Home RaiPlay Pure su Rai Play una serie tv tra commedia e dramma che finisce per perdersi nelle sue ossessioni

Pure su Rai Play una serie tv tra commedia e dramma che finisce per perdersi nelle sue ossessioni

Marnie è la protagonista di Pure, scorretta dramedy in streaming su Rai Play composta da 6 episodi, tra fantasie sessuali e comportamenti ossessivi

27 Novembre 2020 15:21

La mia vita è un po’ come Il sesto senso solo che io vedo la gente nuda. Le parole della protagonista Marnie sintetizzano nel modo più semplice e brutale possibile Pure la nuova serie tv disponibile con tutti gli episodi in esclusiva suRai Play, piattaforma di streaming gratuito della RAI, proseguendo nella linea di arricchire la piattaforma con contenuti adatti a un pubblico giovane, millennials, disponibili su più piattaforme sia doppiate che in lingua originale con i sottotitoli.

La direttrice di Rai Play presentando la serie portata anche alla sezione Alice nella Città della Festa del Cinema di Roma, ha sottolineato come la mission della piattaforma sia quella di raccontare i millennials proponendo contenuti adatti a loro. E Pure si inserisce perfettamente su questa linea raccontando in modo fresco e dinamico relazioni, turbamenti e amori di un gruppo di ragazzi poco più che ventenni, ma soprattutto affrontando in modo impeccabile il tema delle malattie mentali.

Disturbanti pensieri

Pure 0 è una forma di disturbo ossessivo compulsivo poco conosciuta che comporta indesiderati pensieri di natura sessuale che travolgono chi ne soffre, incapace di controllarli e di resistervi. E come la maggior parte delle persone che soffre di questo disturbo, anche la protagonista Marnie (interpretata da Charly Clive) non ne conosce l’esistenza, si ritrova travolta da questi pensieri senza sapere il perchè. Così quando durante l’anniversario di matrimonio dei genitori inizia ad avere pensieri incestuosi nei loro confronti, decide di scappare, lasciare il piccolo paese scozzese in cui è cresciuta e immergersi in una Londra in cui è facile risultare anonimi tra 8 milioni di persone.

Praticamente esordiente con questo ruolo, Charlie Clive è la sorpresa di Pure, un’attrice capace di rendere al meglio le diverse sfumature della personalità di Marnie, una ragazza che vorrebbe essere dolce e delicata ma non sa mai come interagire con gli altri temendo il pensiero sessuale pronto a spuntare. Così anche prendere il caffè al bar si rivela un’impresa ardua ritrovandosi a letto con il barista. Marnie deve capire chi è e per farlo si appoggia alla rete di amici appena trovati, incontrati per caso in un locale gay mentre prova a capire se sono le donne che le possano piacere e placare così le proprie pulsioni o in un gruppo di supporto dove trova Charlie, interpretato da Joe Cole che già abbiamo visto in Gangs of London.

Pure è un dramedy profondamente britannico nello stile, irriverente e scorretto ma senza essere visivamente esplicito con i pensieri di Marnie resi in modo comico, surreale. La serie è ispirata al libro di Rose Cartwright che ha raccontato la propria esperienza con il Pure 0 e proprio per questo, oltre che per il supporto di psicologi e medici che ne hanno accompagnato lo sviluppo, la descrizione della malattia mentale, la resa scenica è impeccabile, portando lo spettatore dentro la mente della protagonista.

Pure ma senza futuro

Nonostante la serie funzioni soprattutto nei primi episodi, grazie a situazioni divertenti e alla simpatia della protagonista oltre alla bravura di Joe Cole capace di conquistare la scena ogni volta sia presente, Pure finisce per cadere nella ripetizione di uno schema già visto, diventando un racconto dell’amore millennials nella moderna e cosmopolita Londra, con l’aggiunta di uno spunto insolito, che ci viene ripetuto all’infinito. Forse anche per questo la serie non è stata rinnovata per una seconda stagione, avendo esaurito il racconto nell’arco di 6 episodi da poco più di 30 minuti ciascuno.

Pure rimane così una serie piacevole, che scorre via rapidamente e facilmente, ma altrettanto rapidamente si ha la sensazione che abbia esaurito le cose da raccontare, condividendo la scelta di non allungare il brodo evitando altri sei episodi per una seconda stagione alla ricerca di qualche altro artificio narrativo.

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