Ben venga la qualità, ma oltre due ore di monologhi in televisione non si possono reggere. Ricomincio da Raitre, programma in onda come da titolo sulla terza rete di viale Mazzini con la conduzione di Stefano Massini e Andrea Delogu, ha il nobile intento di portare una serie di proposte teatrali sul piccolo schermo, ma resta un’operazione ambiziosa riuscita a metà.
Purtroppo, nonostante il coinvolgimento di attori dall’indiscutibile bravura come Ottavia Piccolo, Michele Placido e Moni Ovadia, Ricomincio da Raitre è innanzitutto un programma televisivo: la trasmissione è priva di ritmo e densa di scrittura retorica, con continui riferimenti alla ripartenza dei teatri (nella prima edizione invece erano chiusi per via della pandemia).
Manca un fil rouge tra una performance e l’altra, ma soprattutto tutti si prendono dannatamente sul serio. Si respira quasi un’atmosfera ecclesiastica, per giunta di sabato sera, non il momento migliore della settimana per la spiritualità.
Senza offesa per nessuno, la performance migliore è stata quella di Lillo Petrolo, ormai lanciatissimo dopo Lol – Chi ride è fuori su Amazon Prime Video, nel musical School of rock: la sua esibizione arriva dopo una vera e propria traversata nel deserto del telespettatore, rimasto sgomento quando ha visto Piero Pelù recitare La Divina Commedia. Peccato tuttavia che sia stato messo in scaletta alla fine della prima puntata e non abbia fatto da intermezzo musicale.
Per quanto riguarda i conduttori, Stefano Massini è molto più convincente con i suoi monologhi a Piazzapulita, mentre non si capisce per quale motivo si debba ricorrere in contesti del genere ad Andrea Delogu, qui leggermente a disagio e più votata all’intrattenimento puro. Si tratta inoltre di un volto fuori target per un canale come questo.
Guardando il programma, viene il sospetto che forse non sia il teatro ad aver bisogno di Rai3, ma Rai3 ad aver bisogno del teatro per riempire una casella in palinsesto in prime time al sabato sera. L’obiettivo dichiarato dei due conduttori è quello di rendere il teatro meno elitario, ma l’impresa diventa ardua se non si utilizza il codice linguistico adeguato.