DiMartedì resta fedele a se stesso e al ‘too much’
Uno dei ‘pregi’ di DiMartedì è che con una puntata si potrebbe coprire tutto l’access settimanale; ne è anche il limite: la durata non lo rende godibile.
DiMartedì è tornato così come ci aveva salutato solo qualche settimana fa. Quella del 6 settembre 2022 è la trecentesima puntata del programma e Floris fa bene e tenere un unico conto: in fondo è sempre lo stesso show. Come la maggior parte dei programmi in questa prima tranche di kick-off autunnale, il talk condotto da Giovanni Floris non presenta differenze nella struttura, nella scenografia, nella confezione e nella durata. Neanche nella quantità di applausi. Per cui per affrontare le oltre 3 ore di programma, al netto dei tanti e lunghi blocchi pubblicitari, bisogna decidere di isolare il canale audio del clapping, altrimenti il rischio di uscire pazzi resta molto alto.
Se lo schema e le dinamiche del programma restano di fatto inalterate, c’è da dire che la prima puntata di questa stagione ha avuto un bel biglietto da visita, con Mannarino che ha dato il via offrendo al pubblico una sua variazione sul tema di Sixteen Tons, colonna sonora del programma. Una delle migliori sintesi della situazione politica italiana sentite negli ultimi mesi.
DiMartedì, la parte migliore è la prima mezz’ora
“Va vai, nel mondo binario,
il treno della storia sta tornando in orario,
la camicia scura qui va molto di moda
e qualche dinosauro ha dato un colpo di coda”.
Questa è la prima delle due strofe scritte e cantate da Mannarino nell’intro della prima puntata di DiMartedì. Come dicevo, la migliore sintesi della situazione attuale, cui segue la copertina di Luca e Paolo, altrettanto brillante nel delineare il peggio di questi ultimi mesi, tra crisi di Governo, miserie politiche e piccolezze elettorali. Un compendio di quanto è accaduto e sta accadendo messo in fila con lucidità e precisione.
La prima mezz’ora di programma, dunque, si presenta come la parte più chiara, focalizzata, argomentata dell’intera serata: il fatto che siano un cantautore e una coppia di comici/autori a offrirla non è un caso. Il distacco dell’arte dà i suoi frutti rispetto a un racconto televisivo che si basa sui commenti e sulla becera propaganda prima ancora dei fatti, sia sul piano politico che giornalistico.
Contenuti e durata, con DiMartedì si riempie una striscia di daytime
Il bello di DiMartedì è che in fondo è vario: sembrerebbe di no, ma in realtà compendia i vari generi di racconto politico in tv. C’è l’intervista singola (e si parte con una one to one con Bersani che vale il prezzo del biglietto), c’è il dibattito a ‘gabbie aperte’, c’è l’uno contro tutti (Conte vs il parterre misto formato da giornalisti, scienziati, attori, etc etc), c’è il confronto tra figure politiche (in questo caso Tabacci vs Di Battista), c’è l’analisi a più voci su un dato argomento, che in questo caso – e immaginiamo sia il leit-motive della stagione, come qualche anno fa sono state le pensioni e poi il Covid – è dato dal caro-bollette, di cui si discute mischiando aspetti economici e di politica estera, convenienze di partito e le analisi di chi parla con cognizione di causa. Peccato che questi interventi illuminanti siano pochi e per quanto sollecitati da Floris si perdano nel turbinìo della propaganda.
In breve, sia per varietà dei generi di talk politico offerti sia per durata, una puntata di DiMartedì potrebbe essere spezzettata e offerta come ‘appetizer’ nel daytime quotidiano della rete. Basterebbe la metà di un blocco di Floris per confezionare una striscia feriale, volendo anche con le repliche, anche perché riuscire a vedere una puntata intera con la stessa lucidità dell’inizio è missione improba per il telespettatore, che viene da una giornata di lavoro – nella migliore delle ipotesi – e che ha da affrontare un’altra giornata di lavoro – sempre nella migliore delle ipotesi. Un recupero dei contenuti – non iperframmentati come nelle clip video disponibili sul sito di La7 – non sarebbe una così pessima idea (con buona pace di Padre Brown).
Il vero mistero, diciamo, resta l’ultimo segmento, DiMartedì Più, che è davvero ‘di più’: dopo circa tre ore di programma (diciamo due e mezzo al netto della pubblicità) si introduce un altro ospite, Paolo Mieli, con libro al seguito e commento al sondaggio di Pagnoncelli (consumato nel segmento in notturna) e si danno poco meno di 10′ a Barbara Gallavotti per parlare dei meccanismi della comunicazione. Quest’ultimo è senza dubbio uno degli interventi più interessanti della serata, ma ci si domanda cosa ci faccia lì, relegato quasi a mo’ di riempitivo a notte ormai iniziata: potrebbe essere invece uno spazio autonomo, uno spin-off educational sulla comunicazione politica di assoluto pregio. E invece buttato lì, a riempire. E non è finita: segue altro giro di dibattito con la viceministro del Ministero dello Sviluppo Economico Alessandra Todde, Tommaso Labate, Gianfranco Rotondi… insomma un’ultima mezz’ora che altrove sarebbe il pezzo forte della serata.
Decisamente too much.
Floris apre le gabbie e si imprigiona
Se c’è una cosa su cui c’è poco da discutere è che le interviste one to one restano il punto forte di Floris. Nel genere ha pochi rivali per precisione, attenzione, capacità di ascolto, abilità nel rilanciare sul filo narrativo dell’interlocutore, sia pur con fare delicato quando si tratta di fact checking: da padrone di casa preferisce puntualizzare col sorriso piuttosto che andare a gamba tesa come si farebbe con un commensale invitato a cena a casa propria. Qui, però, i commensali sono aggressivi, tendenzialmente maleducati, poco inclini all’onestà intellettuale e con una conversazione orientata più alla malafede che alla discussione dei fatti. Di conseguenza il comportamento da ‘ospite signorile’ si nota, ma fa fatica a distinguersi nella bolgia.
Se c’è una cosa, dunque, che diventa difficile da digerire nella costruzione narrativa – non solo di questa edizione e verrebbe da dire non solo di questo talk – è la tendenza ad ‘aprire le gabbie’ e lasciare che ciascuno dica qualsiasi cosa, mistificando i fatti per interessi elettorali, lasciando alle opinioni un peso pare a quello dei fatti – che sono assolutamente secondari, indistinguibili dalla propaganda -, trasformando qualsiasi argomento in un osso lanciato alle fiere nell’arena. Certo, Floris interviene quando sente che si esagera, dando la parola al competente o al ‘neutro’/esperto di turno, ma resta un lampo in una tempesta di fulmini: si percepisce appena. E non basta abbassare i microfoni per prendere la parola: è un modo per gestire i tempi più che per gestire il dibattito. E così Floris finisce per essere prigioniero di quelle gabbie che ha aperto.
Less is more, verrebbe da dire. Ma questo è il DiMartedì di Floris, da circa 300 puntate.