Zero, la nuova serie italiana di Netflix tra superpoteri ed inclusione: “E’ l’inizio di un processo di cambiamento”
Da Antonio Dikele Distefano (autore del libro da cui è tratta la serie) al cast, il racconto di come Zero voglia aprire ad un nuovo mondo per la serialità
Fonte: Ufficio Stampa Netflix
“Essere invisibile è il vero potere”: ne è convinto il protagonista di Zero, la nuova produzione originale italiana di Netflix che debutterà da mercoledì 21 aprile 2021, in streaming in tutti e 190 i Paesi raggiunti dal servizio. Una nuova sfida per l’Italia e per Fabula Pictures, che con la partecipazione di Red Joint Film, ha prodotto gli otto episodi della prima stagione.
La trama di Zero
Al centro di Zero -tratto da “Non ho mai avuto la mia età” di Antonio Dikele Distefano, edito da Mondadori e disponibile anche in e-book – c’è Omar (Giuseppe Dave Seke), giovane che sbarca il lunario lavorando come rider a Milano e che vive nel Barrio, un quartiere ora a rischio a causa di un gruppo immobiliare che vuole sfrattare tutti i residenti (in gran parte di origine straniera) per riqualificarlo ed alzare il prezzo degli immobili.
Omar fino ad allora ha vissuto ai margini della comunità: nessuno lo conosce, sa chi è e cosa fa. Dall’incontro con Anna (Beatrice Grannò) le cose cambiano: la ragazza fa breccia nel suo cuore, ed al tempo stesso Omar si avvicina anche ad una crew di ragazzi, anche loro del Barrio, con un obiettivo, ovvero salvare il quartiere e le loro case.
Per farlo, il gruppo decide subito di sfruttare il superpotere che il protagonista ha appena scoperto: Omar sa infatti diventare invisibile. Quello che lui ha sempre usato metaforicamente come risorsa per stare lontano dai guai e vivere nell’anonimato, ora diventa un vero e proprio potere con cui dichiarare guerra a coloro che tramano nell’ombra e contro gli abitanti del Barrio.
Omar, che nel frattempo assume il soprannome di Zero, in questa missione non è da solo, ma accompagnato da Sharif (Haroun Fall), Momo (Richard Dylan Magon), Sara (Daniela Scattolin) ed Inno (Madior Fall), amici conosciuti per caso e che diventano la sua ancora di salvezza.
Sullo sfondo, anche le vicende di Awa (Virginia Diop), sorella di Omar; di Ricci (Giordano de Plano), i cui piani sembrano intrecciarsi a quelli del pericoloso Rico (Miguel Gobbo Diaz) e del misterioso personaggio della Vergine (Roberta Mattei), che sembra sapere qualcosa di più sulla famiglia di Omar e sul suo potere.
“Non siamo ‘nuovi’ italiani!”
E’ Antonio Dikele Distefano, che oltre ad avere scritto il libro da cui è tratta la serie compare anche tra gli sceneggiatori, ad introdurre il pubblico nel mondo di Zero:
“In questa serie c’è molto di me: non volevamo raccontare di un predestinato, ma di un eroe costretto a diventarlo. E’ la storia di chi impara che le cose più importanti che ci salveranno sono quelle che teniamo invisibili. Il romanzo ti spinge alla riflessione. Questa serie è invece più leggera, a rivederla sono rimasto piacevolmente sorpreso ed in questo periodo la leggerezza serve”.
L’idea di una serie come questa arriva dal film “Ferro3” di Kim Ki-duk e dal manga (grande passione dell’autore) “Mob Psycho 100”. Il resto, però, è frutto della mente di Distefano e degli altri sceneggiatori, ovvero Stefano Voltaggio (anche Creative Executive Producer), Massimo Vavassori, Lisandro Monaco e Carolina Cavalli. Menotti, invece, è il creatore della serie.
Sono stati loro a pensare una Milano inedita per il piccolo schermo, in cui conta più la periferia che il centro e che dà spazio a personaggi molto più vicini al pubblico che altrove. Omar, Sara e gli altri ragazzi sono persone comuni, con lavori normali, senza pretese di salvare il mondo. “Le serie che vedevo non raccontavano il mondo in cui vivevo”, ha spiegato Distefano, che con Zero vuole dichiaratamente dare il via ad una serialità che sia sempre più vicina al racconto degli italiani di seconda generazione, che non vogliono essere chiamati “nuovi italiani”:
“Viviamo in un Paese in cui vedere una persona di colore è ‘nuovo’. Io ho 28 anni, non sono nuovo (ride, ndr)! C’è sempre questa politica del ‘Non siamo pronti’, perché non siamo pronti al cambiamento. Pensiamo alla radio: trasmette canzoni differenti da quello dello streaming. Una serie come questa potrebbe costringere i poteri forti ad includerti. Io credo che si possano cambiare le cose anche grazie al business: se la serie dovesse essere un successo, i poteri forti saranno costretti a seguirci. Mi stupisco che nelle serie italiane non ci sia la rappresentazione di ragazzi neri, o cinesi… Zero è l’inizio di un processo di un cambiamento”.
Il vero cambiamento, per Distefano, sarà “solo quando sarà normale avere serie come queste. Vorrei che la prossima conferenza stampa avere attori di colore sia considerato come la normalità e non ci siano più domande sul colore della nostra pelle”.
Il cast di Zero
Un’idea, quella espressa da Distefano, che ha visto l’intero cast principale concordare. Se alcuni interpreti (come Grannò, Scattolin ed Haroun Fall) hanno già lavorato sul set in passato, per gli altri -più vicini al mondo della musica- è stata la prima esperienza. Tutti, però, sono d’accordo nel dire che spesso agli attori afro-italiani vengono riservate parti stereotipate e mai davvero inclusive.
“Zero vuole essere l’inizio di una rappresentazione”, ne è convinto Haroun Fall. “Io lavoravo già come attore, ma era difficilissimo trovare dei ruoli. E’ stato il primo progetto in cui è stato scritto un contesto con personaggi di seconda generazione”.
A spiegare come si è lavorato in fase di scrittura e poi sul set è stato invece il comparto tecnico. “Questi ragazzi vogliono essere riconosciuti come parte di una comunità e non per le origini dei loro genitori”, dice Voltaggio, a cui ha fatto eco Menotti:
“Volevamo dire qualcosa di originale che non fosse già stato declinato negli stereotipi sul tema dell’integrazione e dell’immigrazione. Abbiamo fatto scontrare gli stereotipi con altri stereotipi”.
Una necessità che è stata riscontrata anche a livello di messa in scena da tutti e quattro i registi della serie, ovvero Paola Randi (primo e terzo episodio), Mohamed Hossameldin (secondo), Margherita Ferri (quarto e quinto) ed Ivan Silvestrini (sesto, settimo ed ottavo).
“Gli attori si sono trovati nell’importanza comune di creare una rappresentazione di loro stessi e del loro mondo”, ha infatti spigato Ferri, “è stato fondamentale per noi registi inglobare nelle scene lo slang che si è creato all’interno del gruppo”.
Location e musiche, il loro valore in Zero
Importante è stato quindi anche girare in un set che ricreasse l’ambiente d’ispirazione -ovvero il quartiere La Barona a Milano– nel modo più naturale possibile. Va dato atto alla produzione la capacità di aver unito le scene che sono state girate a Roma per forza di cose (in mezzo c’è stato il lockdown che ha costretto il cast a vivere nello stesso albergo per tre mesi) a quelle che, in estate, è stato possibile effettuare a Milano.
Il tutto incorniciato da una colonna sonora decisamente curata e vicina ai protagonisti. Le musiche originali sono di Yakamoto Kotzuga, Mahmood ha regalato alla serie un inedito, “Zero”, che uscirà nel suo prossimo album ed è stato anche music supervisor dell’ultimo episodio. Nel primo episodio, è inoltre presente il brano Red Bull 64 Bars x Zero di Marracash prodotto da Marz, dal titolo “64 barre di Paura”. Da citare, poi, numerosi altri brani di artisti come Madame, Ginevra, The Supreme ed Emis Killa.
“A differenza di altre occasioni abbiamo dato la possibilità ai talent di entrare nella costruzione della colonna sonora”, ha spiegato il produttore Nicola De Angelis. “Abbiamo lavorato parecchio con loro affinché le loro scelte non stonassero con quelle fatte con Netflix. Episodio per episodio portiamo lo spettatore per mano attraverso un percorso musicale emotivo. Un plauso a tutti gli artisti italiani che, all’inizio magari sono riluttanti, ma quando capiscono le potenzialità del prodotto si fanno trascinare e ci regalano delle perle”.
Anche questo è un modo per favorire l’inclusione nelle storie di Netflix. Ne è convinta la manager delle serie originali italiane Ilaria Castiglioni:
“Il nostro desiderio è di avere storie inedite che non sono state ancora raccontate. Netflix ha istituito un fondo da 100 milioni di dollari per favore l’inclusione delle minoranze nelle proprie produzioni. Più apriamo a registi e scrittori, e permettiamo loro di presentare i propri lavori ai produttori, facciamo il nostro mestiere al meglio”.