Non è una serie per tutti, ma L’Alligatore regala a Raidue un altro personaggio memorabile (incastrato in un eterno presente)
Il mondo di Carlotto ben si inserisce nella serialità proposta in questi anni dalla seconda rete Rai
C’è una Raidue che va oltre i reality collegiali, i varietà da prima serata ed i talk show politici. Una Raidue che è molto più interessante e che mostra la doppia faccia di una rete che sa guardare anche ad un pubblico in cerca di qualcosa che sia veramente differente. E’ la Raidue che in passato ci ha abituato a titoli come La Porta Rossa, Rocco Schiavone, L’Ispettore Coliandro, Mare Fuori e che ora punta tutto su L’Alligatore.
Otto episodi (quattro prime serate), in onda dal 25 novembre 2020 -ma chi è fan del binge-watching li può già vedere tutti su RaiPlay-, che ci portano in un Veneto blues, dove l’acqua della laguna diventa metafora di un mondo emerso e di uno sommerso. In mezzo, il nostro protagonista, Alligatore, a cui Matteo Martari dovrà sicuramente molto in futuro.
Un nuovo noir destinato a durare
Il motore delle sceneggiature, a cui Carlotto ha collaborato, sta proprio in questa sospensione in cui si trova Marco Buratti (vero nome di Alligatore) ed in cui finisce per trascinare i suoi amici e collaboratori per caso. Ma sia chiaro: Alligatore non trascina gli altri verso chissà quale vortice di sofferenza e delusione. Buratti riesce a tenere le proprie sensazioni ed emozioni dentro di sé, ancora ferito sia dall’esperienza del carcere e, soprattutto, dalla fine della relazione con la cantante Greta (Valeria Solarino).
Salvo qualche raro caso, l’Alligatore portato in tv da Daniele Vicari ed Emanuele Scaringi riesce a tenere in apnea i propri sentimenti. E’ come se dovesse imparare nuovamente a vivere, come se la prima scena della serie (che potete vedere in alto), in cui Buratti esce dal carcere e, spaesato, si mette in cammino verso la sua ritrovata libertà rappresenti, per lui, una seconda nascita, che lo costringe a dover imparare quasi tutto da capo.
Quasi, però. Perché dal carcere Alligatore si porta dietro l’esperienza che metterà in pratica nelle sue indagini poco ortodosse, qualche contatto e soprattutto un po’ di sano menefreghismo. Il suo metodo d’indagine, e l’alchimia tra Rossini (un irriconoscibile Thomas Trabacchi) e Max La Memoria (Gianluca Gobbi) si presta a creare casi su casi e sviluppi che potrebbero regalare lunga vita all’Alligatore non solo in libreria, ma anche sul piccolo schermo.
Veneto blues, Louisiana triste
Vicari, che delle serie è anche supervisore artistico, l’ha ribadito più volte: il Veneto che fa da sfondo alle vicende de L’Alligatore vuole essere un omaggio alla Louisiana, terra del blues, genere di cui la fiction di Raidue è intrisa sia nella colonna sonora che nel mood.
Non potrebbe essere diversamente: Buratti, ex cantante di blues anche nei libri, ha smesso di esibirsi -sebbene il motivo non sia del tutto chiaro-, ma la sua anima è come se continuasse a cantare. Il blues, d’altra parte, è uno dei generi musicali che riescono meglio a mettere in piazza i non detti. Un sound che non appartiene a tutti, né tutti riescono a comprenderlo: anche per questo motivo L’Alligatore compie un azzardo non da poco, ovvero intraprendere un percorso narrativo che non passa solo dai personaggi e dalle trame verticali, ma anche dalle musiche e dall’ambientazione.
La laguna, così irregolare e poco accogliente per la gran parte delle persone, è l’ambiente ideale per un Alligatore come Buratti, permettendogli di decidere lui quando emergere e farsi vedere. Non c’è nebbia, ma i personaggi riescono, se vogliono, a passare inosservati.
A differenza degli altri crime, quando il protagonista ed i suoi soci devono mettersi al lavoro su qualche caso lo fanno andando contro la propria natura: Buratti vuole dimenticare il passato, ma proprio quello gli permette di campare; Rossini vuole godersi il presente, ma va in aiuto del suo amico in ricordo del tempo passato in prigione, mentre Max La Memoria si preoccupa per il futuro dell’ambiente ma sa anche che le sue competenze tecnologiche torneranno utili ad Alligatore.
Un eterno presente che non fa per tutti
“Io non sono bravo ad andare avanti, ma non sono bravo neanche ad andare indietro”: le parole di Alligatore, nel corso della stagione, ci rivelano il vero motivo del fascino di questa serie, ovvero l’incapacità del protagonista di avere un obiettivo e la sua sofferenza nel rimanere incastrato nel presente.
Legato da corde che lui stesso sembra aver voluto, Buratti fa un passo alla volta, vivendo un eterno presente. Peccato, però che il mondo intorno a lui non la pensi allo stesso modo: si crea così un’asincronia che fa attrito e diventa la marcia in più di una serie che no, non è per tutti, ma essendone consapevole non ha l’ansia di piacere a tutti i costi.
L’Alligatore va a cercare chi ha amato soprattutto Rocco Schiavone, sebbene i due protagonisti sia ben differenti l’uno dall’altro. In entrambi i casi, però, location, carattere dei personaggi e difficoltà a digerire il presente mettono in scena situazioni in cui la soluzione da cercare non è quella dei casi, ma quella per la serenità dei protagonisti.