I consigli di TvBlog
Home Festival di Sanremo Sanremo 2021, ma il Festival dov’è?

Sanremo 2021, ma il Festival dov’è?

Qual è la narrazione di Sanremo 2021? Sfugge il racconto che lega le varie parti di un evento che mette la musica negli spazi liberi…

pubblicato 3 Marzo 2021 aggiornato 3 Marzo 2021 08:36

La prima serata di questo Sanremo 2021 è stata piena di emozione e di emozioni per chi era all’Ariston: e ci mancherebbe, vista la situazione lì, in Italia, nel mondo. Già domani, rotto il ghiaccio e forse finita l’apnea del debutto, tutto sembrerà scivolare meglio.

A casa, invece, l’emozione si è sentita poco. Lo dico subito: per me il ‘problema’ di Sanremo 2021 non è l’Ariston vuoto, ma l’idea di racconto. Che evidentemente io non capisco. Qual è la narrazione di Sanremo 2021? Si è parlato di spensieratezza, di ripartenza, di leggerezza, ma come l’anno scorso il varietà è stato gelato dalla retorica a buffo, dai toni cupi alternati al varietà. Ma, soprattutto, la musica è stata buttata negli interstizi di una serata dalla lunghezza ingiustificabile: con 17 canzoni in gara, pur aggiungendo show, ospiti, quadri e gag, trovarsi alle 00.02 gli ottavi Big su 13 non ha una giustificazione narrativa. Può averne una pubblicitaria: 20.45 – 01.30 sono 9 blocchi di pubblicità, quindi soldi. Ok. Arrivarci non è semplice, anzi. Arrivarci avendo come linea guida principale nella scrittura “Ama e Fiore sono bravi, possono fare tutto” è un pizzico kamikaze. Con o senza pubblico all’Ariston.

L’alternanza di toni e atmosfere non è un difetto in sé, ovviamente, ma bisogna saperlo fare. Diventa un difetto se non c’è armonia se, come l’anno scorso, la sensazione è quella di un racconto slegato, giustapposto. Ha più coerenza con Sanremo il quadro (un po’ ‘mascettiano’) di Achille Lauro che gli spazi di Ibrahimovic o della pur fresca Matilda De Angelis cui viene fatta fare una lezione sul bacio che sa di eternità, per lunghezza e retorica, non per sentimento. Come scriveva qualcuno su Twitter, dopo un anno di distanziamento sociale, un anno di solitudini, un anno in cui abbiamo dovuto imparare a non toccare, non baciare, non abbracciare chi amiamo per tutelarli una ‘gag’ sul limonare era proprio quello che ci voleva…

Ma questo tipo di struttura ha davvero qualcosa a che fare col Festival di Sanremo?

Sanremo è canzoni. gara, emozione, musica. Dovrebbe essere canzoni condite da show, non uno show (ma qui torniamo al ‘quale show?’) accompagnato dalle canzoni. Questo Sanremo 2021, come lo scorso anno, è invece parole, gag, cazzeggio, spazio a qualcuno che non è lì per cantare (pensiamo alla lunga lezione della De Angelis, agli sketch di Ibra), è musica interstiziale. E’ sì distrazione, ma non dal Covid, bensì dalla natura stessa del Festival: il pubblico vuole sentire le canzoni in gara non le trovate ‘geniali’ di autori e mattatori.

Per farmi accettare di ascoltare l’ultimo Big all’una devi non solo impegnarti davvero tanto, ma devi essere davvero a prova di Broadway. Arrivare all’1.30 con ‘sole’ 13 canzoni in gara è una missione che ha bisogno di idee e di truppe, di un registro, di un tono, di una scrittura solida: qui invece ci si muove tra un’apertura ‘poco rassicurante’ di Fiorello sui “culi” (se si ricorre a questo alle 21 del primo giorno vien da chiedersi come si arriva alle 2.30 del quinto) e le espressioni gravi che accompagnano testi e momenti che si fermano però sulla superficie. Come quello con Alessia, l’infermiera, ‘ridotto’ a uno spot quasi en passant sull’uso della mascherina: eppure se dopo un anno stiamo – ahinoi – ancora a questo, se il Festival cade dopo le discoteche e gli aperitivi dello scorso fine settimana, allora la presenza di Alessia poteva essere un’arma di distruzione di massa contro gli irresponsabili, uno spazio potentissimo. Ma il Covid non è il leit-motiv di questo Sanremo 2021, non vuole esserlo nelle intenzioni, però c’è, sempre, in ogni inquadratura, nelle mascherine degli orchestrali, nel nastro di Fedez – Michielin, nel carrello dei fiori (quello sì, un mistero della fede che si vorrebbe prendere in giro, ma che non si può fare). E allora il racconto fa ancora più fatica a trovare una sua forma, per di più con 5 ore di durata che, come detto, non sembrano avere una risposta se non quella della necessità/volontà di coprire i 9 blocchi pubblicitari o scalare lo share, anche se chi di dovere nega fermamente (il che potrebbe essere una conferma). Di certo non è una durata necessaria al ‘racconto’, anche perché il racconto non c’è. O meglio è un racconto sfilacciato, senza tensione, senza crescendo, senza uno svolgimento, senza una fine. E una storia senza fine per definizione non è una storia.

Mi spiace, non c’entra il teatro vuoto. Il continuo riferimento all’anno scorso vuole sottolineare proprio questo. Amadeus sarebbe in grado di condurre Sanremo chiuso nel suo camerino col solo monitor davanti, riuscendo anche così a tenere il ritmo; conduce e sostiene Fiorello, anche quando parrebbe il contrario. Eppure l’horror vacui si sente e non è quello delle poltroncine: è nella costruzione della serata, nei pezzi lunghi e inutili, disequilibrati e retorici, in quella ricerca continua di qualcosa che non sia Festival. Ma questo E’ il Festival. E non può essere il Festival di Fiorello, anche se Rosario fa di tutto, più o meno consapevolmente, per monopolizzarlo.

Quest’anno Fiorello è “sul palco con Amadeus”, come recita anche la sovraimpressione, non è solo ‘l’amico del direttore’. La cifra è quella di incursore più che di assistente, la modalità è sempre quella dello ‘scippo’ della scena: l’inizio con Grazie dei Fiori in stile Lauro però prometteva bene, in pieno stile ‘Ciuri mash-up’, così come il momento varietà con duetto e balletto tra lui e Amadeus risultato godibile e anche tenerissimo. Si è vista tutta la voglia di portare lo show nelle case, di mettercela tutta, personalmente e artisticamente.Davvero una gran tenerezza e davvero tutto il sudore di una faticata. Ma poi quell’alchimia che potrebbe essere la spinta imbattibile di questa coppia viene spenta da una struttura debole, ridondante, senza idee, che si appoggia sui guizzi e sul mestiere di chi il mestiere lo conosce.

Come Loredana Berté.

Entra in scena e riempie un teatro vuoto, illumina lo show come neanche la scenografia e le luci del palco riescono a fare nonostante le tonnellate di watt. Belle canzoni, brani cult tutti da cantare e poi lei che riempie tutto l’Ariston restando ferma. E ricorda a tutti in pochi minuti cosa sia lo show, cosa sia un live, cosa sia la musica, cosa sia il Festival. Sarebbe stata una chiusura perfetta, in crescendo, magari intorno alla mezzanotte tutto compreso: e invece niente. Dopo di lei almeno ci prova Gazzè a fare show con sagome e con un omaggio a Leonardo da Vinci. C’è un’idea. E anche un gancio per il lancio della fiction di Matilda De Angelis, neanche a farlo apposta.

Come l’anno scorso, dunque, la tela del racconto ‘per tutti’ dovrebbe passare per le storie di ciascuno dei nomi e dei protagonisti che calcano il palco: il talento della De Angelis, la prigionia di Zaki, la sfida di Amadeus, la verve di Fiorello, la ‘missione cinema’ di Ibrahimovic, la lucida follia artistico-commerciale di Lauro, l’esempio dell’infermiera, l’omaggio alla Polizia. Tutto però appare fuori fuoco, dissonante, cristallizzato nelle intenzioni, visto che nulla di questo viene davvero fuori. Anzi ci si chiede spesso “Perché?”, ancor peggio “E quindi?” soprattutto quando, a buffo, si cita Zaki, buttato lì così, con tono grave e un laconico messaggio che però diventa “Ultima Ora” su Rai News 24.

L’unica storia che esplode è quella di Loredana Berté, e lo si deve solo a lei.

Insomma, il Festival non c’è, perso in uno “Stasera parla Fiorello”, in un ‘facimm’ ammuina’ che a Fiore riesce bene, ma che sembra davvero essere l’unico vero filo conduttore nella scrittura di questo spettacolo che però di spettacolo ne fa poco. Probabilmente si è arrivati a questa settimana così esausti, così svuotati da altro da aver pensato “Vabbè, qualcosa la tiriamo fuori”: se fosse così, sarebbe (quasi) comprensibile, al netto del fatto che c’è stato in questo Sanremo 2021 un errore di fondo – per qualcuno un’entusiasta ingenuità che per me, però, sa di hybris – ovvero aver pensato che a febbraio/marzo tutto sarebbe passato e aver quindi lavorato di fatto solo in quella direzione, come detto da direttore di Rai 1 e Direttore Artistico in conferenza stampa.

Il vero problema, ci torno, è che la musica si perde tra trovate più o meno ‘improvvisate’, ma poi quando arriva davvero non ce n’è per nessuno: la Banda della Polizia con Stefano Di Battista e Olga Zacharova sui tanghi di Piazzolla lo dimostra.

Della confezione ne riparliamo, regia soprattutto (ma senza dimenticare la scenografia da stargate che non dà molte opzioni tv). Una prima serata così, senza l’ausilio del pubblico è una sfida davvero difficile. Certo, certe inquadrature dal fondo del palco o il campo che mostra l’Ariston in tutta la sua desolazione sono cronaca e sono teche, ma sono anche durissime da gestire. Meno comprensibili i controcampi sulle file vuote in attesa che qualcuna delle sedie alzi i braccioli. Poi c’è lo stile Vicario: lo stacchismo è sempre con noi, insieme a una certa ‘sfuggevolezza’ nei momenti determinanti. Ma ne riparliamo domani, dopo la seconda puntata e dopo un po’ di assestamento. Anche se l’esibizione di Madame va oltre ogni assestamento possibile…

https://youtu.be/HlbisBwxbiw

Qualche problema serio c’è stato nell’audio: se Arisa è apparsa quasi ‘afona’, per buona parte delle canzoni in gara l’audio è apparso ‘strozzato’, graffiato, soffocato. Certo, l’emozione non poteva non esserci (come con Diodato), ma qualche stonatura di troppo (e non mi riferisco a Fedez che si è anche commosso alla fine dell’esibizione quanto a Renga che non è mai entrato davvero nel pezzo ma se ne è uscito col mestiere) è forse anche segno di un ritorno o di un audio sul palco non proprio immacolato. Ma su questo chiediamo il supporto e l’aiuto degli esperti.

Chapeau però all’orchestra, che si è assunta l’onere di supportare non solo gli artisti, ma anche i conduttori, professionisti e non. Amadeus si conferma il miglior amico di Fiorello, poco da dire. Resta la sensazione che sia un’occasione sprecata, almeno in questo debutto che come tale fa storia a sé, certo. Ma questo Sanremo ha un bel cast di Big, due veri professionisti, una macchina potente come quella Rai schierata nella tempesta del Covid eppure porta in tv uno show modesto, schiacciato dal voler/dover (?) fare troppo. Amadeus è per tanti versi un eroe, ma talvolta sembra davvero il peggior nemico di se stesso per la sua capacità di complicarsi la vita. Domani si ricomincia. In bocca al lupo.