La docu-fiction su Arnoldo Mondadori suscita interesse grazie alle testimonianze, ma le ricostruzioni sono troppo “spiegoni”: la recensione
La ricostruzione di alcune scene della vita del protagonista cadono nel didascalismo e non riescono a fornire il giusto aggancio alle testimonianze, che restano la parte più interessante della docu-fiction
Il formato delle docu-fiction Rai è ormai noto ai telespettatori. Un misto di messa in scena, di filmati di repertorio e testimonianze che attraversano un’epoca storica differente dalla nostra e che, soprattutto, fanno rivivere grandi personaggi. Succede così anche in Arnoldo Mondadori-I libri per cambiare il mondo, ma l’effetto, purtroppo, non è lo stesso di altre produzioni simili.
Arnoldo Mondadori, la recensione della docu-fiction
Nel caso della fiction su Arnoldo Mondadori, però, a perdere mordente è proprio la parte della ricostruzione. Nonostante un cast guidato da Michele Placido, sono le scene in cui vengono ricreati alcuni momenti salienti della carriera professionale del protagonista a lasciare un po’ di amaro.
Il motivo è sempre quello: l’eccessivo didascalismo dei dialoghi con cui i vari personaggi interagiscono tra di loro, come se fossero all’oscuro del periodo storico che stavano vivendo o, addirittura, delle loro stesse situazioni. Nelle docu-fiction la parte della messa in scene dovrebbe regalare al pubblico un’umanità dei protagonisti che i filmati di repertorio o le testimonianze non riescono a proporre per vari motivi oltre che, ovviamente, a rendere più semplice ed accattivante il filo del racconto.
Fin da subito, però, capiamo che in questo caso non è così: vedere Mondadori fare lo spiegone agli operai della sua tipografia o passeggiare in centro a Torino con la moglie offrendole i dettagli sul perché “Epoca” non sta funzionando non ci dà nulla di più di quello che le interviste inserite nel corso dei 90 minuti possono darci.
Un prodotto che viaggia su due binari, che però non riescono ad intrecciarsi come richiede il genere della docu-fiction. Il risultato è che da una parte la rappresentazione vuole spiegare troppo, mentre al documentario si chiede di fare solo da aggiunta. Un equilibrio che non viene raggiunto e che offre un risultato riuscito a metà.