ed una protagonista che sì, è esistita veramente, ma è stata ri-pensata per diventare un’eroina a portata di streaming.
La legge di Lidia Pöet, la recensione
C’è un po’ di Bridgerton a Torino
Puntata dopo puntata, la nuova serie tv prodotta da Groenlandia (la casa di produzione di Matteo Rovere, anche regista di alcuni episodi, e Sydney Sibilla) rivela tutta la sua fonte di ispirazione che, ovviamente, arriva dall’estero.
Ambientata nella Torino del 1800, la Lidia Pöet portata sullo schermo da Matilda De Angelis è stata scritta per parlare alle giovani donne di oggi. L’operazione, nel complesso, è stata costruita proprio per guardare negli occhi un pubblico contemporaneo, che vuole dialoghi serrati, battute che sappiamo smorzare la tensione al momento giusto e tanti, tanti personaggi affascinanti, provocatori e sensuali. Tutto questo, anche se l’ambientazione è lontanissima da nostri giorni.
Seguendo l’insegnamento di Bridgerton, La legge di Lidia Pöet non cerca la ricostruzione filologica dell’epoca, ma la usa come pretesto per raccontare una storia le cui colonne portanti risaltino maggiormente. Colonne che riguardano temi assolutamente moderni come la rappresentazione della figura femminile, le ingiustizie delle disegualianze e le lotte per le giuste cause.
Il costume drama di Shonda Rhimes, insomma, ha fatto scuola, e la Lidia Pöet di Netflix parte da lì per creare un modo che sembri sì il più italiano possibile, ma che in termini di scrittura strizzi e non poco l’occhio alla serialità made in Usa.
Lidia Pöet, anche legal drama pop
Perché se è vero che la serie appartiene al genere dei costume drama, la sua spina dorsale urla legal drama senza se e senza ma. E qui siamo dalle parti del più classico dei generi televisivi, a cui Netflix si affida per creare un ibrido che effettivamente funziona.
Ogni puntata un caso differente, con una linea orizzontale -la battaglia della protagonista per vedersi riconosciuta all’interno dell’Ordine degli avvocati- che di puntata in puntata sviluppa quella che è la vera storia di Lidia Pöet.
Da una parte, insomma, il rispetto dei canoni di uno dei generi più abusati dal piccolo schermo; dall’altra la volontà di far conoscere un personaggio storico sotto una chiave accattivante, tradendo il contesto storico (o, meglio, non andando oltre la cura scenografica e costumistica) e prediligendo una scrittura fresca e orecchiabile, in vero senso pop.
La Legge di Lidia Pöet, recensione: tutto perfetto, forse troppo
La legge di Lidia Pöet ha tutte le carte in regola per diventare una serie da maratona per quegli abbonati Netflix che cercano serie procedural con quel tocco di originalità che declini il genere in modi differenti rispetto al passato.
Eppure, proprio perché questa serie segue dei canoni ben precisi e rispetta delle regole che ormai tutti quanti conosciamo, rimane una sensazione di già visto di fronte ai sei episodi della prima stagione.
Una sensazione dovuta alla volontà di produzione e sceneggiatori di applicare su una serie italiana un modello statunitense, in cui trama, location e dialoghi rispettano un vero e proprio format. Dalla cold opening che fa itnravedere il caso di puntata, ai momenti più leggeri piazzati qua e là per alleggerire la tensione delle indagini, fino alla chiusura che ci riporta alle vicende private della protagonista. Una scaletta di eventi che, chi divora procedura e legal drama, conosce fin troppo bene.
Potrebbe essere definito un difetto? Assolutamente no, perché La Legge di Lidia Pöet svolge egregiamente il lavoro per cui è stato ideato. Ma se da una parte ci sembra di vedere un lavoro che in Italia si è sempre fatto fatica ad emulare, dall’altra ci viene sempre ricordato che questo lavoro è in realtà la routine di numerosissime altre produzioni straniere. Qualcosa di nuovo, insomma, ma neanche così tanto.