La Casa di Carta Corea e quei dettagli che fanno un remake interessante: la recensione in anteprima
La rapina è la stessa, ma a fare la differenza sono i dettagli, che rendono questo remake potenzialmente più interessante
Fonte: Jung Jaegu/Netflix
Che sfida difficile i remake. Rifare una serie tv di successo cercando di metterci del proprio senza snaturarne il dna (ovvero il format) dell’originale richiede pazienza, tecnica, ma anche un po’ di sana follia. Tutte componenti che in Corea del Sud, in questi anni, hanno dimostrato di avere, sfornando produzioni che non hanno fatto fatica a girare per il mondo (Squid Game vi dice qualcosa?). Con La Casa di Carta Corea l’asticella si alza: in questo caso, non solo il confronto è d’obbligo, ma va fatto con uno dei fenomeni seriali che più hanno tenuto banco negli ultimi anni.
La Casa di Carta Corea, la recensione
Portare dall’altra parte del mondo la storia della rapina più incredibile di sempre richiedeva tanta attenzione, sia verso la storia originale creata da Álex Pina che verso i fan che in questi anni sono diventati dei veri adepti della banda guidata dal Professore.
Perché La Casa di Carta ha costruito il suo successo non solo con i personaggi ed il loro ammiccare in continuazione all’action ed alla romance, ma anche sul messaggio di cui la serie stessa si è fatta portavoce, soprattutto nelle stagioni più recenti. Il boom di “Bella ciao”, la resistenza ai poteri forti ed i sogno di rubare ai ricchi come forma di protesta verso le diseguaglianze provocate dal capitalismo dovevano rimanere nel remake coreano, inserendosi in modo naturale.
L’idea che ne è scaturita, va detto, funziona ed incuriosisce: immaginarsi un futuro in cui le due Coree si uniscono e progettano un futuro insieme a partire da una moneta unica e la base di partenza che mette subito in chiaro le cose. Sì, è La Casa di Carta che già conosciamo, ma sarà anche qualcosa di diverso. Un qualcosa che si avvale di ideali politici, economici e sociali e che neanche troppo velatamente punta il dito contro il capitalismo occidentale, quello che di fatto ha permesso la realizzazione di questo remake.
Un sistema che promette una vita migliore per tutti ma che alla fine arricchisce solo pochi (e i soliti) è la giusta premessa da cui far partire la rivisitazione di una serie che, alle sue origini, non aveva le idee così chiare, cercando di conquistare il pubblico con scene ad alto tasso emotivo ma poco utili alla costruzione della trama a lungo termine e quella sensazione che, per giustificare qualsiasi colpo di scena, bastava dire “il Professore lo aveva previsto”.
La Casa di Carta Corea sembra sapere già dove andare a parare: d’altra parte, la visione d’insieme di tutte e cinque le parti della versione spagnola hanno aiutato produzione e sceneggiatura a pianificare al meglio il remake, che parte con le idee chiare e non si gioca subito tutte le carte a disposizione.
Cosa più importante, è un remake che sa aggiungere del suo a quanto già sappiamo. Certo, la rapina ed i suoi snodi sono confermati, ma le scelte più interessanti sono quelle che si allontanano dal format spagnolo: dalla minore presenza dei flashback al rapporto tra le versioni coreane di Raquel ed il Professore (e fate attenzione a come si chiama la tavola calda in cui si incontrano), fino a quelle scene praticamente riscritte da zero rispetto all’originale.
Chi non ha amato La Casa de Papel in questi anni difficilmente si appassionerà a questo remake. Ma dalla Corea del Sud giunge una storia in parte altra rispetto a quella che già sappiamo come finirà, ed è questo il fatto chiave che ci permette di dire che questo progetto parte meglio di quanto ci si sarebbe potuti aspettare. La strada è ancora lunga (c’è una Parte 2 con altri sei episodi che Netflix distribuirà prossimamente), ma questa rapina potrebbe diventare più interessante di quella per cui mezzo mondo è già impazzito.