Tanto c’è il telecomando
C’è che l’appuntamento con il mio angolo di Malaparte, vorrei quasi diventasse quotidiano, perché a leggervi si trovano sempre spunti, stimoli, voglia di riflettere e discutere di molte cose. A volte non c’è il tempo per farlo, ma oggi è impossibile esimersi dal trarre il giusto spin off da questo mio post. Molti di voi
C’è che l’appuntamento con il mio angolo di Malaparte, vorrei quasi diventasse quotidiano, perché a leggervi si trovano sempre spunti, stimoli, voglia di riflettere e discutere di molte cose. A volte non c’è il tempo per farlo, ma oggi è impossibile esimersi dal trarre il giusto spin off da questo mio post. Molti di voi commentano – è una cosa che scrivete spesso, quando si critica –
Non vedo perché indignarsi, c’è il telecomando.
Basta spegnere.
Basta cambiare canale.
Ecco, signori. Non sono minimamente d’accordo. Anzi – e perdonate la vis polemica – trovo che questo tipo di commenti rappresentino il minimo dello sforzo sinaptico della critica e dell’autocrica. C’è il telecomando (per la sua diffusione, vi rimando a queste notizie ) non può essere un’argomentazione valida.
Affermare che la televisione può mandare in onda qualsiasi cosa perché tanto non si è obbligati a guardarla fa perdere significato a qualsiasi forma di critica – e per esteso giustificherebbe tutto, in qualsiasi forma di comunicazione o arte – e ragionamento costruttivo per un miglioramento qualitativo oltreché quantitativo di quel che si vede in onda.
C’è il telecomando. Ma quel che mi inquieta è che le metodologie adottate per far sì che il pubblico non cambi canale sono le più becere (inseguimenti dei neri pubblicitari del concorrente diretto, anche questo il minimo sforzo sinaptico).
E che anche su un blog “specializzato” come questo, con lettori attenti come voi, nel momento in cui ci si permette di fare una riflessione un po’ più ambia, si legga basta cambiar canale.
Nella mia filosofia, nel mio approccio alla televisione come mezzo di comunicazione che amo, sarebbe equivalente a arrendermi. Quindi, no. Cambiar canale non basta e il telecomando resta un mezzo tecnologico, non un’astrazione filosofico-critica che può giustificare qualsiasi caduta di stile, qualsiasi povertà di contenuti.