Domina, l’altra metà del potere accende il period drama di Sky, tra alti e bassi: la recensione in anteprima
Ricostruzione storica, grande attenzione alle scenografie ed ai costumi, ma il rischio è che sul fronte trama si corra troppo
Fonte: Ufficio Stampa Sky
Tra la tradizione di un genere come quello del period drama, un’ambientazione che più classica non si può quale è quella dell’antica Roma ed una contestualizzazione che vuole approfondire tematiche care ai nostri giorni, si può dire che Domina cerchi in ogni modo di lasciare il segno. La nuova serie Sky, disponibile anche su Now, prosegue quel percorso avviato da tempo dalla pay tv di voler rileggere i vari generi in chiave contemporanea, con risultati alterni.
Nel caso di Domina, non si può non notare l’impegno e lo sforzo: soprattutto a livello scenografico (merito di Luca Tranchino) e costumistico (in quest’ultimo caso va invece citato il premio Oscar Gabriella Pescucci), la Roma di più di duemila anni fa vive e rivive agli occhi di un pubblico che, in questi anni, si è però sempre più abituato ad una Roma antica ben differente.
La storia di Livia non è la solita… Storia
Ecco che, quindi, la Livia Drusilla di Domina (un’affascinante ed enigmatica Kasia Smutniak) coniuga perfettamente la mission che i produttori si erano prefissati da subito. La storia di una donna che opera nell’ombra e riesce a mantenere il controllo sul potere del marito Gaio Ottaviano (Matthew McNulty), il primo imperatore romano, senza poter mai esporsi veramente solo perché non un maschio, lega passato e presente, creando un tunnel temporale ricco di spunti, osservazioni e confronti tra le condizioni di ieri e di oggi.
Che la Storia avesse sempre qualcosa da insegnarci lo sapevamo già. Domina ce lo ricorda, uscendo dai binari del già detto e già visto e spostando l’attenzione su un punto di vista differente ma non per questo meno attraente o importante. Il fatto che fino ad oggi la storia di Livia Drusilla sia quasi passata in secondo piano non significa che avesse minor valore rispetto a quella del suo secondo marito. La Storia, nei suoi mille percorsi, diventa sempre portatrice di messaggi che, nel presente, si traducono in necessità di memoria e di avvertimenti.
L’estetica in Domina rischia di prevaricare il contenuto?
I costumi riescono a renderci l’opulenza delle famiglie protagoniste: Domina è la storia delle famiglie più potenti di Roma a quei tempi, ed oltre alle loro case, anche gli abiti sfarzosi che indossano ne testimoniano la ricchezza. Si passa dai colori caldi a quelli più chiari, con dettagli ricamati che sottolineano il desiderio di mettere in scena un’opera che fosse anche bella e credibile alla vista.
Il fascino provocato da questo notevole impegno rischia, però, di far passare in secondo piano una sceneggiatura che, a volte, sembra volere correre troppo per arrivare al punto. Ogni episodio (soprattutto dal terzo in poi, ovvero da quando troviamo Kasia Smutniak ad interpretare la Livia adulta e sposata al futuro imperatore) ci mostra la protagonista alle prese con un piano da elaborare per restare al centro della scena del potere.
Complotti, intrighi e misteri che si risolvono quasi sempre nell’arco dell’episodio, per poi passare, nel successivo, ad una nuova gatta da pelare. L’idea è chiara: mostrarci quanto Livia abbia dovuto difendere ciò che ha riguadagnato in quegli anni con le unghie e con i denti. Ed in questo senso si torna all’idea di voler dare una rinfrescata al genere del period drama, solitamente più riflessivo e focalizzato nelle evoluzioni dei personaggi.
In Domina, forse anche a causa di un limite causato dal numero di episodi contro la quantità di spunti offerti dalla ricerca storica, si diventa più concreti. E lo si fa raccontando le azioni ed i piani della protagonista senza offrire troppe distrazioni, se non quella, appunto, della bellezza scenica. Il rischio (se di rischio si può parlare), insomma, è che in certi momenti Domina conquisti di più per l’attenzione alla confezione che per il contenuto.
Domina, il primo passo di un percorso da proseguire
In definitiva, però, possiamo dire che la missione di Domina è riuscita. Prendere in mano un genere con delle sue regole, note a tutti, ignorarle e seguirne delle altre è stato un atto coraggioso che alla fine ha pagato. Perché in Domina -a differenza delle altre serie tv storiche ambientate nell’antica Roma- non prevale la violenza fisica, le scene di sangue si vedono con il lanternino, così come i dibattiti in Senato.
La riattualizzazione a cui abbiamo fatto cenno più volte passa per la volontà di puntare su una violenza meno grafica e più psicologica, meno rivolta direttamente agli uomini e più alle donne. Il senso ultimo del racconto è quello di mettere proprio loro, le donne, in prima linea, in una contesa per il potere che non passa per i luoghi canonici della politica (che ai tempi non era loro consentito frequentare) ma si dipana nelle stanze delle loro case.
La figura della donna romana assume contorni inediti, più interessanti, moderni e capaci di stimolare la curiosità del telespettatore. E dovrebbe essere così in ogni produzione che si ripromette di fare propria la difesa dei diritti delle donne. Non limitarsi ad una rappresentazione politicamente corretta, ma creare personaggi femminili che trainino veramente il racconto, suscitino dubbi, alimentino riflessioni.
Netflix ha provato un’operazione simile con Zero in cui, a fronte di una storia per certi versi semplice e prevedibile, la proposizione di un cast composto per la gran parte da attori italiani di seconda generazione ha lanciato un chiaro messaggio su quanto il nostro Paese (con buona pace di chi non lo voglia) sia più inclusivo di quanto si possa pensare.
Ecco, Domina fa lo stesso rivolgendosi alle donne ed a coloro che scrivono personaggi a loro dedicati: basta spostare lo sguardo, guardare là dove non sempre si guarda, per trovare storie che meritano di essere raccontate e grandi donne che meritano di essere conosciute per la loro complessità, uscendo dai soliti binari della prevedibilità in rosa. E chissà che Domina non possa essere un primo passo.