Ecco Mental, la nuova produzione italiana di RaiPlay: “Una serie per imparare ad accettarsi”
Regista, sceneggiatori e cast parlano di Mental, la nuova serie tv dal 18 dicembre 2020 su RaiPlay
Esplorare uno dei periodi più difficili della vita di ognuno, l’adolescenza, dal punto di vista di chi vive il disagio causato da un disturbo mentale. Una doppia sfida, quella di Mental, la nuova serie tv che RaiPlay propone nel proprio catalogo in esclusiva da oggi, 18 dicembre 2020, con tutti ed otto gli episodi della prima stagione disponibili sotto forma di box set.
Mental, dalla Finlandia una storia che diventa italiana
Principale location è una clinica psichiatrica dove finisce, nel primo episodio, la sedicenne Nico (Greta Esposito), vittima di alcuni episodi allucinatori che le causano continui attacchi d’ansia e le battute dei compagni di scuola. La diagnosi per Nico è netta: schizofrenia.
Durante il suo ricovero, la ragazza fa amicizia in particolare con altri tre ragazzi, anche loro ricoverati ma con disturbi differenti: Michele (Romano Reggiani) è un ragazzo borderline tossicodipendente; Emma (Federica Pogliaroli) soffre di anoressia ed autolesionismo, oltre che essere estremamente dipendente dal suo smartphone mentre Daniel (Cosimo Longo) è un logorroico bipolare che cerca di convincere tutti di essere al centro di un complotto.
La loro è un’amicizia che nel corso degli episodi gli permette di crescere e conoscere meglio loro stessi. Nico, Michele, Emma e Daniel -come tutti i loro coetanei- devono imparare ad accettarsi a prescindere dalla loro malattia, e solo confrontandosi l’uno con l’altro ed affrontando insieme le difficoltà esterne (come bullismo e rapporti familiari non idilliaci) potranno capire come trovare il loro posto nel mondo.
Le storie vere di Mental
“Il nostro obiettivo”, ha aggiunto Grimaldi, “era di raccontare storie il più possibile reali, e portare in primo piano più il tema dell’adolescenza che della malattia”. L’obiettivo della serie è stato da subito chiaro: “elaborare il tema del disagio mentale tra gli adolescenti e raccontare come queste fragilità li rendano molto vulnerabili, con un tono di dramedy”, ha spiegato Seghetti. “Ci siamo molto divertiti, nonostante il tema non facile, a scrivere i personaggi, al di là della loro patologia. La difficoltà è stata creare personaggi che non ne fossero schiacciati”.
“Attraverso un linguaggio diretto e senza filtri, lontano da buonismi e pietismi, sincero ed eccessivo, come lo sono del resto gli adolescenti, si parla di disturbo mentale”: così definisce la serie Ercolani, “lo si mostra in tutta la sua potenza e tragedia, ma dietro le allucinazioni, le ferite autoinflitte, le droghe, i pensieri ossessivi, si svelano le fragilità, le emozioni, i sogni che accomunano tanti sedicenni. Questi quattro strepitosi ragazzi ‘fuori di testa’, con le loro storie estreme e complicate, in fondo ci dicono che ‘è ok non essere ok’ e ci raccontano qualcosa anche di noi stessi”.
“Più domande che risposte”
A proposito di obiettivi, il regista Vannucci ha detto la sua:
“L’intenzione di questo racconto è mostrare come tutto sia molto fluido. Era necessario creare un immaginario nuovo e quattro personaggi che vivessero l’adolescenza come crisi e la malattia come un destino a cui ribellarsi. Rivedendo la serie mi sono reso conto che il messaggio arriva: l’unico modo per poter crescere è accettarsi”.
Per Vannucci il punto di forza della serie sta nel fatto che “è una storia che pone più domande che risposte”. “Il personaggio”, ha aggiunto, “vive un problema, finisce in un luogo che non conosce e deve trovare le risposte con i suoi coetanei. E’ un atto molto coraggioso da parte di Rai Fiction e Stand By Me: non è una serie che rassicura, ma dà speranza, come ogni racconto adolescenziale, con l’obiettivo di trovare il proprio posto nel mondo”.
Fondamentale è stato il lavoro con i quattro attori protagonisti (nel cast troviamo anche Gianluca Gobbi, Simone Liberati, Marco Cocci, Martina Bonan, Anna Bellato, Milena Mancini ed Elena Falvella Capodaglio) prima di arrivare sul set. Un lavoro di conoscenza l’uno dell’altro, ma soprattutto di approfondimento dei propri personaggi, che ha permesso di dare spazio anche a momenti di maggiore libertà espressiva durante le riprese.
“Il copione non era mio, è stata la prima volta che ho lavorato ad una storia che non ho scritto”, ha rivelato Vannucci. “A volte non aveva bisogno di nulla, altre aveva bisogno di qualcosa di autobiografico, dovevamo trovare una fusione. E’ normale che poi un attore voglia tirare fuori qualcosa di sé: rivedendolo sembra troppo intimo, i protagonisti hanno dato dei pezzetti di loro al pubblico, sono convinto che questo ci metta in posizione di ascolto della patologia. Lasciare che la realtà entri sul set è qualcosa di innovativo per la tv italiana: abbiamo unito la narrazione seriale con la necessità di vivere le scene. E’ stato un lavoro di empatia”.
Il percorso del cast
Infine, la parola ai quattro giovani attori protagonisti, a cui è stato chiesto un doppio impegno: da una parte interpretare degli adolescenti alle prese con tempeste ormonali, amori e genitori in alcuni casi opprimenti e dall’altra dei pazienti di una clinica psichiatrica che devono imparare a convivere con la propria malattia.
Reggiani ha definito Mental “un progetto ricco di verità: l’approccio ai personaggi è stato creato in una dimensione in cui abbiamo lavorato affinché i nostri sentimenti fossero creati. Questo lavoro ha cambiato la percezione alla professione: noi cerchiamo di portare in scena emozioni, il bello di Michele è che mi ha fatto capire quanto sia importante soffermarsi sui sentimenti. Oggi ci vergogniamo tutti di provare sentimenti”.
Esposito ha invece ammesso che “due settimane prima dell’inizio delle riprese ero in crisi, non sapevo cosa fare. Tutto è cambiato quando ho abbandonato l’idea di cercare la malattia ed ho iniziato a conoscere i personaggi. La messa in scena sul set è stata quasi spontanea, il frutto delle relazioni che si erano create. La nostra salvezza è stata di lasciarci alle spalle la patologia e di pensare alle persone e non ai malati”.
Anche per Longo la chiave di svolta è stata quella di non guardare alla patologia: “sia con Michele con la coach Tatiana abbiamo lavorato non partendo dalla malattia, ma arrivando ad essa”. “Ciò che mi ha dato la serie”, ha concluso Pogliaroli, “è il fatto di riconoscere che tutti abbiamo dei disturbi, ma questo ci rende simili nelle nostre differenze ed alla pari. Quando mi capita di osservare qualcuno, ora lo faccio con uno sguardo più profondo, senza giudicare. E questo ci salva: se tutti facessero così, tutto sarebbe più facile. Mental insegna anche questo”.