Pride, su Disney Plus l’appassionante storia del movimento LGBT americano
Il documentario a puntate è un vero e proprio gioiellino di storia contemporanea, all’insegna dell’intersezionalità.
Su Disney Plus è disponibile da un paio di mesi Pride, una docuserie che racconta in sei puntate la storia del movimento LGBT americano. Prodotta da FX e disponibile sul canale Star della piattaforma streaming, si tratta di un prodotto di altissimo livello.
Pride è innanzitutto una docuserie di valore storico: in ogni episodio viene scandagliato un decennio. Si inizia dagli anni ’50, con il suicidio del governatore del Wyoming Lester C. Hunt, fino agli anni Dieci, con una maggiore centralità sulle questioni legate all’identità di genere.
Pride inizia dunque con un episodio tragico della storia americana, caduto nel dimenticatoio Oltreoceano e probabilmente ignoto nel nostro Paese: il figlio del politico statunitense era stato adescato da un poliziotto in borghese (una pratica molto diffusa in quell’epoca, visto che l’omosessualità costituiva reato). Il potente senatore Joseph McCarthy disse ad Hunt che avrebbe evitato il processo al ragazzo, ma ad una condizione: il ritiro dalla vita politica di Hunt padre. L’uomo accettò, ma preferì spararsi un colpo di pistola nel suo ufficio.
Immancabile la genesi dei moti di Stonewall, che hanno in realtà un prequel, così come non manca una vasta riflessione sull’omicidio del consigliere comunale di San Francisco Harvey Milk, che portò nel 1979 all’oceanica manifestazione della National March on Washington for Lesbian and Gay Rights, considerato a tutti gli effetti il primo Pride della storia.
Il punto di forza di questa docuserie è l’inclusività. Può sembrare ovvio trattandosi di un prodotto che ripercorre la storia della comunità LGBT, ma a livello mainstream finora abbiamo quasi sempre visto maschi bianchi omosessuali. In Pride invece hanno voce soprattutto gli uomini, le donne e le persone trans di colore. Inoltre, qui vince l’intersezionalità: questo tipo di lotte si incontrano continuamente con le istanze della comunità afroamericana. Basti pensare alla figura di Bayard Rustin, attivista LGBT che fu il mentore di Martin Luther King.
Potrebbe non convincere per la scrittura totalmente americanocentrica, ma magari un’eventuale seconda stagione sarebbe in grado di raccontare ciò che è avvenuto in Europa (per esempio in Olanda, primo Paese al mondo a legalizzare nel 2000 il matrimonio tra omosessuali).