Gli ascolti non c’entrano, perché la metamorfosi è cominciata già l’anno scorso quando tra Dritto e rovescio e Piazzapulita non c’era partita. E non c’entrano anche perché il calo d’appeal dei talk è stato ufficialmente ratificato dopo la conclusione della crisi di governo, che ha portato al passaggio di campanella da Conte a Draghi.
La questione è puramente strutturale. Dritto e Rovescio non è più quello di una volta. E il discorso vale a prescindere dai gusti, dagli apprezzamenti e dal grado di stima che si può nutrire per Paolo Del Debbio. Il conduttore sembra aver patito più di altri lo svuotamento degli studi a causa del covid. Il talk di Rete 4, non a caso, faceva della bolgia la sua benzina, soprattutto in un’ottica di arena con personaggi a dir poco pittoreschi che invadevano la scena nella seconda parte. Preti contro omosessuali, vegani contro carnivori, destra contro sinistra. Basterebbe rispolverare la rissa sfiorata tra Vauro e il ‘Brasile’ per cogliere il giusto riferimento.
Le porte chiuse hanno eliminato i rumori di sottofondo e, probabilmente, disinnescato Del Debbio, che appare decisamente più distaccato, serioso e distratto. Il drastico cambio di look può rappresentare un tratto distintivo della faccenda, ma puntare solo su questo fattore sarebbe un errore.
Le interviste non regalano mai spunti, né momenti di tensione. Non per questioni ideologiche: Salvini e Meloni valgono quanto Renzi e Di Maio, per intenderci. Il problema sta nell’atteggiamento passivo del conduttore che non morde e non duella. Mai. Del Debbio guarda piuttosto altrove, si tocca la barba, scruta l’orologio e lancia occhiatacce agli autori. Della serie: ‘speriamo di finire presto’.
Il caso del linguaggio è un altro fattore da tenere d’occhio. Del Debbio dice parolacce. E non una volta tanto. Le dice spesso, accompagnandole ad urla e ad espressioni tutt’altro che distese.
A Dritto e Rovescio manca inoltre la narrazione. Lo spettatore non conosce la trama, però è ben consapevole del canovaccio. Identico ogni settimana. E in tempi di pandemia, con spalti vuoti e un unico argomento sul tavolo, la ripetizione si percepisce.
Come Bill Murray in Ricomincio da Capo, ogni giovedì si rivive la stessa storia. C’è Maurizio Belpietro che azzanna il governo (soprattutto Speranza), c’è Gaetano Pedullà che difende i Cinque Stelle, c’è la vittima sacrificale di centrosinistra (in genere di Pd o Italia Viva) che si prende gli insulti dei contestatori e l’esponente di destra che, seppur ora in maggioranza, ragiona come se fosse rimasto dall’altra parte della barricata. A loro si aggiungono, puntualmente, ristoratori e baristi indignati. L’obiettivo dei loro sfoghi? Ovviamente l’ospite di centrosinistra. Che non fa mai una piega e la settimana successiva torna volentieri sul ring a prendere ‘dritti e rovesci’.
Alla partita partecipano anche Claudia Fusani e Giuseppe Cruciani, che si aggregano all’inizio del secondo blocco. Il conduttore della Zanzara dà spunti, accende la miccia, riscalda gli animi, ma rimane poco perché l’ultimo segmento di programma viene quasi sempre registrato quando Cruciani è ancora in onda a Radio 24.
L’ultimo innesto si chiama invece Mauro Corona, epurato da Cartabianca, passato provvisoriamente dalle parti della Palombelli e adesso approdato alla corte di Del Debbio. Ma la magia di certi contesti non è replicabile e se su Rai3 a funzionare era il contrasto tra ‘la bella’ (Berlinguer) e ‘la bestia’ (Corona), qui il passo è lento e affannoso.