APPUNTI SULLA POST-TELEVISIONE (2): MUTANDE ROSSE
Una volta si diceva: sul ponte sventola bandiera bianca. Parole poi riprese da Battiato per una sua canzone. Continuando nei miei prudenti appunti sulla post-televisione, o meglio su che cosa intendiamo dire quando parliamo di televisione, vorrei sbandierare la bandierina rossa, una bandierina rossa rimasta famosa e assurta tra le glorie nazionali. Bandierina per fare
Una volta si diceva: sul ponte sventola bandiera bianca. Parole poi riprese da Battiato per una sua canzone. Continuando nei miei prudenti appunti sulla post-televisione, o meglio su che cosa intendiamo dire quando parliamo di televisione, vorrei sbandierare la bandierina rossa, una bandierina rossa rimasta famosa e assurta tra le glorie nazionali. Bandierina per fare rima con mutandina, anticipo.
Ricorderete che, nel periodo 1996-2002, all’alba della impetuosa avanzata del trash (che io chiamo garbage) nelle televisioni, una insegna si levò più alte di tutte le altre. Anzi, si abbassò per poi sollevarsi verso la gloria dei firmamenti mediatici. L’alza bandiera avvenne in una serata in cui agiva nel suo luminoso studio-show Daniele Luttazzi, ancora oggi bandito dai piccoli schermi e non si sa perchè (si sa, si sa: fa paura a destra e a manca) dopo quell’evento e qualche altro dello stesso conio d’irriverenza.
Davanti alla cattedra del prof Luttazzi sedeva Anna Falchi, seno orgoglioso, spacchi nella gonna, bocca che sembrava quadrupla. Non potete avere dimenticato. Luttazzi fa un segno alla studentessa che sta affrontando senza saperlo l’esamino di semiologia nella facoltà Rai delle comunicazioni di massa, la ragazza mangia la foglia e comincia a sfilarsi la foglia. La foglia delle mutandine rosse che sventola sul ponte di comando transitorio dello studio-show di Luttazzi. La bandierina fa qualche giro vorticoso tra gli applasudi sulla testolina bionda della simpatica e bella candidata. Sembra di ascoltare in sottofondo l’inno dell’Internazionale e sembra di poter immaginare milioni di pugni chiusi maschili che calano verso le rispettive brachette.
Luttazzi riceve il leggero vessillo e lo annusa morbosamente. L’unità d’Italia è fatta, intorno al simbolo del peccato sdoganato del voyuerismo finalmente sdoganato (s’immagina più che vedere) è fatta. Se ne ricorderà più avanti nel tempo l’attore Tullio Solenghi che, in un altro show, imitando Giampiero Mughini, protesta con i conduttori e, dopo avere annusato una copia (?) del cimelio dell’Anna SuperFalco, la ripone, ed estrae un paio di mutande bianche da maschio offrendo al pubblico l’alternativa -appunto la mutanda color pallore- di Vespa e del suo intimo sollevato a simbolo nazionale.
Fine del racconto di memoria. Memoria, anzi memorie che ho riproposto perchè credo che, nel momento in cui si parla tanto del futuro delle tv, e di quel che si sta preparando, non si possa prescindere dai fatti sopra esposti. Paradossalmente. Essi si candidano ad essere, e già lo sono, il monumento effimero e durevole della stagione televisiva che stiamo vivendo. Ce ne sono certamente anche altri, in specie nel campo dello spettacolo e della fiction, ma non c’è dubbio che il Rosso Fuoco della Superfica resterà stampato a lungo negli occhi spalancati del pubblico di ieri, di oggi e di domani. Da quel momento, da quello sbandieramento si è assunto definitivamente che il privato diventa pubblico, come del resto dimostrano principalmente i programmi della Maria Defilippi o similari in Rai, cloni a più non posso.
Non ho citato le mutandine per far chiasso a buon mercato, ma perchè mi pare di assistere a una fase di profondo smarrimento sui giudizi e le riflessioni dedicate alle tv e alla post tv. Si dice che ormai l’estetica per valutare programmi e personaggi non serve più; che l’aggressività dei canali e la banalità delle proposte generano solo disorientamento e confusione; che il ricordo della tv com’era diventa ogni giorno sempre più falso poichè ci si dimentica di come erano girati male i leggendari sceneggiati anni sessanta e di come erano involontariamente comici i quiz di Mike & soci; e, infine, ma si potrebbe continuare, che i sogni son desideri e che è inutile sognare, il video si spappolerà in una miriadi di comodi cassonetti in cui ognuno di noi potrà riposare in pace, amen.
Una simile situazione mi trova a mani vuote. Non so cosa si potrebbe contrapporvi. La coperta bucata dai tanti vuoti, dalle tante velleità, dai tanti che giustificano i propri interessi di cassetta con richiami a illustri precedenti (lo fanno coloro che cercano di proteggere le loro boiate con la citazione della commedia dell’arte!) scivola via. Ma almeno mi abbarbico ad un’idea a cui non solo non so rinunciare ma da cui spero di ricavare un percorso diverso rispetto alla rassegnazione nella quale navighiamo a vista. E cioè, l’idea che la storia della tv, specie quella degli ultimi vent’anni, possa essere fatta in modo diverso rispetto ai fiumi di parole che cercano di arginare e far defluire le correnti possenti delle immagini prodotte ogni giorno. Credo che le parole non bastino e che solo le tv (o chi sa lavorare con le immagini) possa raccontare la storia, le storie delle televisioni e tentare di dare uno sguardo alle premesse(?) di una post televisione, il tema su cui ci stiamo interrogando.
Una storia delle immagini farebbe emergere, e capire, penso, un intreccio di percorsi dai quali partire per cercare i sensi e non il senso di quel che sta accadendo. Se le mutandine di Anna rimbalzano su quelle di Vespa, il filo narrativo si appoggia su una storia costruita dai volti, dai corpi, dalle maschere, dai simboli (le mutandine o le mutande lo sono), dalle sconvenienze e dalla convenienze che le tv perseguono per consolidare a far reggere il loro dominio.
Poichè non mi piace lanciare il sasso (se sasso è) e nascondere la mano, ci proverò. Ma chi mi aiuta a far partire il gioco paradossale-ma non poi tanto- di una storia che è fatta solo e soprattutto di immagini? Quali immagini? Proviamo a ricordarne altre, mentre il rosso dello slip garrisce sull’asta delle tv.
ITALO MOSCATI