La corsa al Quirinale non interessa il pubblico? Vero a metà. Il covid ha stravolto la narrazione
Gli speciali sul Quirinale non sfondano in tv. Ma più che parlare di flop, andrebbe analizzata la narrazione e confrontata col passato
Ascolti bassi, speciali che non sfondano. Basta questo per spingere qualcuno ad emettere la sentenza: “L’elezione del Presidente della Repubblica non interessa il pubblico”. Sarà, ma bisognerebbe anche dire che in questi giorni non c’è stata alcuna proclamazione, né il benché minimo avvicinamento all’ipotesi.
Una valanga di schede bianche, alternate a qualche candidato di bandiera e alla pratica giocosa del voto a figure improbabili. Per il resto niente, solo una lunga, lunghissima attesa, aggravata dall’emergenza covid.
La pandemia ha imposto uno scrutinio al giorno, con ingressi scaglionati. Una procedura che ha allungato i tempi e annacquato la minestra, con l’aggiunta di una Camera semivuota che ha impedito il diffondersi di confidenze, chiacchiere e intrighi di palazzo.
“Qui dentro non trovate niente, i conciliaboli è più probabile intercettarli in qualche pizzeria”, ha riferito Emma Bonino ai giornalisti che la circondavano. Una confessione che dà l’idea dell’esatta fotografia dell’attuale scenario.
A tentare l’impossibile è la Maratona Mentana, in onda sempre, in onda a prescindere. Tuttavia, siamo di fronte ad un’eccezione, dove l’attesa dell’evento è di per sé l’evento.
Ed è proprio lo speciale di Mentana, probabilmente, ad aver ingannato gli altri, decisi ad emulare (o contrastare) il direttore del Tg La7, che però ha innescato una macchina datata, consolidata e soprattutto identitaria, capace di convogliare lì tutti i ‘patiti’ del genere.
Ecco allora che altrove prevale la noia, aggravata come detto da una procedura mai così lenta.
Per rendersi conto delle differenze, basta affidarsi ai precedenti. Nel 2015 per arrivare all’incoronazione di Sergio Mattarella ci vollero quattro scrutini compressi in tre giornate, dal 29 al 31 gennaio. Due anni prima lo schiacciamento fu ancora più evidente, dal momento che in settantadue ore si susseguirono sei votazioni, una più drammatica dell’altra. Il 18 aprile fu impallinato Franco Marini, il 19 si assistette all’affossamento di Romano Prodi ad opera dei famigerati 101, mentre il 20 si giunse alla rielezione di Giorgio Napolitano. Nel mezzo, per non farsi mancare nulla, l’allora segretario del Pd Pierluigi Bersani rassegnò le dimissioni.
Insomma, un’immersione totale e una sceneggiatura degna di House of Cards, imparagonabile alla fiacca di questa fase.