Zelensky a Sanremo, è un problema di contesto. Quando guerra e politica hanno creato imbarazzo all’Ariston
A Sanremo le incursioni di guerra e politica si sprecano. Nel 2004 il collegamento con Nassiriya scatenò malumori, mentre l’anno dopo a turbare il Festival fu il rientro in Italia della salma di Nicola Calipari durante la finale
Il problema non è il videomessaggio di Zelensky. Il problema è Zelensky a Sanremo. Premessa: sbaglia chi afferma che il Festival non sia il luogo della politica e dei temi sociali. Le incursioni, in oltre settant’anni di vita, sono state molteplici e ripetute. La questione, piuttosto, riguarda il contesto.
Inserire l’intervento del presidente ucraino tra il termine di un’esibizione e l’apertura di un televoto rischia di banalizzare il contenuto, oltre a generare una percezione di colpevolizzazione negli spettatori.
“Mentre voi cantate, noi siamo qui sotto le bombe”. La metafora dell’apparizione non si discosterebbe troppo da questa sintesi, andando a provocare un contrasto tanto imbarazzante quanto kafkiano.
Ma la colpa non è e non può essere del pubblico. Sanremo è il luogo dell’eccezione. E’ la settimana santa durante la quale la frivolezza si eleva e il superfluo assume centralità, nell’ottica perfetta dell’evasione e della spensieratezza. Pertanto, se sensibilizzazione deve esserci, questa deve perlomeno seguire la linea della coerenza.
Come detto, all’Ariston i riferimenti all’attualità non sono mai mancati, qualunque fosse la forma. Dai brani in gara alla satira, passando per performance contenenti messaggi con destinatari precisi.
Il collegamento con Nassiriya
Analizzando l’ultimo quarto di secolo, l’intrusione più netta della kermesse in un luogo di guerra fu quella del 2004. Simona Ventura si collegò infatti con i militari italiani a Nassiriya, a pochi mesi dall’attentato che provocò 28 vittime. Tuttavia, quello che era stato pensato come un omaggio si trasformò in ben altro, tra ritardi sulla scaletta, modifiche dell’ultimo secondo e una polemica avanzata da Adriano Celentano, che raffreddò l’atmosfera: “Io amo i carabinieri, come tutti gli italiani, perché ci difendono. Ma cosa c’entrano col Festival? Di chi è stata l’idea?”. La Ventura indicò la prima fila, dove erano seduti il direttore generale della Rai Flavio Cattaneo e il direttore di Rai1 Fabrizio Del Noce, quasi a voler mollare ad altri ogni responsabilità.
In Iraq il malumore si diffuse rapidamente, complice pure un fuso orario di due ore che alimentò il nervosismo. “I cuori dei soldati sono carichi di amarezza, abbiamo cambiato canale – confidò Don Bruno Fiorentino, prete e cappellano militare – Celentano si è servito di noi per attaccare qualcun altro”.
Il surreale ‘talk’ politico del 2010
Non meno imbarazzante fu il ‘talk’ promosso nel 2010 da Maurizio Costanzo nella serata finale. Sul palco salirono tre operai Fiat di Termini Imerese in lotta per evitare la chiusura dello stabilimento. Un tema delicato che assunse la forma della bagarre politica per via dell’intervento dell’allora Ministro per lo Sviluppo Economico Claudio Scajola e del segretario del Pd Pierluigi Bersani. Tra borbottii e fischi, che colpirono soprattutto l’esponente dem, il clima diventò surreale con la conduttrice Antonella Clerici costretta a riapparire per ricordare a tutti che si trovavano al Festival di Sanremo. La perfetta sintesi di come il ‘dove’ risulti spesso determinante per la riuscita di un evento.
Il rientro della salma di Nicola Calipari durante la finale
Stridente – ma stavolta non per peccato della kermesse – la tragica parentesi del 2005, quando il rientro in Italia della salma di Nicola Calipari causò la provvisoria interruzione del Festival in favore del Tg1. Una sovrapposizione tra festa e dramma gestita egregiamente da Paolo Bonolis che, al rientro, proclamò la canzone vincitrice. Il trionfo di “Angelo” di Francesco Renga – canzone con cui l’artista si rivolgeva a una figura celeste, chiedendole di prendersi cura della piccola figlia, ancora inconsapevole dei mali del mondo – contribuì a rendere meno stridula una narrazione che mantenne fino ai titoli di coda i toni consoni alla circostanza.
L’arrivo di Gorbaciov
La partecipazione più accostata a quella di Zelensky è certamente quella di Michael Gorbaciov, che apparve nell’edizione 1999 al fianco della moglie Raissa. “La musica mi ha fatto conoscere Gorbaciov”, rivelò lei per rompere il ghiaccio, mentre l’ex presidente dell’Urss ammise: “Quando bevo un po’ mi capita di cantare”. Risate che vennero accompagnate da applausi fragorosi nel momento in cui dedicò parole d’amore all’Italia: “Siamo giunti da Mosca e vi abbiamo portato il nostro sentimento di amicizia e simpatia. In Russia siete molto apprezzati come amici fedeli e sicuri”. A quasi dieci anni dalla caduta del Muro di Berlino e dal dissolvimento dell’Unione Sovietica, il contributo di Gorbaciov, già Nobel per la Pace, fu più che altro la testimonianza di un’icona ormai fuori dai giochi.
Toto Cutugno e il coro dell’Armata Rossa
La Russia, infine, rifece in qualche modo capolino nel 2013, con Toto Cutugno – ospite d’eccezione – che si fece accompagnare sulle note de “L’italiano” nientemeno che dal Coro dell’Armata Rossa. “Volevano andare a cantare dal Papa, però prima li porto a Sanremo”, dichiarò a La Stampa l’artista, che finanziò l’intera operazione: “Ho un compenso qui ma non voglio guadagnare niente e li voglio spendere così, nel Coro russo”. Alcuni membri del coro si sarebbero trovati, tre anni dopo, a bordo dell’aereo russo della Difesa precipitato nel Mar Nero.
Rispolverata in questi giorni, l’immagine di Cutugno assieme al coro assume un significato distorto, legato ad una presunta propaganda, difficilmente dimostrabile con un anticipo di nove anni sul conflitto in corso.