Da Grande è un programma già visto per chi conosce Alessandro Cattelan: è il suo E Poi c’è Cattelan, ma lungo tre ore. Una durata che sarebbe stata eccessiva anche per Sky Uno, che saggiamente lo aveva fatto, e pensato, per la seconda serata e in formato breve. Un motivo ci sarà stato.
Da Grande non è un format innovativo: Da Grande è Cattelan. Cattelan è il format, nella forma e nel contenuto, un po’ come Fiorello, che però – vuoi per età, vuoi per inclinazioni, vuoi per qualità – ha sempre puntato al varietà all’italiana con un po’ di (vera) grandeur USA, giocando così un po’ più ‘facile’ sull’Ammiraglia Rai (per quanto possa essere facile portare e duettare con Liza Minnelli, per dire…). Il format Cattelan è un animale strano: galattico per Rai 1, già masticato per altri. E’ fatto di scrittura soprattutto nel confezionato – il testo di Alessandro questa è la Rai, ad esempio, la clip con Conti – ma poi tutto si diluisce in un Io ipertrofico che tende a inghiottire ogni cosa (meno le bacchette del batterista degli Street Clerks) con monologhi e aneddoti e che esonda anche con Mengoni concorrente de I Soliti Pacchi o con Elodie che omaggia Raffaella Carrà (con chi si può fare il Tuca Tuca?). Ma proprio Elodie col suo medley dei successi di Raffa si accende la luce dello show.
Per il grosso del pubblico tradizionale di Rai 1, però, Cattelan ed EPCC sono due sconosciuti: per di più, il programma vuole parlare ai 40enni, coetanei del conduttore che ama muoversi nel brodo della cultura pop generazionale, ma cerca di strizzare l’occhio agli 80enni che in fondo restano lo zoccolo duro degli ascolti. E allora si apre con Nicoletta Orsomando, che è una garanzia di continuità, e si cerca subito l’aiuto de Il Volo per far contenta la nonna ma travestendoli da boyband anni ’90 per parlare al proprio target di elezione. E cercare la mediazione tra i 40enni che ti conoscono ma che non bazzicano Rai 1 sulla lineare (e che la domenica sera sono altrove) e gli 80enni che ti danno un’opportunità perché raccomandato da Conti, Guardì e Clerici è una cosa complicata. Coraggiosa? Direi che il coraggio è quello di Rai Pubblicità.
Da Grande innova il linguaggio tv Rai?
Lungi dall’affrontare la questione ‘Premio a Pio & Amedeo’ (su cui prima o poi bisognerà riflettere seriamente), possiamo (ri)dire che Da Grande non è un format nuovo. Lo è per la Rai, lo è per il pubblico di Rai 1, ma non lo è in assoluto e il contesto non può mai essere ignorato. Non è un format ‘coraggioso’ (per quanto sia sicuramente impegnativo) e non so quanto l’intera operazione sia più coraggiosa o più miope per la Rai.
Da Grande, come detto, è Cattelan: puoi essere anche una “giovane promessa“, ma se ti limiti a trasferire – edulcorando a tratti e adattando gli ospiti all’ambiente – il tuo format e il tuo personaggio su un’altra piattaforma allora stai facendo sempre te stesso. Non stai innovando il linguaggio Rai, stai facendo il tuo programma in un contesto alieno. E’ un primo passo? Non saprei, spero lo sia. Per innovare un codice bisogna usarlo: quelli dell’intrattenimento Rai e quello di Cattelan al momento sono ancora estranei, se non nel riuso/citazioni di format storici dell’azienda, incluso Carràmba nella sorpresa della scuola guida per Elodie. Ci vuole tempo in queste cose, si sa. Forse si è esagerato anche nel presentare il tutto come una rivoluzione copernicana.
Anche sul fronte ‘svecchiamento target’, l’operazione è complessa: l’Ammiraglia cerca ormai in ogni modo di abbassare la sua età media, ma ai 40enni Cattelan è già noto e per gli 80enni è un estraneo. Torniamo alla difficoltà di partenza, voler parlare a un pubblico televisivamente latitante (e che ti conosce) usando formule estranee ai tuoi aficionados. Beh, da qualche parte bisognerà pure iniziare, ma non si capisce bene quale sia la ‘mission’: per ora, un colpo al cerchio e una alla botte. Da perfetta mezza età.
Anche sulla diretta Instagram con Blanco: la sfortuna di Cattelan è che c’è stato Viva RaiPlay, la fortuna è che quel programma è andato poco su Rai 1. (Ma la diretta Instagram sul proprio profilo Instagram e non su quello di Rai 1? Un po’ come Conte ai tempi della Presidenza del Consiglio).
Da Grande, (gli altri) punti deboli
Nel grande fiume di parole e di momenti ‘EPCC’, si perde quella che doveva essere, sulla carta (dei comunicati stampa) l’idea di indagare le tappe della maturità: il tema del ‘Da Grande’ scompare. Ma in fondo era solo una scusa per usare le maiuscole anche in grafica.
Che dire della lunghezza dei blocchi? L’inizio con Il Volo è parso durare un’eternità, immaginando anche le signore a casa che non vedevano l’ora che cantassero “Grande Amore” e in generale tutti i blocchi sono stati lunghi, stiratissimi: del resto c’era materiale per una intera stagione di EPCC in una mezza serata, per cui per coprire tre ore di diretta non si può che allungare il brodo. E resta il male del prime time tv.
Il pubblico in studio: un anno e mezzo di pandemia ci ha dimostrato che degli urletti finti ormai noi a casa possiamo fare a meno. Anzi vorremmo poterne fare a meno.
L’autoreferenzialità, la sensazione di essere da soli e di giocare a prescindere dal pubblico sono marchi di fabbrica del ‘format’: non stupiscono.
Da Grande, punti di forza
La diretta. Essere live con un programma come questo è sicuramente impegnativo ed è sicuramente un valore aggiunto. Far girare una macchina del genere è comunque faticoso e su Rai 1 ancora di più. Per cui la diretta è un ingrediente che non si può ignorare. Chapeau sempre al comparto tecnico e a chi riesce a reggere la diretta così.
Una volta messe da parte le perplessità sull’operazione tv nel suo complesso – perplessità sollecitate soprattutto dalla grande attesa, dalle grandi speranze e dal gran parlare che si è fatto alla vigilia – veniamo alla sostanza del programma e della sua scrittura: il mash-up, le citazioni restano un tratto distintivo e un piacere del genere Cattelan. Anche in questo caso non sono una esclusiva (penso al gran lavoro di scrittura in Quelli che il Calcio, dove si riesce ad essere molto più organici al contesto e al fine narrativo), ma certe trovate e certi modi di giocare con gli ospiti sono un elemento di forza, di quelli che solitamente mancano nelle prime serate Rai e che in altri casi si è cercato di costruire con risultati discutibili (citofonare Paola e Laura). Il testo della ‘sigla’ inziale resta una delle cose migliori, insieme a certe battute di Conti nella clip introduttiva, da “In Rai 20 anni di carriera è la durata media di uno stage” o “Nel 2000 Fazio ne aveva meno (di 41 anni, l’età di Cattelan ndr) e aveva fatto già due volte Sanremo“. Verità ben dette.
La ‘spalla’ Bonolis: con qualcuno accanto che di mestiere fa il conduttore di show tv da prima serata il programma cambia ritmo e faccia. Si improvvisa sullo studiato, con mestiere. E si fa, finalmente, un programma divertente che scivola, che trova una dimensione in un certo senso ‘rinnovata’. “Avanti un Darwin” il segmento migliore.
Il risultato è che a chi piace Cattelan segue anche con piacere il programma, che in buona sostanza vive pochi momenti di stanchezza, ma che soffre dei problemi di tutti i programmi Rai: su tutti la lunghezza.
La confezione
Grande lo studio, con uno sfondo nero che ha sempre il suo fascino, interessante la versatilità ‘frontale’ dello spazio, i toni viola, un po’ meno le ali geometriche sui toni del rosa e del celeste. Luci nette, anche se la sensazione è quella di una scarsa profondità. La regia di Biondani sembra essere nella sostanza ‘di servizio’ (non sempre del racconto), ma in certi casi è meglio andare sul sicuro piuttosto che lasciarsi andare a velleità artistiche mal riuscite, visti certi accenti e certi movimenti creativi di cui si abbonda altrove. Non si può dire, però, che l’estetica sia il punto di forza del programma.
In buona sostanza, Da Grande è una sfida in salita per Rai 1, più che per Cattelan in quanto tale. E’ un inizio, senza dubbio: Rai 1 può aiutare Cattelan a crescere e a diventare ‘da grande’ un conduttore a tutto tondo. Per Eurovision, però, è perfetto ed è lì che la Rai deve avere il coraggio di portarlo.