Torino 2006 – L’Olimpiade non è un film
Ci concentriamo su tutto quel che si può, da queste parti, e sono giornate frenetiche: nuovi collaboratori che arrivano – avrò occasione di presentarli -, TvBlog che cresce e intanto le Olimpiadi che passano. E’ un po’ colpevole non seguirle, ma sarebbe impossibile farne un servizio decente per i lettori. Però nulla impedisce di commentare.
16 Febbraio 2006 16:42
Ci concentriamo su tutto quel che si può, da queste parti, e sono giornate frenetiche: nuovi collaboratori che arrivano – avrò occasione di presentarli -, TvBlog che cresce e intanto le Olimpiadi che passano. E’ un po’ colpevole non seguirle, ma sarebbe impossibile farne un servizio decente per i lettori. Però nulla impedisce di commentare.
Per prima cosa mi sento di dire che – questa volta – apprezzo il lavoro della RAI, nonostante molti critichino la messa in onda di Quelli Che… e via dicendo. L’organizzazione è apprezzabile, la messa in onda soddisfacente, il commento tecnico alla fine anche piacevole. Ma L’Olimpiade resta un evento unico nel suo genere, colmo di racconti per immagini. Ecco che si compie una favola da film, quella di Dan Zhang e Hao Zhang, due cinesi che gareggiano nel pattinaggio artistico a coppie. Inizia il numero e lei cade, e si fa male, si vede bene perché la regia – giustamente – insiste sul ralenty e sul suo dolore. Hanno tre minuti per riprendersi. Lo fanno, e sfoderano un numero, in quei quattro minuti e mezzo che sembrano interminabili, che ha dello spettacolare. Un doppio axel lanciato, così alto da far gridare di stupore, chiosa una prestazione straordinaria. E vincono la medaglia d’argento così. Fuor di retorica, fosse stato un film avrebbero vinto l’oro. Ma non basta. Pochi minuti fa si disputa la semifinale dell’inseguimento a squadre, pattinaggio su ghiaccio. L’Olanda è in vantaggio, l’Italia dietro, di pochi decimi di secondo.
Ma ecco che l’Olanda, più forte, va detto, si rivela con meccanismi non proprio oliati: il capofila, mentre sta per dare il cambio, scivola e si trascina il compagno di squadra che sta subito dietro. Olanda a terra, Italia che va in finale. Ed ecco che la regia, pronta, va a sottolineare il gesto di esultanza del più estroverso del terzetto, che si accorge della disavventura degli avversari e esulta. Che doveva fare? Be’, fosse stato un film avrebbe pattinato con gli altri fino al traguardo e poi si sarebbe complimentato con gli sfortunati olandesi – che in cuor loro l’avrebbero volentieri mandato al diavolo ma avrebbero dovuto fingere sorrisi di circostanza – in perfetta esaltazione dello spirito olimpico.
Ma l’Olimpiade – per fortuna, lasciatemelo dire – è meno ipocrita di un film e di un ormai sfumato spirito decoubertiniano, che appartiene a un tempo passato. Ammesso e non concesso che sia mai stato applicato e non lasciato a una più facile formulazione teorica.