Corrado Formigli: “Sui vaccini giusto schierarsi, non faccio l’arbitro. Draghi inavvicinabile, talk trattati come roba sporca”
Corrado Formigli torna con Piazzapulita: “Punto sui giovani. Sui vaccini mi schiererò, inviterò i no-vax ma senza renderli protagonisti”
Tante novità e una conferma. Piazzapulita si rifà il look e accoglie nuove rubriche, ma su un aspetto decide di restare legata al recente passato. Giovedì 16 settembre Corrado Formigli non riaprirà le porte al pubblico, per scelta più che per necessità. “Ci siamo resi conto che lo studio senza pubblico ha una sua eleganza – confida il conduttore a TvBlog – rischi di pagare in fatto di calore, ma se prima le parole e le stupidaggini venivano coperte dagli applausi, ora risuonano e rimbombano”.
Nessun impedimento legato alla restrizioni anti-covid, bensì la volontà di non tornare succubi delle ovazioni a comando: “All’inizio è stato faticoso, poi ci siamo abituati e, sinceramente, adesso il programma sembra più serio. Non sono interessato ad un pubblico con la funzione di claque. Avere venti persone con mascherine sul volto e distanziate complicava le cose anziché risolverle”.
La trasmissione manterrà i blocchi tradizionali, fatta eccezione per quel Piazzapulita 00, destinato ai faccia a faccia, che l’anno passato faceva capolino attorno alla mezzanotte. Uno scorporo che non si ripeterà. “Nell’ultima parte torneremo a pieno regime con le inchieste”, prosegue Formigli. “Il nostro racconto sarà più largo, il talk sarà vivace e leggero, meno pesante e le inchieste saranno popolari. Piazzapulita 00 è stato un esperimento che rivendico. Era interessante, ma non era redditizio”.
Cambierà pure la sigla.
Godrà di una grafica rinnovata, forte, d’impatto, più semplice e meno pasticciata. E soprattutto sarà più breve, se tieni conto che il nostro vero rito è rappresentato dall’apertura del tavolo appena prima del mio ingresso.
Tra gli inviati avete perso Luca Bertazzoni.
La squadra sarà forte quanto prima, se non di più. Stiamo promuovendo i nostri giovani e abbiamo buone speranze su due ragazzi della redazione come Ambra Orengo e Gregorio Romeo. Puntiamo sui giovani, sperando che imparino in fretta. Senza dimenticare che siamo finalmente tornati a lavorare in presenza e io sarò fisicamente in sala montaggio.
Insomma, punterà sul vivaio.
Non mancheranno Alessio Lasta, Salvatore Gulisano, Chiara Proietti, Massimiliano Andreetta e Sara Giudice. Per il resto, torno alla mia funzione di maestro, sono circondato da ragazzi intelligenti, laureati, senza timori reverenziali. Da noi arrivano da stagisti e finiscono a fare gli inviati. Mi piace cercare risorse interne.
Lei rimarrà in studio?
No, la novità è che torno a girare. Il mio intento è raccontare l’Italia e lo farò con reportage di quindici minuti. Affronterò temi coraggiosi e complicati, incontrerò gli operai e documenterò come la globalizzazione sta distruggendo il lavoro. Mi occuperò per esempio della Gkn di Campi Bisenzio.
Piazzapulita si affiderà ancora a presenze fisse?
Avremo un parterre di opinionisti ricorrenti. Giovedì ospiterò per la prima volta Giuseppe Conte, ma il programma sarà sempre più sganciato dai leader politici. Preferiamo sfidarli con le inchieste. Se vorranno venire saranno i benvenuti, sennò pazienza. Sarò affiancato da Annalisa Cuzzocrea, Mario Calabresi, Antonio Padellaro, Tito Boeri e Alessandra Sardoni, quest’ultima molto importante per il taglio che ci offrirà per la corsa al Quirinale. Inoltre, abbiamo affidato una rubrica a Selvaggia Lucarelli, si chiamerà #PiazzaSelvaggia.
Sulla questione vaccini vi schiererete?
Certo che ci posizioneremo. Abbiamo un punto di vista molto forte e mai come in questo momento i media devono schierarsi. Lo faremo senza togliere la parola a chi la pensa diversamente. Un programma deve possedere una linea editoriale leggibile. Credo che il green-pass sia uno strumento di libertà, è ovviamente un obbligo vaccinale sotto mentite spoglie, ma è finalizzato a far vaccinare le persone e a garantire una maggiore sicurezza. Ciò non significa che non possa esistere un’opinione pubblica, anche rispettabile e colta, contraria. Ascolterò tutti, però non rinuncerò a dire quello che penso. Tempo fa ebbi uno scontro in diretta con Dino Giarrusso. Mi accusò di non essere un arbitro perché avevo espresso una mia idea. Io non faccio l’arbitro, io gioco. Non sono un semaforo.
Darà quindi la parola ai no-vax.
Un no-vax può essere invitato, ma non lo metterei al centro dello studio con intervistatori che lo trattano come un protagonista. Ritengo che il giornalismo debba svolgere un’operazione di svelamento. Tenerli sotto traccia li rende dei martiri, dei carbonari. Io invece dico: mostriamoli, ma costruiamo un sistema di verifica. L’anno scorso diedi voce a Mariano Amici, era in collegamento e ho dimostrato la sua inconsistenza.
A tal proposito, non crede che la modalità dell’uno contro tutti rischi paradossalmente di avvantaggiarli?
All’epoca Piazzapulita svolse una funzione fondamentale, da servizio pubblico. C’era un medico che non era vaccinato, che non usava la mascherina e che in piena pandemia diceva ai suoi pazienti di non vaccinarsi. Lo abbiamo denunciato alle autorità sanitarie. Realizzammo un pezzo con delle telecamere nel suo ufficio e ci sembrò corretto dare la possibilità al soggetto in questione di replicare. Fu un’operazione necessaria. Dopodiché mi sono chiesto: che faccio? Lo facevo arrivare in studio, tenendo conto che non era vaccinato e che non si era sottoposto al tampone? Era un problema. Ho preferito tenerlo in collegamento. Non volevo che diventasse padrone della situazione. Non lo abbiamo reso un martire, anzi.
Ridarebbe centralità anche a Algero Corretini?
L’intervista a ‘Fratellì’ è stata un colpo straordinario. Non era ancora stato arrestato, abbiamo documentato la sua vita, i soldi guadagnati con facilità su Instagram, oltretutto tutti in nero. Con Bertazzoni abbiamo raccontato un mondo e, in seguito, lo abbiamo voluto conoscere. In me prevale sempre la curiosità. Sono persone popolari, modelli di una generazione, anche se fanno cose distanti anni luce da noi. Non l’ho processato, ma non gli ho nemmeno steso il tappeto rosso.
E’ corretto ridurre la divisione tra pro-vax e no-vax in una diatriba tra destra e sinistra?
A mio avviso sotto c’è qualcosa di più profondo. Grossolanamente si potrebbe affermare che una fazione è più vicina alla destra e un’altra più affine alla sinistra, ma non semplificherei. Oggi tra i no-vax si percepisce una rabbia contro il sistema. Non ci sono solo quelli convinti che il vaccino cambi il genoma umano. C’è pure un no dettato dal fatto che a chiedere di vaccinarti sia lo Stato. C’è un pezzo di Paese che si sente fuori, c’è un popolo delle periferie che crede di non aver ricevuto abbastanza dallo Stato e non vuole restituirgli nulla. Mi pare che la vera dinamica si sia scatenata tra favorevoli al green-pass e contrari. In quel caso gli schieramenti sono trasversali. Gli oppositori vanno da Borghi a Montanari, passando per Cacciari. A mio avviso portano avanti un pensiero distorto sul concetto di libertà. Mi sembra fuori luogo affermare che la democrazia sia in pericolo.
L’anno scorso diede la parola ad un rider che per tutta l’intervista indossò uno zaino sulle spalle. Con certe scelte non si corre il rischio di cadere nella caricatura?
Detesto il moralismo televisivo. La verità è che ci sono spettatori che si spostano tra mille canali e noi dobbiamo cercare di intercettarli facendo capire immediatamente di cosa si sta parlando. Se quella sera facevi zapping e ti fermavi su Piazzapulita, identificavi subito quel ragazzo come un rider. Bisogna introdurre al pubblico il tema con facilità e immediatezza.
Un muratore lo avrebbe intervistato con la cazzuola in mano e i fogli di giornale sulla testa?
I rider in strada li vediamo con gli zaini addosso, non li mollano mai. Quell’oggetto è il simbolo della loro battaglia, dei diritti calpestati, delle loro rivendicazioni. Quel ragazzo non si pose alcun problema, era orgoglioso. Quel cubo era parte della questione. La cazzuola del muratore invece non lo è. E’ una scelta che rifarei, senz’altro.
In estate c’è stato un momento in cui sarebbe tornato di corsa in onda?
Assolutamente sì. Dalla morte di Gino Strada alla caduta di Kabul, sarei rientrato in ginocchio. Purtroppo non c’è stato verso.
Dopo tanti approfondimenti, il capitolo Afghanistan pare essersi esaurito.
E’ sbagliato pensare che la vicenda sia chiusa. Purtroppo l’Afghanistan non è un tema acchiappa-share, ma è altrettanto vero che quello che è accaduto di recente si avvicina molto all’11 settembre. E’ un avvenimento che cambia la storia, che riporta le lancette al 2001. E’ come se si fossero annullate guerre costate tanti morti. Io intendo occuparmene, abbiamo un obbligo morale verso gli afghani. Dobbiamo farcene carico, queste guerre causeranno cambiamenti profondi nelle nostre vite. Noi ne parleremo, con immagini esclusive e un reportage molto bello sulla fuga da Kabul. Nella prima puntata si confronteranno Alessandro Di Battista e Marco Minniti.
Inviterete anche il premier Mario Draghi?
Avere Draghi è talmente impossibile che abbiamo lasciato perdere, non ci era mai capitato. Ma è una situazione che riguarda tutti, non solo noi. I talk vengono trattati come se fossero qualcosa di sporco. Alle conferenze stampa sono invitate solo le testate, non i programmi. I numeri sono ristretti e le testate hanno la precedenza. Il virus non può essere una scusa, ci si potrebbe organizzare usando Zoom. Non vorrei che fosse al contrario una scusa per non interloquire con i giornalisti più rompicoglioni. Penso che questa modalità sia sbagliata. Draghi sa parlare, ma quando in conferenza stampa risponde ‘sì’ sull’obbligo vaccinale senza che ci sia la possibilità di porre una seconda domanda, viene a galla un problema. Non avendo fornito ulteriori chiarimenti, molti giornali hanno azzardato paragoni con il Turkmenistan. E’ difficile spiegare cose complesse rispondendo con i monosillabi. Poterlo incalzare piacerebbe a tutti, eppure non c’è verso nemmeno di avvicinarsi a 50 metri. Sembra di avere a che fare con un essere sovrumano. E’ un peccato, perché l’informazione è un bene primario.