Che c’è di nuovo è un Nemo più chiacchierato e con meno monologhi (e una scaletta sciagurata)
C’è poco di nuovo in Che c’è di nuovo, anche se il finale regala inaspettatamente qualcosa che potrebbe lasciar bene sperare. La recensione.
Rispondendo al titolo, anche se questo non è posto in forma interrogativa, verrebbe da dire che a Che c’è di nuovo c’è poco di nuovo. Il programma di Ilaria D’Amico non è altro che una variazione su tema del fortunato Nemo, che venne chiuso solo per un’incomprensibile decisione di Carlo Freccero, allora direttore di Rai2.
Questa volta siamo di fronte a un programma più chiacchierato, in cui la dimensione dei monologhi fa un passo indietro rispetto al confronto tipico da talk, che però si propone in una forma pacata e ordinata fra i cosiddetti compagni di viaggio della conduttrice. A non aiutare questo debutto è stata sicuramente la sciagurata scaletta messa in piedi dagli autori, che ha visto così la prima ora di trasmissione monopolizzata dalla guerra in Ucraina.
Non è bastato l’interessante e originale reportage di Andrea Serasini, che ha raccontato la guerra vista dal fronte russo, a tenere alta la tensione narrativa di un blocco così consistente di trasmissione, diluito dal commento in studio di Ferruccio De Bortoli e dal controbilanciamento del racconto bellico portato dal collegamento e dal reportage di Daniele Piervincenzi.
Bastava sfruttare la compattezza e l’unicità dell’esperienza documentata da Serasini in Russia per aprire la puntata di Che c’è di nuovo, che invece così si è incagliato fin dall’inizio in una sensazione che si è ulteriormente amplificata quando a seguire la scaletta ha previsto uno “spiegone”, seppure in termini accessibili a tutti, di Guido Maria Brera su cosa sia l’inflazione in questo momento. Il tutto è stato poi condito da una promozione, spacciata inizialmente non per tale, con Kim Rossi Stuart.
Un inizio insipido che ha avuto il coronamento nell’intervista a Maurizio Landini, con il quale si è valutato l’esordio del governo Meloni e la situazione sanitaria e soprattutto ospedaliera post pandemica. È stato in assoluto il momento più debole di tutta la puntata: la D’Amico non ha dimostrato piena padronanza nel controllo dell’intervista e il momento si è appesantito con la sola voce di Landini, che avrebbe avuto la necessità di un controcanto offerto dai “compagni di viaggio” (da quello che si è capito cambieranno in realtà di settimana in settimana).
Il blocco decisamente più frizzante e dinamico è stato quello finale in cui è stato dato spazio ai giovani e alle loro proteste, non incentrando il discorso esclusivamente sulla vicenda della Sapienza, dove pure ci si è collegati per testimoniare l’occupazione della facoltà di Scienze Politiche, e che è stata argomento di discussione in studio, ma allargandolo anche ad altre manifestazioni. Si è poi raccontato l’impegno politico di due giovani ragazzi dal pensiero politico contrapposto, a cui si è aggiunta nel finale la corrispondenza speciale della tiktoker Natasha Ottavi che ha fatto un giro nella periferia romana di Tor Bella Monaca per capire come si sono comportanti gli abitanti nel voto di un mese fa.
Che c’è di nuovo parte quindi con alcune difficoltà, legate soprattutto a scelte di scaletta e argomenti rivedibili, ma anche con alcuni punti di forza (vedi l’originalità del racconto reportagistico e l’attenzione data senza toni paternalistici ai giovani, con tanto di collegamento da dentro la sede occupata dell’università, con raccolta di voci contrastanti sulla stessa occupazione).
Qualcosa di nuovo forse c’è, ma si deve per ora ancora vedere.