Le Iene a rischio processo
La vicenda aveva suscitato scalpore e provocato un’alzata di scudi notevole contro le Iene, che all’esordio lo scorso ottobre erano partite con un gustoso scoop: un test fatto di fronte al Parlamento che dimostrava come un terzo dei nostri onorevoli rappresentanti (su 50 facenti parte del “campione“) aveva assunto cannabis o cocaina nelle 36 ore
La vicenda aveva suscitato scalpore e provocato un’alzata di scudi notevole contro le Iene, che all’esordio lo scorso ottobre erano partite con un gustoso scoop: un test fatto di fronte al Parlamento che dimostrava come un terzo dei nostri onorevoli rappresentanti (su 50 facenti parte del “campione“) aveva assunto cannabis o cocaina nelle 36 ore precedenti il loro arrivo a Palazzo Madama o a Montecitorio.
Le Iene nel corso di una finta intervista avevano approfittato per passare sulla fronte dei parlamentari uno speciale tampone, in grado appunto di rilevare la recente assunzione di sostanze stupefacenti. Il risultato era stato “stupefacente” (chiedo venia per la bassa ironia) solo per i meno smaliziati fra gli italiani: non sono pochi i parlamentari che fanno uso di droghe.
Come ricorderete, nonostante tutte le garanzie di assoluto anonimato (i tamponi non erano contrassegnati in alcun modo, i volti delle 50 cavie non sarebbero stati mostrati), un ricorso al Garante della Privacy aveva bloccato la messa in onda del servizio, anche se la notizia era oramai perfettamente nota nei contenuti a tutti.
Ieri il pm di Roma ha depositato gli atti riguardanti il fascicolo aperto per “violazione della normativa sulla privacy” a carico della troupe delle Iene che aveva realizzato il servizio, un atto formale che solitamente prelude il rinvio a giudizio per gli indagati.
La decisione non è certo sorprendente, formalmente ineccepibile visto che vengono contestate “le modalita’ di acquisizione del sudore degli interpellati“, ma sostanzialmente appare ridicola e piuttosto discutibile. In un paese nel quale le “violazioni della privacy” sono all’ordine del giorno, nel quale l’applicazione della norma di 11 anni fa è confusa e i suoi effetti nella vita di tutti i giorni si traducono per il cittadino comune non in una concreta tutela, ma piuttosto in una firma e una liberatoria in più da presentare, quando questa serve a tutelare gli imbarazzanti segreti dei cittadini di serie A, quei privilegiati per definizione che sono i nostri parlamentari, diviene una sorta di diritto divino inviolabile.
Spesso, lo vediamo spesso quando seguiamo le inchieste di Report, ma non solo, dietro la legge sulla “privacy” si nascondono verità e fatti che tutti avrebbero il diritto di conoscere.
Qualcuno usa dire: “la legge è uguale per tutti, ma per alcuni è un po’ più uguale“, non sbaglia di molto.