In un periodo nel quale Mediaset sta tentando (forse vanamente? Non si sa…) di ripescare prodotti con i quali vuol far riecheggiare al proprio pubblico una vaga atmosfera nineties (Scherzi a parte, Scene da un matrimonio), Tú sí que vales, al contrario, all’ottava edizione, mette in atto una strategia diversa.
Ovviamente, nel caso del talent show del sabato di Canale 5, è altamente inutile parlare di tuffo nel passato, visto che le prime edizioni del programma sono proprio le più dimenticabili e che la qualità più ragguardevole di Tú sí que vales, in questi anni, è stata proprio quella di aver aggiustato il tiro, edizione dopo edizione, aggiungendo elementi efficaci e rimuovendone altri infruttuosi.
Ciò che vogliamo sottolineare è la capacità di Tú sí que vales di tentare, perlomeno, di mescolare i generi televisivi, di provare ad andare oltre al genere talent show (senza celebrare, però, il vecchio varietà), tentando, quindi, di scrivere un nuovo concetto di show televisivo, con la tanto cara commistione di generi che oggi va un sacco di moda.
L’obiettivo primario, sicuramente, è stato quello di consolidare ciò che ancora funziona e che, favorevolmente, non ha ancora tediato i telespettatori: nessuna modifica, neanche per sbaglio, quindi, per quanto concerne conduttori, cast e altri personaggi collaterali e per quanto riguarda le dinamiche alle quali il pubblico è abituato ossia le scene horror che terrorizzano Sabrina Ferilli, Maria De Filippi che si sganascia dal ridere, la scuderia di Gerry Scotti, l’intransigenza e la concupiscenza di Rudy Zerbi (“Era un vero e proprio rapporto sessuale aereo!”) e la franchezza e la voglia di sfidare i concorrenti di Teo Mammucari.
Si cambia, anzi si aggiunge, senza stravolgere: l’ingresso di Giulia Stabile, la nuova sigla di scuderia di Gerry Scotti, la gag introduttiva.
La vera novità, che non è affatto una novità, a pensarci bene (più che altro, è una presa di coscienza maggiore), è che, attorno quasi ad ogni esibizione, è palese la presenza di una vera e propria struttura narrativa che trasforma la performance in qualcosa di più ampio.
Tú sí que vales: la prima puntata
Nella prima puntata, ad esempio, prima dell’esibizione di Denis e Abraxas, abbiamo assistito quasi ad una sit-com improvvisata durante la quale, i giudici, in un’atmosfera lugubre da Blair Witch Project, si sono addentrati nei tenebrosi esterni degli Studi Elios per raggiungere la location della performance.
Dieci minuti di camminata durante i quali la Ferilli ha lanciato ogni tipo di improperio (“Ma ‘ndo caz*o te seguimo, manco so più se stamo a Roma!”, “Pija ‘sto tubo che j’o damo in faccia!”), iniziando anche a frustare con un tubo uno strano essere di bassa statura che li aveva accompagnati (– “Perché lo vuoi menare?” – Perché me rompe li c*glioni!”).
In breve, ciò al quale il pubblico, ormai, è avvezzo è stato proposto in una chiave più ben definita che nuova.
Ogni esibizione, di conseguenza, diventa un pretesto per fare altro.
A dirla tutta, a Tú sí que vales, il talent stesso, alla fine, è poco più di un pretesto. Nella prima puntata, ad esempio, dopo l’esibizione di un imitatore, la giuria si è dimenticata addirittura di votarlo (“Manco lo avemo votato, ‘sto cristiano!”, Sabrina Ferilli, ovviamente).
L’assenza di una rigorosa liturgia da talent show, però, mettiamolo bene in chiaro, non è affatto un difetto.
Tú sí que vales, quindi, è un varietà, a tutti gli effetti, uno show che sta tentando di ridefinire questo genere, offrendo una chiave di lettura non nuova, lo ripetiamo, ma più accentuata rispetto alle precedenti edizioni.