Zelensky a Sanremo. Tutte le volte che la guerra ha ‘invaso’ l’Ariston
Zelensky interverrà a Sanremo. Non è la prima volta che il tema della guerra invade il festival. Nel 2003 la tensione tra Usa e Iraq condizionò la rassegna. Tra appelli, digiuni e polemiche
La guerra e Sanremo. Il dramma e la festa, la disperazione e la leggerezza. Mondi opposti, contrastanti, che spesso si incrociano. E così sarà sabato 11 febbraio, quando in occasione della serata finale del festival Volodymyr Zelensky interverrà in collegamento.
Un ‘colpaccio’ a livello televisivo, di indubbia suggestione, che scatena al contempo dubbi e perplessità su altri fronti. Il rischio di decontestualizzazione è elevato, con il clima festoso della kermesse che per qualche minuto verrà soffocato dalla narrazione funesta del conflitto.
Lo scontro russo-ucraino, evitato per un soffio un anno fa, stavolta non verrà ignorato. Giusto o sbagliato? I pareri sono molteplici e discordanti, ma di certo la questione non è nuova. Anzi, situazioni del genere il festival ne ha già vissute.
Il caso più celebre risale esattamente a vent’anni fa, quando la 53esima edizione della manifestazione fu turbata dal pericolo dell’esplosione della seconda guerra del Golfo.
In programma dal 4 all’8 marzo 2003, l’avvicinamento all’evento incrociò addirittura l’appello del Papa, che durante l’Angelus fissò per il giorno 5 una giornata di preghiera e digiuno “per la causa della pace”. Giovanni Paolo II spiegò che l’iniziativa sarebbe servita per implorare “la conversione dei cuori e la lungimiranza delle decisioni giuste per risolvere con mezzi adeguati e pacifici le contese, che ostacolano il peregrinare dell’umanità in questo nostro tempo”.
Tra favorevoli e dubbiosi, si scatenò la discussione. Il sì al digiuno venne sposato, tra gli altri, da Luca Barbarossa, Fausto Leali, Amedeo Minghi e Iva Zanicchi. A rifiutarsi furono invece Alex Britti (“Sanremo non è la situazione adatta, c’è troppo stress”), gli Eiffel 65 (“non crediamo che possa servire a far star meglio qualcuno”), Silvia Salemi (“il digiuno toglie le forze”) e persino le due spalle di Pippo Baudo, Claudia Gerini e Serena Autieri, che posero un comprensibile problema di resistenza in caso di kermesse condotta a stomaco vuoto.
Il possibile attacco all’Iraq ad opera degli Stati Uniti preoccupò non poco i piani alti di Viale Mazzini, soprattutto alla vigilia dello show. “Se la guerra scoppiasse malauguratamente nel corso di una delle cinque serate, dovremmo slittare una serata per mandare in onda un programma di informazione, anche se lo slittamento ci creerebbe moltissimi problemi”, ammise il direttore di Rai1 Fabrizio Del Noce nella conferenza stampa di presentazione della rassegna. “Se invece il conflitto dovesse scoppiare prima dell’inizio del festival – proseguì – si potrebbero aprire delle finestre, delle doverose interruzioni, per degli aggiornamenti. Non possiamo nasconderci. E’ purtroppo consistente l’ipotesi che la guerra scoppi proprio in quel periodo”.
Il destino di Sanremo allarmava più di ogni altro aspetto. Forse perché quella guerra non ci coinvolgeva direttamente, o forse perché ci appariva geograficamente lontana. “Mi sto toccando tutto quello che posso“, scherzò Baudo. “Volerò a Washington per parlare con Bush sperando che la guerra non scoppi o che comunque scoppi dopo Sanremo”. E ancora Del Noce diede l’idea delle priorità: “Speriamo che la guerra non ci sia e, parlando in senso più pratico, speriamo che non interferisca con le serate del festival“.
Una volta in onda fece capolino la grana dei pacifisti, con don Vitaliano Della Sala e Vittorio Agnoletto che invocarono spazio sul palco per leggere un messaggio di pace: “Una manifestazione popolare come il festival non può ignorare un sentimento così largamente condiviso. Sarebbe un gesto in grande sintonia con la maggioranza degli italiani che è contro la guerra”.
L’auspicio restò tale e i due leader del movimento no-global dovettero accontentarsi di presenziare come spettatori in platea, in quanto muniti dei biglietti di ingresso.
“Non sarà consentito nessun intervento sul tema della pace all’interno del Festival di Sanremo”, sentenziò il direttore di Rai1. “La posizione aziendale e della rete è chiara, ci sono apposite regole per l’accesso e per il pluralismo negli spazi di informazione. Questo non è uno spazio di informazione, né di dibattito politico”.
A trasgredire, in un certo senso, fu Enrico Montesano, ospite d’eccezione della seconda serata. Una performance desolante nel suo complesso, che toccò il picco negativo proprio quando l’attore rivolse un pensiero ai leader di Usa e Iraq: “Pippo, perché non invitiamo Bush e Saddam e li facciamo cantare, così si danno una calmata?”.
Dalla seconda alla primissima guerra del Golfo. Al contrario, nel 1991 l’influenza sul Festival si percepì nitidamente, dal momento che andò a modificare la scaletta originaria: era l’epoca dell’abbinamento dei big con gli interpreti stranieri, tuttavia il delicato scenario internazionale bloccò negli Usa i Bee Gees, Stevie Wonder e Al Jarreau. A risentirne fu pure il clima generale, oltretutto azzoppato dalla conduzione non esaltante di Andrea Occhipinti ed Edwige Fenech.