Rai e la missione di un Servizio pubblico, partendo da Antonello Falqui
Da una frase del grande Antonello Falqui il claim della via da seguire per la televisione pubblica
“Odio tutto ciò che è casuale, fortuitamente lasciato agli eventi, fuori dell’orbita del pensiero. Accanto all’esigenza di accontentare il pubblico nei suoi desideri, ci deve essere anche una volontà di stimolo al buon gusto, a un minimo di senso critico“. A dire queste parole era il grande Antonello Falqui, il più grande regista del varietà televisivo di tutti i tempi e che TvBlog ha avuto la fortuna di incontrare. Lo disse lui, ma potrebbe benissimo dirlo anche l’amministratore delegato della Rai. Se ci deve essere un’azienda televisiva che dovrebbe fare andare a braccetto i desideri del pubblico alla volontà di stimolarne il buon gusto, l’estetica ed il senso critico, questa deve essere la televisione pubblica, la Rai.
Quindi accanto a trasmissioni squisitamente popolari, spazio anche a programmi che stimolino il senso critico-culturale del pubblico, magari inserendo negli stessi programmi di puro intrattenimento elementi estetici che adempiano in qualche modo a questo, chiamiamolo pure, dovere. Quindi in realtà nessuna riserva indiana, ma esattamente come capitava negli spettacoli di varietà diretti da Antonello Falqui, spazio ad elementi squisitamente artistici e scenicamente perfetti come i balletti delle gemelle Kessler coreografati da Don Lurio, mixati con le scenette comiche portate avanti però da grandi attori e comici, uno su tutti l’immenso Walter Chiari, che con Falqui condusse una mitica edizione di Canzonissima.
Dicevamo no alle riserve indiane, ma si ad elementi dispositivi anche su temi non facili in prima serata su Rai1, mossi però da stimoli di curiosità informativa che sappiano leggere ed interpretare i suddetti temi in modo semplice, coinciso, accattivante e non vetusto, ingessato e noioso. L’importante è che quegli stessi temi siano presentati dalle eccellenze degli argomenti in oggetto, perchè l’autorevolezza e la credibilità passa proprio da queste strade. Sul fronte ascolti vale la pena ricordare che un 10% di share nel totale individui in prima serata, ma con una ben più alta percentuale di share nei target pregiati, spesso lontani per esempio da Rai1, vale certamente di più di un 15% di share ma con una platea da “zoccolo duro“. L’esempio ultimo è quello dello Speciale Tg1 sulla crisi di governo che ha ottenuto il 9,48% di share (vincendo per altro la serata) ma con un 15% di share fra i laureati e con una platea composta per il 35% da pubblico facente parte della classe socio economica alta e un 52% di telespettatori con un grado di istruzione elevato, solitamente fasce di pubblico queste poco avvezze alle frequenze della prima rete della Rai. Altro esempio di vero Servizio pubblico il programma condotto da Corrado Augias su Rai3 La gioia della musica, un piccolo gioiello televisivo di cui è stata decisa giustamente una seconda serie.
La lettura quindi degli ascolti non si deve fermare al mero numerello totale delle dieci del mattino, ma deve ampliarsi in tutto il quadro di elementi che la compongono. Facile a dirsi, naturalmente evidente e pure per certi versi, senza offendere nessuno, scioccamente elementare dire che un 10% è meno di un 15% di share, perchè per una analisi di questo tipo basta l’occhio di un signor chiunque, più interessante capire cosa c’è dietro quel numerello e anche infinitamente più interessante, sopratutto per gli addetti ai lavori e per chi quegli stessi numerelli li commenta per il grande pubblico, ci si augura laicamente.