Sanremo, c’è differenza tra testo e paratesto
“Sanremo ha sempre avuto un segmento notturno col DopoFestival” si dice per spiegare le 5 ore di diretta: ma show e after show non sono una somma di minuti
UPDATE 31 gennaio 2022: dopo le dichiarazioni di Amadeus nella prima conferenza stampa di Sanremo 2022, quella di lunedì 31 gennaio, abbiamo deciso di riproporre un post uscito il 5 marzo 2021, penultima serata del secondo Festival targato Amadeus. Forse ancor che nella precedente edizione, Sanremo 2021 ha visto serate dalla durata monstre nonostante la mancanza di pubblico e di ospiti. Una lunghezza da rapimento, da mancanza di rispetto per il telespettatore, come già argomentammo nel 2020.
Arrivato al terzo Festival, Amadeus non arretra e continua a dire che non avendo voluto fare il DopoFestival ha inglobato quel tempo nella serata festivaliera. Insomma, dopo tre anni evidentemente la differenza tra testo, co-testo e paratesto non è ancora chiarissima. Continua anche a dire ai colleghi in conferenza stampa che “cercheranno di non far esibire i cantanti all’1.30 di notte“, come se non dipendesse dalla loro idea di spettacolo e di scaletta. Insomma, il rispetto ha tante forme. E i format tv, così come il concetto stesso di testo televisivo, lo meritano.
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C’è differenza tra Testo e Paratesto. Senza scomodare troppo concetti semiotici e teorie sui prodotti mediali, può ‘bastare’ un riferimento alla Treccani per segnare una differenza tra un contenuto e il commento su di esso. Un po’ come la differenza tra Festival e DopoFestival: mi verrebbe banalmente da dire che ciascun testo ha un formato, una funzione, una grammatica distinta anche se collegati nel flusso televisivo.
Ecco perché sembra strano sentir parlare di Festival di Sanremo e DopoFestival inglobati come se si trattasse semplici slot orari tranquillamente sommabili. Mi riferisco al concetto che sembra essere alla base della narrazione fiume delle Serate di Sanremo 2021, pensate per nascere alle 20.45 e terminare (parola del Direttore Artistico) non prima dell’1.15/1.30: e vale la pena ricordare che le prime tre serate di questa edizione sono terminate all’1:34 (13 cantanti), 1:42 (13 cantanti), 2:08 (26 cantanti alle prese con cover e duetti).
https://www.tvblog.it/post/1700690/sanremo-2020-polemiche-durata
A chi contesta – fin dallo scorso anno – l’eccessiva durata delle Serate di Sanremo è stato risposto anche oggi che in fondo nella settimana di Sanremo si va a dormire tardi e che il Festival ha sempre avuto un segmento notturno col DopoFestival. Il DopoFestival è così trattato come un segmento narrativo ‘interno’ alla Serata là dove è invece narrativamente altro: io vedo la Serata del Festival, la inizio, la seguo e ne vedo la fine con il risultato della gara e poi, se voglio, resto a commentarlo fino a notte fonda. Se non voglio, so però che quella ‘parte di tempo’ è un’aggiunta alla storia non è uno ‘stiramento’ della storia: insomma, posso andare a dormire sapendo di aver finito di vedere il Festival, pronta poi a un’altra serata il cui caso di puntata (le esibizioni serali e la classifica) è stato risolto. Se volessimo usare una metafora seriale, sia pur forzata, diremmo che Sanremo non è una miniserie in 5 parti – che, a occhio, implicherebbe il primo ascolto su 5 serate e una sola classifica finale – ma una serie serializzata, in cui ogni puntata ha un suo plot episodico/caso di puntata (con tanto di conduttrici diverse, ospiti diversi, momenti diversi, anche se ovviamente ‘formattati’), e una o più continuing stories che si sciolgono solo alla fine: e la gara non può che essere quella principale, seguita (NB. ‘seguita’) dal rapporto dei conduttori.
Ecco perché fa a dir poco ‘strano’ sentir parlare di DopoFestival come segmento notturno assimilabile e sommabile alla durata di una ‘canonica’ serata Sanremese. Una serata che potrebbe finire alle 00.30/00.45 – in linea ahinoi con le attuali tendenze dell’intrattenimento televisivo Rai – anche con 26 cantanti in gara se si facesse però solo quello, ipotesi che suggerirebbe magari qualche rinuncia musicale a favore di un po’ di compattezza. Ma si sa, sono scelte autorali, che però dovrebbero riuscire anche a fare i conti con le necessità di chi segue il tuo evento, che tale televisivamente resta, come la stampa quotidiana, giusto per fare un esempio concreto.
Meno autorialmente arbitrario, però, è scegliere di sommare grandezze non omogenee: in questo caso i rac-conti potrebbero non tornare. Il DopoFestival non è qualcosa che si può prosciugare del suo ‘significato’ per restare puro ‘significante’: ha una funzione paratestuale, se vogliamo, rispetto al Festival. Lo stesso non si può dire dell’ascolto delle canzoni in gara e dello svelamento della Classifica. Dopo di che posso fare anche le 4 di mattina per vedere lo speciale di Rai Documentari andato in onda dopo la Terza Serata di Sanremo 2021: sono appassionato, sono curioso, lo seguo e poi mi organizzo per recuperare forze e sonno per il giorno (lavorativo) dopo. La conseguenza, magari, è che la sera successiva non guarderò il Festival perché avrò davvero fatto troppo tardi. In fondo c’è sempre qualcos’altro da vedere, anche in Pandemia, anche nel Coprifuoco: qualcosa di più breve, agevole, leggero, che arrivi a una fine. E che se mi piace posso continuare a seguire, con un’altra puntata o con qualcosa che ‘gli gira intorno’.
Non ci si può, a mio avviso, neanche agganciare all’idea del diverso consumo tv. E’ diverso proprio perché sganciato dal palinsesto e dalle durate predeterminate. Il fatto che tanti – ma di certo non tutti – siano ormai abituati a ore di binge-watching non si traduce certo nella disponibilità a seguire 5 ore di una narrazione che in fondo dilata il suo focus, ovvero le canzoni in gara e la gara stessa, peraltro in assenza del potenziale mordente del televoto. Oltre alla natura profondamente diversa dei segmenti assimilati in un’unico testo e alle caratteristiche di un consumo differito e autogestito, c’è da dire che binge-watching è animato dalla voglia di “vedere come va a finire”: nelle lunghe serate di Sanremo c’è invece il rischio di iniziare a vedere qualcosa che non è detto riesca a concludere, con una sensazione di incompiutezza che è l’esatto contrario della voracità che ci fa stare 5 ore davanti a una serie tv, segmento dopo segmento. Può essere una condizione di partenza demotivante, che può portare altrove e magari a un recupero successivo su RaiPlay, se il fruitore è digitalmente alfabetizzato. Un consumo peraltro senza pubblicità e magari anche attentamente selezionato, ad esempio nelle sole canzoni in gara. Si perde così la tessitura narrativa tra la gara e lo show, che in fondo nel Festival dovfrebbero coincidere. Per assurdo, l’impennata dei dati RaiPlay (meritatissimi, per carità, fosse anche solo per la velocità con cui riescono a caricare i materiali durante la diretta) potrebbe essere non una conquista, ma una resa per quella parte di pubblico tradizionalmente televisivo che però è ‘costretto’ a ripiegare sulla fruizione differita per dare seguito alla propria curiosità, arresa di fronte a 5 ore di diretta. Non solo, o non esclusivamente insomma, la dimostrazione di un consumo diverso e multi/transmediale.
Certo è che la durata eccessiva complica, e non poco, il racconto: lo vediamo non solo con Sanremo ma in ogni programma di intrattenimento tv. E allora forse si potrebbe ripartire proprio dall’idea di uno spettacolo omogeneo, che non sommi pere e mele, che guardi al racconto e non a quanto si è disposti a restare svegli per Sanremo, che abbia una struttura narrativamente autoconclusiva e gestibile. E che non dimentichi di essere una gara, ma non una gara di durata.