Parto da un presupposto sicuramente banale e pleonastico, ma a volte serve partire dai fondamentali: il racconto è fatto di scelte. Si scelgono i personaggi, le loro azioni, le loro conseguenze. Tra le tante possibili combinazioni un autore delinea il suo percorso scegliendo alcune strade ed escludendone altre. Il principio della scelta è ancora più evidente e marcato, e aggiungerei assolutamente necessario, quando hai di fronte quasi 70 anni di storia occidentale raccolta nelle bobine dei Tg Rai e 90′ minuti per proporre una tua lettura del mondo. O meglio, una tua visione del ruolo dei Tg nel racconto dell’eccezionale, il che implica in primis la scelta di cosa per te sia rilevante o meno, eccezionale o meno, significativo o meno. Edizione Straordinaria non se ne esime.
La selezione è naturale, è l’anima stessa del racconto. La scelta è la quintessenza dell’autorialità e in Edizione Straordinaria c’è tutto il ‘pantheon’ veltroniano, la sua visione pedagogica, testimoniale, ideologica dell’audiovisivo, tutta la consapevolezza del valore storico, documentale, ma anche sociale del materiale raccolto. E soprattutto contiene in sé una potente ricostruzione del giornalismo italiano, non necessariamente in chiave storica, ma direi stilistica e di contenuto. Il titolo può forse essere fuorviante, perché non tutto è tratto da una edizione straordinaria, ma vale in ogni caso il principio di straordinarietà non solo per gli eventi raccontati ma anche per il modo in cui alcuni di essi vengono presentati. Ecco perché compare un estratto de L’Uomo sulla Luna, la lunga diretta che accompagnò gli italiani sulla superficie lunare, ecco perché si lascia spazio alle scalette, spietate nel testimoniare come una notizia venga data o non data (e in alcuni casi entrambe le cose): penso alla morte di Ambrosoli buttata a metà tg o quella della morte di Tenco solo decima e data per annunciare che il Festival di Sanremo sarebbe andato regolarmente in onda la sera “nonostante la tragica morte” del cantante. La scaletta in un tg è tutto.
Lo straordinario mestiere del giornalismo
La straordinarietà passa anche per quello che potrebbe sembrare minimo, quasi indegno di entrare nel novero dei ‘grandi momenti’. Ovviamente dipende da quello che per l’autore è significativo, lo dicevamo. E le scelte fatte da Veltroni sono il portato della sua formazione: penso al suicidio di Raoul Gardini e alle dimissioni di Di Pietro per raccontare Mani Pulite (senza concessioni alle parti spettacolari del processo o ai politici alla sbarra), ma anche a quel servizio sull’eccidio dei Kundu in Congo Belga, che non ebbe edizioni straordinarie ma una telefonata con l’ambasciatore italiano che è un dietro le quinte e anche un pezzo di cinema. Straordinarietà che è anche in quell’estratto dalla sala stampa vaticana di fronte all’ambigua fumata per l’elezione di Papa Luciani. E ancora penso alla straordinaria per la liberazione di Mandela – che oggi sembra quasi impensabile -, ma anche la scelta di introdurre quel Tg sul naufragio dei migranti del 2013, una notizia che ora faticherebbe a trovare anche solo spazio in una edizione della sera. La presenza in alcuni casi dei secondi precedenti l’interruzione porta poi con sé tutta l’ansia dell’attesa, dell’incertezza, della paura che provoca la rottura del flusso rassicurante del palinsesto: siamo nell’analisi del linguaggio tv, non in una rassegna di eventi storici.
Per tornare al racconto del giornalismo in diretta restano impressi nella memoria collettiva (di chi c’era e di chi li ha studiati) i momenti concitati in attesa delle immagini di via Fani con Frajese che raggiunge Vespa (e rompe il canone sia in studio sia per strada), la diretta della Botteri da Baghdad bombardata (con la Sciarelli che rivela subito la sua natura avvolgente e premurosa, poi utile in Chi l’ha visto?) o la straordinaria per la morte di Ilaria Alpi (con la commozione del collega) sono impagabili più di qualsiasi altro evento di scala mondiale. Qui entra in ballo il personale, l’individuale, quel diario minimo che sa di umano e straordinario nello stesso tempo. E che se ruba tempo ad altro ha un perché. È in fondo l’intenzione stessa del racconto: scatenare la reazione emotiva di chi c’era, riportare a quel tempo, far scattare il ricordo personale col racconto dell’eccezionale, far provare a chi non c’era l’emozione del momento al di là del fatto in sé.
Il percorso ha anche il valore di riportare sullo schermo volti storici dei Tg italiani: Sergio Zavoli, Andrea Barbato, Mario Pastore, Carlo Picone, Maurizio Vallone che nel Tg2 delle ore 13 di giovedì 11 giugno 1981 dà notizia di un bambino in un pozzo, Mariolina Sattanino, Piero Badaloni, David Sassoli e via così. Una carrellata che ci permette anche di apprezzare i diversi stili di conduzione, il diverso modo di concepire il racconto dell’informazione: difficile non notare la retorica barocca di Vespa (vs l’asciuttezza pratica di Frajese) nel coprire prima il rapimento e poi il ritrovamento di Moro in Via Caetani o il piglio rapace di una inesorabile Lilli Gruber che data la notizia della morte di Fellini (altro momento poco riconoscibile nel novero dei grandi momenti storici in una visione ‘standard’, ma non per l’empireo veltroniano) approfitta del collegamento in diretta con Domenica In per chiedere a caldo un commento a Monica Vitti ospite di Mara Venier e Luca Giurato. Uscire dal Tg e rubare il momento: quando si dice l’istinto del mestiere.
Si capisce in questo senso anche la chiosa affidata a Enzo Biagi, che appare come una forzatura rispetto alla struttura del racconto ma che fa da postilla e anche da morale della favola: si parla di mestiere, non di fatti in quanto tali. Giusto per ribadirlo.
La classe del racconto veltroniano
Se c’è una cosa che in Edizione Straordinaria di Veltroni non manca è la classe. E aggiungo anche la misura.
La classe è nelle scelte degli eventi selezionati, con quella concessione al passato inevitabile per chi ha vissuto almeno 60 di quegli anni (Veltroni è classe 1955, appartiene a una generazione cresciuta con la tv per età e ‘stirpe’) e anche per la natura stessa del mezzo: l’impatto di un’edizione straordinaria in un contesto monopolista non può che essere emotivamente e significativamente più forte rispetto a un ‘mondo’ fatto di all news e di breaking sparse in ogni dove, con un accesso all’informazione oggi decisamente meno ‘collettivo’ e totalizzante.
Ciò detto, la classe è anche nei dettagli della confezione, come la dedica iniziale ai giornalisti Rai morti in servizio che sa di omaggio e non di maniera, e nella scelta di marcare l’orario del lancio Ansa e dell’edizione del primo Tg che ha riportato la notizia. Una notazione che non vuole essere una diminutio, bensì un elemento di riflessione rispetto alla gestione del tempo, delle risorse, della notiziabilità per quei tg in quel momento (tenuto anche conto che la televisione ha dovuto ‘conquistare’ quella capillarità di copertura e di movimento che invece era propria della radio). Ma quella dell’ora del lancio ANSA, oltre a ribadire la centralità e il valore del lavoro delle agenzie oggi quasi calpestato o misconosciuto, è una notazione affatto banale, uno spunto di analisi interessante e non pregiudizievole. Non si ignora, ad esempio, il momento in cui la notizia la dà la Tv, come con Frajese che dal Tg1 delle 20.00 si collega in diretta con l’Heysel per la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool e racconta quello che finora non si era saputo, visto, capito (in Italia e per assurdo anche dentro lo stadio), anticipando il lancio Ansa di 17 minuti. E senza nessuna edizione straordinaria lanciata nel pomeriggio.
Il secondo aspetto evidenziato era la misura e la intendo qui nella scelta di fare un passo indietro: Veltroni è tutto nella scrittura, non nel video. Non c’è la sua voce, non c’è la sua immagine: per lui parlano le scelte e il montaggio. Il resto è un di più. Per tanti ‘colleghi’ sarebbe impensabile, una occasione orrendamente sprecata.
One-shot di 90′: forse troppo per una sola edizione straordinaria
Un pizzico di collegamento narrativo over avrebbe forse aiutato a stemperare il senso di angoscia che si è iniziato a provare già a un quarto del programma. Certo, sarebbe poi stato un’altra cosa e quindi la mia è un’osservazione fine a se stessa. Ma è anche per questa densità di racconto che penso si tratti di un’idea perfetta per uno sviluppo seriale da access prime time: potrebbe essere un prezioso manualetto di storia e teoria dell’informazione tv nei Tg Rai dalle origini ai giorni nostri.
Resta il fatto che 90’ di tragedie, di stragi, eventi catastrofici e delittuosi – alternati da qualche sparuto momento di leggerezza per far riprendere fiato – sono pesanti da sostenere, soprattutto per chi ricorda buona parte di quei momenti per età o per interesse, per vecchiaia o per passione. Direi soprattutto per età, perché qui l’elemento forte è proprio l’impatto emotivo e più sei piccolo più certi momenti, certe immagini ti segnano.
Inevitabilmente questa passeggiata proposta da Veltroni diventa un viaggio nel proprio ‘vissuto informativo’. Personalmente ho sentito l’ansia crescere via via che si avvicinavano gli eventi a me noti, che mi hanno ‘devastato’ più di quanto io stessa posso aver colto all’epoca. Ho cambiato canale sui Tg dedicati al terremoto in Irpinia, ho respirato a fondo nel vedere il collegamento con Vermicino (e ho sinceramente tenuto il fiato sospeso temendo che il montaggio facesse sentire la voce di Alfredino, il suono più atroce di cui io abbia memoria), ho risentito l’angoscia dell’Heysel, l’incredulità delle Torri Gemelle. La cosa è andata sfumando via via che con gli anni raccontati aumentava la mia età. La capacità di processare informazioni cambia, l’impatto emotivo si mitiga.
Capisco quindi chi si è sentito ‘privato’ di questa dimensione personale, visto che gli ultimi 10/15 anni rappresentati da Veltroni non hanno ‘contenuto’ molti dei momenti che chi ha qualche anno in meno attendeva perché sostanzialmente parte del proprio vissuto emotivo. Ma aspettarsi da Veltroni l’estratto della diretta del Tg3 sulle Torri Gemelle con l’interruzione della Melevisione è incongruente rispetto alla generazione di appartenenza e all’autore in sé. In fondo non riconoscersi in qualcosa è un punto di partenza essenziale per conoscere e apprendere altro. E sui limiti della ricostruzione veltroniana e sulle mancanze di Edizione Straordinaria vi rimando al circostanziato e vibrante post di Marco Salaris, a dimostrazione della ricchezza dello scambio di punti di vista diversi che è propria di TvBlog (‘piccolo spazio pubblicità’…).
Veltroni, i Tg e il racconto: una forma di trasposizione
Scelte, autorialità, selezione del materiale: il racconto di Veltroni parte da materiale informativo, con i suoi codici, le sue forme, le sue intenzioni comunicative e lo ristruttura in altro, in un racconto individuale e collettivo che sostanzia la (im)mediatezza informativa in una forma narrativa. Per certi versi è un’operazione di trasposizione narrativa tra generi diversi, che comporta quindi un lavoro interpretativo e intenzionale complesso. Certo, le critiche di chi non si è ritrovato nel racconto sono comprensibili e direi che in questo senso ha forse giocato un suo ruolo anche il lancio stesso del documentario, che può aver ingenerato attese e ‘stabilito’ un patto col fruitore incentrato più sul principio della rassegna dei grandi momenti della storia italiana e mondiale visti dalla tv più che volto alla dimensione del racconto giornalistico in quanto tale.
In fondo poco importa: il doc di Veltroni ha fatto discutere, ha diviso, ha stimolato discussioni e ha offerto in prima serata un viaggio nel giornalismo italiano e nella storia d’Italia. Mettiamola così: l’assaggio è piaciuto, potete portare in tavola… E chi non l’ha visto può recuperarlo su RaiPlay.