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No al porno in tv, dite la vostra

No al porno in tv. Dopo il continua potete leggere la Delibera n. 23/07/CSP – Atto di indirizzo sul rispetto dei diritti fondamentali della persona e sul divieto di trasmissioni che presentano scene pornografiche dell’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni (qui l’originale). In essa fra l’altro si legge che per pornografia si intende la descrizione

16 Marzo 2007 10:00

Gilian - No al porno in tv? No al porno in tv. Dopo il continua potete leggere la Delibera n. 23/07/CSP
Atto di indirizzo sul rispetto dei diritti fondamentali della persona e sul divieto di trasmissioni che presentano scene pornografiche dell’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni (qui l’originale). In essa fra l’altro si legge che per pornografia si intende

la descrizione o illustrazione di soggetti erotici, mediante scritti, disegni, discorsi, fotografie, etc., che siano idonei a far venir meno il senso della continenza sessuale e offendano il pudore per la loro manifesta licenziosità

e che il comune senso del pudore è ravvisabile nella

reazione emotiva, immediata ed irriflessa, di disagio, turbamento e repulsione in ordine a organi del corpo o comportamenti sessuali che, per ancestrale istintività, continuità pedagogica, stratificazione di costumi ed esigenze morali, tendono a svolgersi nell’intimità e nel riserbo.

Ora, mi chiedo e vi chiedo: quante trasmissioni televisive regolarmente in onda possono definirsi “pornografiche” e offensive del “comune senso del pudore”, secondo questa accezione? E soprattutto, vi chiedo di dire la vostra in merito al nostro sondaggio. A breve, dopo la reazione delle reti locali, approfondiremo l’argomento, anche con il vostro aiuto.

Delibera n. 23/07/CSP
Atto di indirizzo sul rispetto dei diritti fondamentali della persona e sul divieto di trasmissioni che presentano scene pornografiche

Pubblicata su questo Sito in data 12/03/07
In corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana

L’Autorità

NELLA riunione della Commissione per i servizi ed i prodotti del 22 febbraio 2007;

VISTA la legge 31 luglio 1997, n. 249, pubblicata nel Supplemento Ordinario n. 154/L alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 177 del 31 luglio 1997, ed in particolare gli articoli 1, comma 6, lettera b), nn. 1 e 14, e 3-bis;

VISTA la Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera, firmata a Strasburgo il 5 maggio 1989 dagli Stati membri del Consiglio d’Europa e dagli altri Stati parti della Convenzione culturale europea e resa esecutiva in Italia con la legge 5 ottobre 1991, n. 527, pubblicata nel Supplemento Ordinario n. 253 alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 28 ottobre 1991, e in particolare l’articolo 7;

VISTA la Direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del 3 ottobre 1989, n. 552, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive (89/552/CEE), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. L/298 del 17 ottobre 1989, e modificata con la Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 30 giugno 1997 (97/36/CE), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. L/202 del 30 luglio 1997, e in particolare l’articolo 22, comma 1;

VISTO il decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, recante “Testo unico della radiotelevisione”, pubblicato nel Supplemento Ordinario n. 150/L alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 208 del 7 settembre 2006, ed in particolare gli articoli 3 e 4, comma 1, lettera b)

VISTA la delibera n. 127/00/CONS recante il regolamento concernente la diffusione via satellite di programmi televisivi, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 86 del 12 aprile 2000 e, in particolare, l’articolo 15;

VISTA la delibera n. 278/04/CSP del 10 dicembre 2004 recante la direttiva in materia di carte dei servizi e qualità dei servizi di televisione a pagamento, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 15 del 20 gennaio 2005 e, in particolare, l’articolo 16;

CONSIDERATO che, alla luce delle disposizioni normative e regolamentari vigenti, i principi fondamentali del sistema radiotelevisivo rappresentati dalla libertà di espressione, di opinione e di ricevere e comunicare informazioni, applicabili alle emittenti radiotelevisive e ai fornitori di contenuti radiotelevisivi, devono conciliarsi con il rispetto dei diritti fondamentali della persona, essendo esplicitamente stabilito il divieto di trasmissioni che presentano scene pornografiche, con la sola esclusione delle trasmissioni ad accesso condizionato che prevedano l’adozione di un sistema di controllo specifico e selettivo (articolo 4, comma 1, lettera b), testo unico della radiotelevisione);

CONSIDERATO che alla luce delle predette disposizioni comunitarie e nazionali il rispetto dei diritti fondamentali della persona deve costituire principio cardine del sistema radiotelevisivo, non derogabile da parte delle emittenti, né con riferimento agli orari di trasmissione né ai sistemi ed alle modalità di programmazione;

CONSIDERATO, altresì, con specifico riferimento alle trasmissioni che contengono scene pornografiche , che la stessa normativa prevede come unica eccezione che la trasmissione sia realizzata mediante sistemi ad accesso condizionato che prevedano l’adozione di un sistema di controllo specifico e selettivo;

RILEVATO che la Corte di Cassazione (sez. I civile, sentenze nn. 6759 e 6760 del 6 aprile 2004) ha statuito che “il divieto “assoluto” di trasmissione di programmi che contengano (anche o esclusivamente) “scene [..] pornografiche”” è volto “ad escludere tout court la trasmissione di programmi che, in quanto immediatamente collidenti con principi e valori riconosciuti e garantiti (anche) dalla Costituzione in relazione (non soltanto al singolo individuo, ma) a tutta la collettività nazionale, sono considerati nocivi per l’intera collettività”, precisando altresì che “il legislatore, in questi casi, tenendo conto della natura e delle caratteristiche del mezzo radiotelevisivo e dei possibili effetti dei suoi “messaggi” sul pubblico indeterminato ed indeterminabile dei destinatari, ha scelto, mediante il divieto assoluto di trasmissione di programmi radiotelevisivi aventi i contenuti vietati, di tutelare “incondizionatamente” — vale a dire, senza prevedere eccezioni — principi, valori ed interessi ritenuti primari per la stessa convivenza sociale e civile, quali […] il buon costume […1, e di sacrificare perciò, previo bilanciamento dei valori in gioco, la libertà di informazione radiotelevisiva”, non rilevando “né il mezzo di comunicazione (radio o televisione), né il mezzo espressivo utilizzati per confezionare un programma vietato, sia esso costituito da parole e/o suoni — propri della comunicazione radiofonica — ovvero da immagini e/o parole e/o suoni, propri del medium televisivo”, giacché i divieti in questione “si riferiscono, in mancanza di precise specificazioni legislative, a qualsivoglia programma, qualunque sia il “genere” cui lo stesso sia riconducibile secondo le classificazioni correnti (informazione, svago, intrattenimento, sport, cultura, fiction, etc.)”

RILEVATO che nella stessa pronuncia la Corte di Cassazione rinvia all’esito di specifica valutazione caso per caso “l’interpretazione ed applicazione delle corrispondenti fattispecie nei casi concreti: vale a dire [..] l’esistenza, nel programma, di “scene” che possano qualificarsi [..] “pornografiche “”

RITENUTO, pertanto, necessario fornire linee interpretative e di indirizzo per meglio specificare la natura delle scene e dei programmi che, potendosi qualificare come pornografici, rientrano nei divieti previsti dalla predetta normativa;

RITENUTO che a tal fine utili indirizzi e principi possono essere desunti dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di offesa al sentimento del pudore;

CONSIDERATO che in base alla giurisprudenza in materia:

a) per pornografia si intende “la descrizione o illustrazione di soggetti erotici, mediante scritti, disegni, discorsi, fotografie, etc., che siano idonei a far venir meno il senso della continenza sessuale e offendano il pudore per la loro manifesta licenziosità” (Cass., sez. III penale, 9 febbraio 1971, n. 1197);

b) il pudore è definibile come “reazione emotiva, immediata ed irriflessa, di disagio, turbamento e repulsione in ordine a organi del corpo o comportamenti sessuali che, per ancestrale istintività, continuità pedagogica, stratificazione di costumi ed esigenze morali, tendono a svolgersi nell’intimità e nel riserbo” (Cass., sez. III penale, 3 febbraio 1977, n. 1809);

c) poiché la libertà di espressione costituzionalmente garantita trova un limite “nelle esigenze di tutela del pudore e del buon costume” (Cass., sez. III penale, 10 agosto 1966, n. 1218), risulta fondamentale la definizione dell’offesa al buon costume, che si distingue dalla indecenza in quanto quest’ultima si realizza nell’offesa del “sentimento collettivo della costumatezza e della compostezza”, mentre l’offesa al buon costume – che assume penalisticamente i connotati dell’oscenità – afferisce piuttosto alla lesione della verecondia sessuale, ossia alla riservatezza relativamente ad atti e fatti pertinenti alla intimità sessuale (Cass., sez. III penale, 11 giugno 2004, n. 26388);

d) il comune sentimento del pudore è ravvisabile nel “senso di quella naturale riservatezza che nella normalità dei casi circonda tutte le manifestazioni riguardanti la vita sessuale” (Cass., sez. III penale, 30 ottobre 2001);

e) la concreta determinazione del “comune senso del pudore” è rimessa a una valutazione caso per caso (Cass., sez. III penale, 15 gennaio 1979, n. 484), nel senso “della verifica e dell’aggiornamento … nella sua mutevolezza con il divenire dei costumi e con l’evoluzione del pensiero medio dei consociati nel momento storico in cui avviene il fatto incriminato (cosiddetto criterio storico-evolutivo)” (Cass., sez. III penale, 7 giugno 1984, n. 5308), precisandosi tuttavia che “non possono essere poste a fondamento di un giudizio di valore quelle manifestazioni che, riferendosi apertamente ad atti della vita sessuale, tendono esclusivamente all’eccitamento erotico. Queste infatti devono essere tuttora considerate come fenomeni di degenerazione del costume” (Cass., sez. VI penale, 8 giugno 1971 n. 22, e 10 febbraio 1972, n. 878);

f) al fine di individuare le potenzialità offensive del pudore è necessario valutare gli atti e le rappresentazioni rispetto “al contesto ed alle modalità in cui gli atti o gli oggetti sono compiuti o esposti. […] Ne consegue che il nudo integrale — considerando il sentimento medio della comunità ed i valori della coscienza sociale e le reazioni dell’uomo medio normale — assume differenti valenze […1. L’esibizione degli organi genitali (diversamente da quella del seno nudo, che non integra più alcuna ipotesi di reato) — al di fuori delle eccezioni ricordate — configura il delitto di atti osceni, perché mira al soddisfacimento della “libido” ” (Cass., sez. III penale, 3 ottobre 1997, n. 8959);

g) la rappresentazione, o più precisamente l’esibizione, degli organi genitali, dunque —salvo che nell’ambito di un nudo artistico — tende ad essere qualificata come erotizzante e dunque offensiva del pudore, e ciò con riferimento agli organi dell’uno o dell’altro sesso; più in particolare, si ha offesa al pudore “quando si rappresentano nude, con la palese funzione di eccitare l’istinto sessuale attraverso atteggiamenti e particolari posizioni, quelle parti del corpo femminile che hanno riferimento alla sfera sessuale e si risolvono nella sollecitazione psichica dell ‘erotismo” (Cass., sez. III penale, 28 novembre 1974, n. 9191); alla stessa stregua è valutata la rappresentazione degli “oggetti cosiddetti “coadiuvanti”, che hanno la funzione di risvegliare e stimolare l’istinto sessuale, rappresentando organi genitali” (Cass., sez. III penale, 15 aprile 1985 n. 3494), con la sola eccezione di quegli oggetti il cui “contenuto palesemente ironico e canzonatorio […] ne escluda il carattere di oscenità” (Cass., sez. III penale, ordinanza 21 ottobre 1995, n. 3027);

h) viene in considerazione non soltanto la manifestazione, ma anche la sua finalità e la sua motivazione: non soltanto la “inequivoca attinenza sessuale del gesto compiuto” (Cass., sez. III penale, 22 novembre 2001, n. 41735) è sintomatica del carattere osceno della rappresentazione, ma anche il suo essere concreta espressione dell’istinto sessuale: “il contenuto osceno penalmente rilevante non può restringersi alla sola rappresentazione estrema di un rapporto sessuale, ma comprende anche l’oscenità insita in atti e comportamenti che richiamano il congresso carnale, come esposizione di nudità, atteggiamenti con chiaro contenuto erotizzante, manifestamente licenziosi” (Cass., sez. III penale, 5 dicembre 2002, n. 41055).

i) pertanto, il pudore risulta leso in generale dalla rappresentazione prodotta di “atteggiamenti che rievocano esplicitamente e brutalmente gli atti della riproduzione” (Cass., sez. VI penale, 1 ottobre 1968, n. 1085), avendo “attitudine a svegliare la sensualità o a suscitare la concupiscenza richiamando direttamente o indirettamente sensazioni o manifestazioni della vita sessuale che devono rimanere opportunamente celate” (Cass., sez. I penale, 30 giugno 1969, n. 267), sia più in generale “quelle manifestazioni che apertamente tendono all’eccitamento erotico” (Cass., sez. VI penale, 4 febbraio 1971, n. 1465);

j) nello specifico, a titolo esemplificativo, si ha offesa al pudore “sia quando si riproducono brutalmente “atti della generazione”, sia quando si rappresentino scene ed atteggiamenti che chiaramente richiamino il rapporto sessuale” (Cass., sez. III penale, 15 gennaio 1979, n. 484); ancora, quando si ha “rappresentazioni di immagini che chiaramente richiamano il rapporto sessuale o equivalente abnormi, nonché atti di libidine, attraverso esposizioni di nudità invereconde, pose e atteggiamenti aventi chiaro significato erotizzante” (Cass., sez. III penale, 28 novembre 1974, n. 9191); ovvero, la esibizione di corpi parzialmente o totalmente nudi, accompagnati a pose e atteggiamenti dei personaggi che richiamano o simulano, anche in maniera provocatoria, atti o attività sessuale, vale a configurare come pornografica la rappresentazione in quanto contraria al comune senso del pudore (Cass., sez. I penale, 14 gennaio 2005, n. 17285);

k) con specifico riguardo al contesto cinematografico, “un’opera, il cui contenuto è caratterizzato da un esasperato o quasi ossessivo pansessualismo fine a se stesso, in quanto diretto a sollecitare deteriori istinti della libidine con rappresentazioni crudamente veristiche di amplessi, con descrizioni, scene ed esposizioni di nudità, non può non essere considerata oscena, in quanto gravemente offensiva del comune sentimento del pudore di quella particolare sensibilità e riservatezza che, ancor oggi, nonostante l’evoluzione dei costumi, circonda cose od atti attinenti alla vita sessuale. Ed è indubbio che anche nell ‘attuale momento storico la grande maggioranza dei consociati, cui bisogna far riferimento per determinare il modo di pensare e di sentire del cosiddetto “uomo medio”, non ritiene tollerabile e non accetta un’opera cinematografica, teatrale o letteraria, il cui tessuto connettivo sia esclusivamente, o quasi, costituito dalla brutale riproduzione di atti della generazione e dalla rappresentazione di scene ed atteggiamenti che chiaramente richiamino il rapporto sessuale” (Cass., sez. III penale, 28 gennaio 1981, n. 520); e ancora, “un’opera cinematografica riveste carattere di oscenità non solo per la sua attitudine ad eccitare la concupiscenza, ma anche quando, rappresentando scoperte carnalità e violenze sessuali riposte nel fondo degenerativo degli istinti primordiali della specie, violi il pudore, e cioè la verecondia attraverso la quale l’uomo, nel suo lungo cammino di civiltà, ha sempre cercato di nascondere i suoi istinti sessuali oltreché le turpitudini della propria ed altrui lussuria. Tutto ciò, invero, mettendo in particolare evidenza fatti censurati dal riserbo e dalla pudicizia che circondano gli strati elevati della coscienza umana, può indurre anche un profondo disgusto, tale da prevalere sulle pulsioni erotizzanti e annullarle.” (Cass., sez. III penale, 7 giugno 1984 n. 5308);

RITENUTA la sussistenza di elementi sufficienti alla individuazione dei criteri di determinazione della natura pornografica degli atti, degli oggetti e delle rappresentazioni vietate ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177;

RITENUTA, conseguentemente, l’opportunità di esplicitare i predetti criteri cui devono conformarsi i programmi predisposti e trasmessi dalle emittenti radiotelevisive pubbliche o private nonché dai fornitori di contenuti radiotelevisivi, eccezion fatta per quelli diffusi ad accesso condizionato con sistema di controllo specifico e selettivo, al fine di rendere effettivo il divieto di trasmissione di programmi contenenti scene pornografiche;

UDITA la relazione del Commissario Michele Lauria, relatore ai sensi dell’articolo 29 del regolamento concernente l’organizzazione ed il funzionamento dell’Autorità;

Delibera

1. Le emittenti radiotelevisive pubbliche e private, nazionali e locali e i fornitori di contenuti radiotelevisivi su frequenze terrestri, via satellite e via cavo , ai sensi e nei limiti di quanto stabilito dall’articolo 4, comma 1, lettera b), in combinato disposto con l’articolo 51, comma 1, lettera i) del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, sono tenuti a rispettare il divieto di trasmissione di programmi contenenti scene pornografiche individuate in base ai criteri recati dalla presente delibera.
2. A tal fine, si intende per pornografica la descrizione, l’illustrazione o la rappresentazione, visiva e/o verbale, di soggetti erotici e di atti o attività attinenti alla sfera sessuale, che risulti offensiva del pudore.
3. È offensiva del pudore la descrizione, l’illustrazione o la rappresentazione, visiva e/o verbale, di atti o attività attinenti alla sfera sessuale, o l’esibizione di organi genitali, esorbitante dalla riservatezza tipica delle manifestazioni relative alla vita sessuale, ovvero finalizzata alla eccitazione erotica o alla stimolazione dell’istinto sessuale, ovvero connotata da gratuità rispetto al contesto narrativo e priva di elementi redimenti che, alla luce dello stesso contesto, ne giustifichino la presenza.
4. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 34, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, non rientra nel menzionato divieto di cui all’articolo 4, comma 1, lettera b) del citato decreto legislativo, la rappresentazione che, pur ricadente nella definizione di cui al precedente punto 2, sia parte di un contesto culturale o di valore artistico e risulti non fine a sé stessa ma funzionale all’economia dell’opera in cui è inserita.
5. Le emittenti e i fornitori di contenuti sono richiamati ad adottare ogni cautela al fine di uniformare le attività connesse alla messa in onda di programmi radiotelevisivi ai predetti criteri ai fini dell’osservanza del divieto di cui all’articolo 4, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177.
6. L’Autorità uniforma le proprie attività di monitoraggio e sanzionatoria sul rispetto dei diritti fondamentali della persona e del divieto di diffusione di programmi recanti scene pornografiche ai predetti criteri, che pertanto assumono valore di indirizzo interpretativo della relativa disposizione contenuta nell’articolo 4, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, munita del presidio sanzionatorio di cui all’articolo 51, comma 1, lett. i), del citato decreto legislativo.

La presente delibera è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e nel Bollettino ufficiale e sul sito web dell’Autorità ed è trasmessa alla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.

Roma, 22 febbraio 2007

IL PRESIDENTE

Corrado Calabrò
IL COMMISSARIO RELATORE

Michele Lauria

per attestazione di conformità a quanto deliberato
IL SEGRETARIO GENERALE

Roberto Viola