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Sanremo e la politica. Draghi non dà spunti, ci si affida ai guai del Pd. Come nel 2009

A Sanremo poca satira sul governo in carica. Draghi dà pochi spunti. Nel mirino finiscono quindi i guai del Pd, proprio come accadde nel 2009

5 Marzo 2021 12:04

Sanremo e la politica, un binomio immancabile. Perché il Festival è lo specchio d’Italia e sul palco dell’Ariston, per forza di cose, non può non approdare l’umore del Paese. Certo, la temperatura non è sempre la stessa. Ci sono stagioni incandescenti, altre più miti e annoiate.

Questo Sanremo sembra rientrare nella seconda categoria, con i accenni al governo appena insediato decisamente vaghi e deboli. “Draghi è una Merkel con la cravatta”, ha scherzato Fiorello la sera dell’esordio. “Ha 19 lauree e se le cancella dal curriculum. Inoltre parla cinque lingue, è normale, ma lui le parla contemporaneamente”.

Poca roba, non tanto per la pigrizia di Fiorello, bensì per uno scenario da calma piatta figlio di una luna di miele tra premier e italiani ancora in corso. Era accaduto nel 2012, quando lo stile Monti andava così di moda da essere emulato da Gianni Morandi e Rocco Papaleo. L’attore, munito di loden, predicava sobrietà: “Sarò in linea con il momento storico che stiamo vivendo, abbiamo un governo tecnico, sarò conduttore tecnico”. Monti si era insediato nel novembre precedente e l’impossibilità di fare satira sull’esecutivo tecnico venne evidenziato dalla canzone-parodia di Luca e Paolo eseguita sulle note di Uomini soli: “Ci vedi in televisione con la faccia mogia mogia, facciamo battute più tristi di un dossier sulla Cambogia. Sperduti senza più vittime vere vanno a puttane le nostre carriere, ci manca tanto il Cavaliere”.

Nel 2014 si verificò invece un fatto quasi eccezionale: il neo-presidente Matteo Renzi venne incaricato poche ore prima dell’esordio del Festival di Fabio Fazio, che sfruttò la presenza di Maurizio Crozza – tornato dopo le contestazioni subite dodici mesi prima – per ottenere a caldo un’imitazione dell’ex sindaco di Firenze. Tuttavia, un altro ligure si prese la scena: Beppe Grillo. Il leader dei Cinque Stelle si presentò nella città dei fiori creando il panico: “La Rai è la maggiore responsabile del disastro economico, politico e sociale del Paese”, affermò fuori dall’Ariston. Il timore fu quello di un’azione di disturbo durante la diretta. Non andò così. Grillo si sedette in platea per circa un’ora, rimanendo defilato per tutto il tempo.

L’anno precedente, come detto, per Crozza c’erano stati i fischi. Inaugurato a metà febbraio, Sanremo arrivò a dimissioni di Benedetto XVI ancora calde ma soprattutto ad appena due settimane dalle elezioni nazionali. Ogni riferimento politico, pure sussurrato, equivaleva ad un boato e il comico ebbe la non brillante idea di aprire il suo sketch con la parodia di un Berlusconi impegnato a distribuire banconote (“non sono mie, ma vostre”). Le proteste paralizzarono Crozza, soccorso in corsa da Fazio che placò a fatica i fischi.

Un po’ più pacato il clima nel 2018. Alle urne si sarebbe andati un mese dopo e Fiorello, stavolta nei panni di super-ospite, effettuò un sondaggio elettorale ad alzata di mano senza che il pubblico venisse inquadrato dalla regia. Lo showman prese quindi di mira il direttore generale della Rai Mario Orfeo: “No, non puoi votare per tutti. Occhio che il 4 marzo arriva, sai come siete voi vertici, se vince il toy-boy di Orietta Berti si va a casa”. Un’allusione a Di Maio, che era stato elogiato dalla cantante.

Optò al contrario per il silenzio assoluto Giorgio Panariello, nel 2006. Alla vigilia del duello tra Prodi e Berlusconi, il padrone di casa si morse la lingua, limitandosi a qualche battuta iniziale nei confronti del sindaco di Sanremo: “Ha avuto sfiga, per la par condicio non può apparire. Uno fa il sindaco di Sanremo solo per salire a premiare il vincitore e non può apparire”. La metafora di un festival condotto in sottrazione, scelta che provocò lamentele e aspre critiche di critica e spettatori.

Tornando al presente, a dominare la scena è stato semmai il terremoto innescatosi nel Pd, con le dimissioni annunciate da Nicola Zingaretti. Martedì scorso, prendendo spunto dalle immagini di un teatro deserto, Fiorello aveva giocato: “Una poltrona senza culo è come Zingaretti senza la D’Urso”. Tema inevitabilmente ripescato giovedì: “Zingaretti ha detto: ‘mi vergogno, qui si parla solo di poltrone! E di cosa vuoi che si parli?’. Mi sento in colpa. Adesso Zingaretti ha due opzioni: o si candida a sindaco di Roma, o fa l’opinionista dalla D’Urso. Questa non è satira politica, è realtà”. Una analogia che si potrebbe individuare nell’edizione del 2009. Il centrosinistra era stato sconfitto da pochi giorni in Sardegna e il segretario del Pd di allora, Walter Veltroni, aveva alzato bandiera bianca. A impallinarlo ci pensò Roberto Benigni: “Non faccio battute su di lui, perché è battuto abbastanza. Rialzati Walter, che vuoi che sia la Sardegna, c’è Montecristo, c’è Capraia, ci sono le Eolie…”.