L’Eurovision Song Contest torna in Italia grazie alla vittoria dei Måneskin con Zitti e Buoni. Una vittoria voluta a gran voce dal televoto che ha fatto balzare in testa il gruppo romano, classificatosi invece quarto – dietro Svizzera, Francia e Malta – dopo il voto delle Giurie nazionali. Una vittoria, però, ‘macchiata’ dai sospetti dei francesi che hanno accusato Damiano di sniffare coca in diretta tv con tanto di prova video e di richiesta di squalifica (a vantaggio della cantante d’oltralpe, Barbara Pravi che ha sentiva il trofeo tra le mani grazie alla sua Voilà). Accusa rimandata al mittente in conferenza stampa post vittoria, ma che aleggia tra i commenti del dopo-finale. Purtroppo. Se i TG Rai non fanno cenno al ‘cocagate’ di ESC 2021, mamma Rai sta già pensando a come organizzare la 66esima edizione dell’Eurovision Song Contest. Ed è già partito il Toto-ESC in Italia. Finora siamo al puro gioco delle ipotesi e la questione terrà banco per il prossimo anno, forse anche più di Sanremo 2022, ma ci sono un paio di questioni sostanziali che riguardano il linguaggio tv e cosa sia davvero Eurovision. Ma andiamo con calma.
ESC 2022 in Italia: dove?
Intanto dove? Serve un’arena al chiuso (ESC all’aperto a memoria non ne ricordo e immagino sia un rischio non contemplabile vista la necessità di garantire costanza e piena replicabilità delle esibizioni e degli show) con una logistica di supporto di livello. Il primo pensiero è il Mediolanum Forum di Milano, che ha ospitato diverse finali di X-Factor, la cui messa in scena ha preso grande ispirazione dagli show ESC. Nella conferenza stampa pre-finale il vicedirettore di Rai 1 Claudio Fasulo ha rivelato che un’ipotesi maturata in caso di vittoria di Francesco Gabbani (parliamo dell’ESC 2017) portava al Palasport Olimpico di Torino (anche PalAlpitour), che resta a oggi l’arena indoor più grande d’Italia, con una capienza complessiva che va dalle 13.000 alle 15.000 persone a seconda degli allestimenti. Gestita da Live Nation, l’arena è entrata nel 2020 nel circuito dell’International Venue Alliance. Diciamo che ha un buon pedigree.
Già immaginabile invece la data: mantenendo il periodo, il Grand Final di Eurovision Song Contest 2022 potrebbe tenersi sabato 21 maggio 2022, con le due semifinali in programma martedì 17 e giovedì 19 maggio.
Eurovision Song Contest 2022 in Italia: e i conduttori?
Il Toto-Conduttori è uno dei giochi più amati dai telespettatori, che quest’anno avranno la possibilità di scatenarsi non solo con Sanremo ma anche con ESC. E l’Eurovision ha esigenze ben precise: freschezza, età, dinamismo e soprattutto conoscenza di inglese e, almeno per uno degli hosts, il francese. Il che elimina molti dei mostri sacri del prime time di Rai 1. Ma qui cade uno dei grandi ‘problemi’ con cui bisognerà fare i conti ovvero che l’ESC non è uno show della prima serata delle generaliste Rai. E ci torneremo più avanti.
Intanto proviamo a giocare anche noi, immaginando una ‘possibile’ composizione di conduttori per le semifinali e per il Grand Final: una composizione che tiene conto del fatto che la cifra della conduzione Eurovision è, soprattutto negli ultimi anni, improntata sul criterio di inclusione, tema ormai caldissimo anche da noi dopo il ‘caso’ Rula Jebreal – Propaganda Live. Pertando sul modello di quanto proposto dall’Olanda, nazione che senza dubbio ha guardato con attenzione alla composizione del proprio set di conduttori, ci lanciamo nella proposta di un quartetto di professionisti di varia estrazione, di diversa età e diverso appeal sui target desiderati.
Diciamo che Alessandro Cattelan è arrivato in Rai al momento giusto: chi meglio di lui può condurre con sicurezza l’ESC, considerata l’esperienza delle finali di X-Factor in Arena e la capacità di sentire e trasmettere l’adrenalina del racconto? E per di più in perfetto inglese?
E poi Chiara Ferragni. La quota influencer – e che influencer! – è perfetta per attirare il pubblico giovane e internazionale (quello cui si è appellata ieri per sostenere i Måneskin al televoto) e anche per far respirare la raccolta pubblicitaria: con lei alla conduzione, si potrebbero chiudere contratti utili per ripagarsi l’ESC 2022 e anche un paio di Sanremo senza mettere mano al Recovery Plan.
La personale proposta vorrebbe poi il ritorno di Raffaella Carrà: intanto perché meriterebbe un riconoscimento ufficiale per aver ‘riportato’ l’Eurovision Song Contest in Rai. Era il 2011 quando la Rai tornò in gara con Raphael Gualazzi e Raffaella Carrà si fece madrina del questo ritorno con un commento memorabile – il migliore degli ultimi 10 anni, diciamolo – che la vide accanto a Bob Sinclair (autore qualche mese dopo del remix di A far l’amore comincia tu, diventato ancor più un must). In secundis, per soddisfare la quota di telespettatori – italiani e stranieri – affezionati a una certa idea di Italia; e poi non dimentichiamo che nel 2020 The Guardian ha definito Raffaella Carrà vero “sex symbol europeo” parlando di lei come “l’icona culturale che ha insegnato all’Europa le gioie del sesso“. Non c’è altro da aggiungere.
Infine proviamo a dare una ‘promozione sul campo’ a chi da anni segue i grandi eventi Rai dai red carpet: ci riferiamo a Livio Beshir, attore e conduttore fluentemente trilingue, che coprirebbe con tranquillità anche la quota francofona richiesta dalla conduzione.
Certo, sono solo 4 dei papabili nomi: tra i suggerimenti che circolano sul web ce ne sono di tutti i tipi, dalle ‘glorie’ come Milly Carlucci, Tiziano Ferro e Laura Pausini, a personaggi dall’allure internazionale come Mika. Dal canto nostro non ci dispiacerebbe se salisse sul palco anche Ema Stokholma dopo anni di commento delle semifinali su Rai 4, o anche il fenomeno social del momento – che immaginiamo duri fino al prossimo anno – ovvero Khaby Lame. E non sarebbe male neanche avere alla conduzione Damiano e/o Victoria, un po’ come successo anni addietro con Conchita Wurst e Måns Zelmerlöw, prima vincitori e poi conduttori dell’edizione portata a casa.
Difficile, dunque, che possano conquistare il palco dell’Arena i volti più ‘canonici’ del prime time Rai come Amadeus, Fiorello, Carlo Conti. Al di là della questione ‘lingua inglese’ c’è una questione di concept: le fasi finali dell’ESC rientrano in un format preciso, potremmo dire organizzato e temporizzato al millesimo, che non ha bisogno di primedonne e di protagonismi. Se c’è una cosa che l’ESC ci ha insegnato è che al centro c’è davvero la musica – o meglio le esibizioni – e non i conduttori, che invece ricoprono una funzione di puro accompagnamento, di raccordo, di ‘riempimento’ dei pochissimi tempi morti (quelli utili per i break pubblicitari o per il voting). Stop. Tutto il resto lo fanno musica e immagini: ecco perché sarà fondamentale pensare alla squadra tecnica ancor prima che a quella artistica ed ecco perché, a mio avviso, conduttori sono un falso problema. Il vero ‘problema’ potrebbe essere proprio il format, o meglio quanto la Rai riuscirà ad adeguarsi ad esso.
ESC è un format, non uno show di Rai 1: al centro c’è la ‘televisione’
Il punto, dunque, sarà riuscire a conciliare le esigenze del prime time di Rai 1 con quelle del format blindato dell’ESC: un format veloce, asciutto, che ha bisogno soprattutto di una messa in scena esplosiva negli allestimenti e nella regia. E non si può dire che quella olandese sia stata impeccabile soprattutto se comparata con alcune edizioni che sono state davvero una svolta audiovisiva. Il regista olandese è parso perdersi anche col cue-pilot (una condizione necessaria se non essenziale in un programma che mira alla completa replicabilità dell’esibizione) e certi stacchi hanno ricordato la dimenticabile regia sanremese degli ultimi anni. Ne è stata vittima proprio l’esibizione dei Måneskin, con quel bianco in camera che cancella tutto, quell’effetto controluce che ha nascosto quasi del tutto il look della band, che ne ha nascosto dinamiche ed energia e che ha avuto il suo unico vero momento di emozione in Damiano steso a terra che batte la mano a terra a fine esibizione, soddisfatto del risultato sul palco. Poche, invece, le esibizioni che hanno mostrato le potenzialità narrative dell’ESC, in un’edizione segnata da un revival anni ’80 non certo entusiasmante (con la Grecia che ha rispolverato effetti da Superclassifica Show): penso a Malta che con Je me casse di Destiny è riuscita a realizzare un vero e proprio videoclip scenograficamente coinvolgente, e per altri versi gli islandesi Daði og Gagnamagnið (con 10 Years) e la russa Manizha (Russian Woman). Va anche detto che ad usare il cue-pilot da anni in Italia non ce ne sono molti.
Il primo, delicato, punto, quindi, sarà quello di cedere alla tentazione di fare un Sanremo 2.0 per volti, tempi e testi. L’ESC non lo permette, né è ammissibile oggi avere un approccio al programma in stile Cutugno anni ’90 (come ha correttamente ricordato il nostro Massimo Falcioni su Twitter).
Certo è che finora l’Eurovision Song Contest, soprattutto su Rai 1, è stato ‘mediato’, addomesticato, per renderlo digeribile al pubblico dell’ammiraglia generalista. L’ultimo tentativo è andato in onda ieri sera con Gabriele Corsi – Cristiano Malgioglio, coppia dalle interessanti potenzialità ma mortificate da testi non proprio indimenticabili. Personalmente non sono riuscita neanche a collegarmi con l’audio originale, come invece fatto per le semifinali trasmesse da Rai 4, il che mi ha spinto a seguire la finale direttamente su YouTube. E sarà quello il tipo di programma che dovrà essere portato a casa: nel caso di specie la diretta YT non ha visto uno stacco pubblicitario, lasciando però spazi utili in scaletta per permettere alle tv nazionali di inserire i propri break (anche se la Rai è riuscita a infilarne uno nel momento delicatissimo delle dichiarazioni di voto). Quel tipo di scrittura è essenziale e come ci raccontano le precedenti edizioni bisogna anche combattere l’autocelebrazione e guardare davvero all’Europa, all’ESC, alla sua storia, ai suoi codici, ai suoi eccessi, alla sua filosofia. Ed è un altro banco di prova.
Ma torniamo a Rai 1: chissà che non si pensi a un ‘doppio binario’, con un ‘commento personalizzato’ sul modello di quello confezionato negli ultimi 10 anni da riservare ai propri telespettatori e da affidare magari ai volti ‘tradizionali’ del prime time di Rai 1, lasciando invece che il format ESC viva pienamente sul circuito internazionale. Sarebbe quantomai particolare. Ma intanto è tempo di festeggiare. Per il toto-nomi c’è tempo, ma se c’è una cosa che la vittoria dei Måneskin ha dimostrato è che si può guardare lontano, altrove dal consueto, oltre quel che si pensa sia conveniente fare.