Mostri senza nome – Genova, Daniele Bocciolini: “Si torna sui cold case per voglia di giustizia, non per dare la ‘caccia all’assassino'”
Daniele Bocciolini ci racconta Mostri senza nome: Genova, ma soprattutto ci fa entrare nel crime, come genere tv e racconto della società.
Continua il ciclo di ‘Mostri senza nome‘, la serie originale di Crime+Investigation (Sky, 119) che torna in seconda serata con quattro ‘nuovi’ cold case questa volta accomunati dall’aver avuto Genova come teatro dei delitti. Si è partiti martedì 24 maggio col “Delitto del trapano” del 1995 e si chiude il 14 giugno con l’omicidio di Anna Rossi Lamberti. La formula della serie, che ha già affrontato casi di cronaca irrisolti a Roma e a Milano, non cambia e ripropone l’inedita sinergia con Radio 24 da cui si ‘mutua’ la voce narrante, quella di Matteo Caccia che ogni giorno accompagna i radioascoltatori con le sue storie e col racconto delle vite comuni e straordinarie degli affezionati fans di Linee d’Ombra. La sua forza affabulatoria si unisce al racconto per immagini che completa la produzione realizzata da Creative Nomads per A+E Networks Italia, con la regia di Giampaolo Marconato e l’autorialità di Simone Giorgi e Carlo Altinier. Ogni puntata va in onda su C+I alle 22.55 del martedì, anticipata alle 15.00 su Radio 24 dagli elementi chiave dei quattro casi irrisolti raccontati da Caccia.
Come dicevamo, la prima puntata è già andata in onda e siamo alla vigilia della seconda di questo ciclo genovese, tutto incentrato su femminicidi che non hanno trovato ancora un colpevole. Alla storia di Luigia Borrelli, che ha aperto il ciclo, segue martedì 31 maggio la storia di Maria Maddalena Berruti in quella che è stata ribattezzata “La maledizione del cioccolatino“: Maria Maddalena ha 82 anni quando viene trovata morta, nel 1987, strangolata da un cordino per i panni e circondata da strane macchie di vernice a spray verde. Cinquanta anni prima la sua unica figlia era morta per un cioccolatino. Nessun legame tra i due casi, però: un uomo confessò il delitto a un prete, ma nessuno riuscì mai a identificarlo. La terza puntata, in onda il 7 giugno, è dedicata a “L’ex infermiera che amava contare le banconote“, ovvero Sebastiana Melis, uccisa quando aveva 69 anni: un delitto sanguinoso che sembra ruotare intorno a patrimoni immobiliari e monetari, testamenti, crediti, che hanno fatto pensare anche a una storia di strozzinaggio, ma le indagini non hanno portato a nulla di concreto. Si chiude, come anticipato, il 14 giugno con “Ciao, bella signora”, che affronta il caso di Anna Lamberti Rossi, una merciaia in pensione trovata morta in casa nel 1998 a Genova, uccisa da 8 fendenti al dorso, al collo e all’addome: le indagini portarono la polizia sulla pista di una rapina finita in tragedia, ma la scena del crimine fa pensare che la donna conoscesse il suo assassino. Per quel caso fu arrestato Donato Bilancia, uno dei più sanguinosi serial killer italiani, ma ha sempre negato di avere a che fare con questo omicidio, rimasto senza soluzione.
È proprio con la seconda puntata che debutta nel format l’avvocato penalista Daniele Bocciolini, membro del Comitato Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Roma e volto noto al grande pubblico televisivo per l’equilibrio e il garbo con cui commenta e analizza i grandi casi di cronaca nei talk più seguiti, senza mai prestare il fianco a polemiche ed eccessi sterili e controproducenti, soprattutto quando si consumano intorno a delitti e dolori. Con lui abbiamo cercato di delineare non solo il profilo di questo specifico programma tv, ma di ragionare sulle funzioni, sulle caratteristiche, sul valore del racconto crime in tv.
Non posso che partire dal chiedere quale è il ruolo che ricopre in questa produzione, narrativamente e ‘investigativamente’ parlando.
In Mostri senza nome parleremo di quattro casi di omicidio che restano ancora senza un colpevole e senza un perché: quattro femminicidi che rientrano nei cosiddetti cold case. Il mio ruolo sarà quello di cercare di ricostruire e di far luce su queste storie; analizzerò gli indizi e gli elementi investigativi raccolti dal punto di vista dell’avvocato penalista, esperto peraltro in scienze forensi.
Perché è utile tornare sui cold case? Intendo dire che è certo che abbiano sempre il fascino dell’insoluto sul grande pubblico, ma al netto dell’attrazione narrativa quanto è importante che se ne parli, sul piano investigativo?
Secondo me è importante parlarne proprio per l’amore della Verità che deve condurre chi fa il mio lavoro: anche a distanza di decenni, anche quando sembra che tutte le piste siano state battute, c’è sempre quell’elemento ‘nuovo’ che può far riaccendere la speranza ed evitare che il caso si raffreddi, appunto. L’interesse che deve prevalere non è la ‘caccia all’assassino’ ma la voglia di Giustizia. Troppo spesso ci si dimentica della vittima. Negli ultimi anni è sempre più comune che si riaprano indagini su casi chiusi da tempo grazie alla scienza. L’evoluzione tecnologica ha reso possibili cose impensabili in tanti campi. Si pensi al ruolo centrale che sta assumendo l’analisi del DNA e la cosiddetta ‘prova scientifica’. Sull’esame delle tracce biologiche alla luce delle nuove tecniche investigative si fondano moltissime richieste di revisione dei processi.
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Come decide di partecipare a un programma tv? Quali sono i ‘parametri’ che soddisfano la sua ricerca di rigore narrativo e investigativo?
Personalmente ho sempre rifiutato quei contesti dove si cavalca l’aspetto più morboso e sensazionalistico. Per parlare di certe storie occorre tanto studio, competenza e , soprattutto, delicatezza. Per questo, per la stima e la fiducia reciproca che ci lega, da anni mi onoro di partecipare a trasmissioni quali “Unomattina”, “Storie italiane” e “La vita in diretta”. Perché sono gruppi di lavoro fatti da ottimi professionisti che sanno bene come trattare questi casi. Per me conta moltissimo anche il linguaggio. Tutto quello che va in onda ha un peso, ma le parole in tv sono importanti.
E sull’importanza delle parole in tv non posso che darle assolutamente ragione…
Ho accettato di partecipare a “Mostri senza nome” proprio perché ho apprezzato il modo di raccontare queste vicende terribili, facendo prevalere la pietas e rispettando la memoria della vittima. Mi piacerebbe che il pubblico riuscisse a cogliere proprio questo aspetto umano. Il ‘lato oscuro’ dell’animo umano suscita sempre una forte attrazione, ma spesso il male riesce ad essere incredibilmente banale; persone apparentemente ‘normali’ sono capaci di compiere mostruose atrocità. La narrazione può dirsi riuscita, a mio parere, quando è esente da qualsiasi tipo di ‘giudizio’ o ‘pregiudizio’.
Quali pensa possano essere i punti forti del trattamento della cronaca nera in tv – inclusi i talk visto che è spesso consulente e ospite in occasione di grandi casi di cronaca – e cosa pensa, invece, manchi sia nei contenuti ‘scripted’ sia in quelli invece più tradizionalmente lasciati al commento in diretta.
Un punto forte è la semplicità del linguaggio che deve essere il più possibile accessibile a tutti e il ritmo con la quale vengono trattati i casi: breve introduzione / commento dell’ospite in studio / collegamento con l’inviato sul posto. Il pubblico si affeziona spesso ai casi proprio perché vengono raccontati come fosse un romanzo popolare. Ma occorre evitare la superficialità. Quello che a volte manca è proprio l’approfondimento dell’aspetto tecnico : a mio parere, la cronaca giudiziaria non può prescindere dalla figura del consulente “esperto” che sia interno al programma o in video. I grandi casi di cronaca , proprio perché dividono l’opinione pubblica, non possono essere rimessi al mero racconto o alle opinioni ma hanno bisogno anche di essere spiegati. Il mio compito è proprio quello di studiare tutti gli atti per far capire cosa c’è dietro un’indagine e come funziona il processo. Sono molto scrupoloso perché questa materia va trattato con estremo rispetto. Se non sono vicende giudiziarie che ho seguito io personalmente spesso , anche per una questione di correttezza, prima di andare in onda, contatto i Colleghi per un confronto. Cerco sempre di trovare l’occasione per mandare un messaggio positivo a chi ascolta . Per me, come diceva Calamandrei , “l’avvocato non può essere un puro logico né un ironico scettico, l’avvocato deve essere prima di tutto un cuore.
Ultimamente ha commentato l’intervista di Alberto Stasi a Le Iene, sottolineandone la comprensibile funzione per l’immagine del colpevole, ma evidenziandone anche i rischi: operazioni del genere rischiano di minare la fiducia nella giustizia?
Penso che Stasi abbia tutto il diritto di proclamarsi innocente come sta facendo da anni. Anche ribadirlo nel corso di una trasmissione televisiva è uno strumento lecito. Il diritto di cronaca non si esaurisce, infatti, con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Non bisogna dimenticare però che a livello processuale è stato condannato al di la’ di ogni ragionevole dubbio. Certamente, “Le Iene” con la professionalità che caratterizza le loro inchieste non avevano la pretesa di “riscrivere” il processo sulla base delle sole dichiarazioni dell’imputato, ma non tutti hanno gli strumenti critici per comprendere certe dinamiche. Gli errori giudiziari ci sono ed è giusto ribadirlo , ma sono sempre i giudici a dover valutare la sussistenza di elementi “nuovi” che siano in grado di riaprire il caso e ribaltare la condanna. Non esiste ancora la ‘revisione televisiva’.
Per restare in tema di attualità, sono i giorni del processo Depp – Heard: si attende la sentenza di un complicato che intreccia celebrities, violenza, diffamazione, stalking e che sembra avere già un vincitore nell’opinione pubblica. Immagino che senza poter avere accesso a documenti e carte si possa dire poco, ma per come ci arriva tramite la tv e i social network come pensa questo processo possa influire sulla percezione della violenza domestica anche qui da noi? Un passo in avanti verso la ‘laicizzazione’ della vittima – non necessariamente donna – o un passo indietro verso una mascolinità tossica?
Mi occupo quotidianamente di violenza domestica e crimini di famiglia nelle aule di giustizia. Le dinamiche legate a questo tipo di vicende sono molto complesse. Lo sono ancora di più , come mi è capitato nel corso della professione, quando i protagonisti sono personaggi famosi o con una funzione pubblica. In questi casi, la verità mediatica arriva molto prima di quella processuale. E il verdetto “social” può arrivare a distruggere il “personaggio” dimenticando che dietro quel personaggio ci sono delle persone, magari con dei figli minorenni da tutelare. Se è inevitabile che l’opinione pubblica si divida non può essere tutto semplicisticamente ricondotto alla dicotomia tra “buoni e cattivi” o al tifo da stadio. Non ho apprezzato la narrazione del processo Depp- Heard nemmeno per come è stata fatta qui in Italia. Alcune trasmissioni sono arrivate ad analizzare il linguaggio non verbale di Amber per cercare di dimostrarne l’inattendibilità. Sono strumenti assolutamente non consentiti nelle nostre aule di tribunale: per me questi pseudo “esperti” non devono trovare spazio nemmeno in tv. Oramai si è insinuata nell’opinione pubblica l’idea che Amber sia una bugiarda. Per fare un parallelo e senza voler entrare nel merito specifico della vicenda, spesso la donna realmente vittima di violenza, fa molta difficoltà ad essere creduta anche in Tribunale. Non a caso molte denunzie vengono ritirate, proprio perché esiste la cd. “vittimizzazione secondaria”, la donna è vittima del proprio aguzzino e delle istituzioni che spesso non la tutelano come dovrebbero. C’è poi sicuramente un altro fenomeno che meriterebbe più spazio anche in tv: le false denunzie. Sempre più spesso si ricorre alla giustizia penale strumentalmente magari per ottenere benefici di tipo economico o per mero spirito di ritorsione nei confronti del partner. Non ci dimentichiamo che la violenza non ha sesso. A mio parere è proprio necessario un approccio più “laico”. Pensiamo al caso del cantante Blanco. Se quel “palpeggiamento” fosse stato posto in essere da parte di un uomo nei confronti di una donna, sarebbe scoppiato giustamente il putiferio. Si sarebbe invocata la giusta pena per quella che tecnicamente è una “violenza sessuale”. Al contrario, trattandosi di un uomo, si è parlato di una semplice “molestia” ed è finita con una risata generale . E’ un problema culturale. Dobbiamo fare ancora tanta strada andre sugli stereotipi di genere.
Amber Heard e Johnny Depp sono gli ultimi protagonisti di un genere tv molto popolare in USA, il ‘trial’ in diretta. Da noi stralci di vita processuale ci sono arrivati per lo più con Un giorno in Pretura, un programma comunque scritto, montato, costruito per dare il senso complessivo di processi che durano anni. Pensa che un genere come il ‘processo in diretta’ possa essere utile alla tv italiana, e al pubblico, per capire davvero i meccanismi della giustizia in azione?
Programmi come “Un giorno in pretura” o “Storie maledette” dell’amica Franca Leosini hanno una funzione fondamentale proprio per capire come funzionano i processi. Dietro c’è uno studio incredibile e una riproduzione assolutamente fedele di quello che accade in aula. È chiaro che nella scrittura e nel successivo montaggio che seleziona tra centinaia di ore alcuni minuti o che commenta le parole dei testimoni con le inquadrature dei presenti si nasconde un’opinione, ma la straordinaria bravura sta proprio nel mantenere l’obiettività lasciando al telespettatore tutti gli elementi per farsi la propria idea.
Ha mai proposto di proprio pugno un format tv? C’è qualcosa che le piacerebbe curare in prima persona?
Mi piacerebbe condurre un programma parlando di diritto e di diritti ai ragazzi. Lo faccio da anni andando nelle scuole, affrontando argomenti quali il bullismo, il cyberbullismo, l’adescamento on line, il furto di identità, la violenza di genere, anche simulando veri e propri processi nelle classi dove le parti in causa (pubblico ministero, persona offesa, imputato) sono interpretate dai ragazzi stessi. Credo molto nelle nuove generazioni, hanno molti più strumenti di noi ma vanno ascoltati e supportati di più proprio per questo . La cosa che stupisce è che alla fine di ogni lezione, in ogni classe c’è un ragazzo che mi si avvicina e mi confessa di essere vittima di bullismo o magari di essere stato oggetto di attenzioni sui social. Significa che la nostra missione è riuscita. Poterlo fare in tv sarebbe un buon modo di far coincidere la finalità divulgativa di comunicare come funziona un processo con quella di aiutare le vittime ad aprirsi e magari l’autore del reato a riabilitarsi.
Un contenuto da far veicolare in tv e sui social, senza dubbio, per sensibilizzare gli adulti e rendere consapevoli i ragazzi di rischi troppo spesso sottostimati. Ci auguriamo davvero che arrivi in tv. E nel frattempo non possiamo che ringraziare l’avv. Bocciolini per averci offerto uno sguardo approfondito su un genere di cui si tende a vedere solo la superficie.