Home Notizie APPUNTI SULLA POST TELEVISIONE (22) – OGNI TANTO FA BENE INCAZZARSI

APPUNTI SULLA POST TELEVISIONE (22) – OGNI TANTO FA BENE INCAZZARSI

Ogni tanto fa bene incazzarsi. Leggo che Carmen Lasorella accusa la Rai di varie cose e soprattutto di “letargia”. Se non la fanno lavorare, un motivo ci sarà. Non so dire quale. Ma trovo un senso di fastidio quando inciampo in un vittimismo che diventa lamento da posizioni ben pagate e tranquille. Una volta è

5 Luglio 2007 21:29

Carmen LasorellaOgni tanto fa bene incazzarsi. Leggo che Carmen Lasorella accusa la Rai di varie cose e soprattutto di “letargia”. Se non la fanno lavorare, un motivo ci sarà. Non so dire quale. Ma trovo un senso di fastidio quando inciampo in un vittimismo che diventa lamento da posizioni ben pagate e tranquille. Una volta è essere vittime, con buoni stipendi, e altra cosa è essere vittime a causa della “letargia” aziendale che penalizza persone che lavorano da anni senza il riconoscimento dei diritti, che tirano la carretta per poche centinaia di euro.
Ogni tanto fa bene incazzarsi. Qui, in questo paese, anzi in questa tv, il vittimismo premia nella maggioranza dei casi ed è per questi che molti lo praticano. Sta diventando il nuovo sport dei “garantiti” che sono prodotti a getto continuo dagli alti e bassi del potere. In Rai, è una regola ormai diffusa che sputtana l’azienda e i suoi dipendenti onesti. Carrettate di “garantiti”. Che sono i premiati di vero di una situazione curiosa, per essere minimalisti. Ovvero: i cambiamenti di governo (sempre numerosi) producono legioni di spostati- nel senso di messi da parte- per fare spazio ai nuovi dipendenti delle nuove maggioranze. Così di seguito tra miracolati (i nominati) e gli accantonati in vista del nuovo giro.
A me questa roba fa incazzare.
Mi fa incazzare anche, nel gran parlare di innovazione che si fa in tema televisivo, la mistificazione che riguarda i criteri con cui si progetta la ricerca e la si finanzia.
Un giorno di alcuni anni fa- circa sette o otto- vengo ricevuto da una bella donna che ha avuto l’incarico di dirigere la “Serra creativa” nella Rai del direttore generale Pierluigi Celli. Anzi, è lo stesso Celli che l’ha trovata e l’ha scelta. Non faccio il nome della signora perchè credo che lei non abbia colpa di nulla e che sia stata veramente una vittima di una mentalità, vittima nel senso di avere trovato un carnefice proprio in chi l’aveva messa a quel posto. La signora è bella, giovane, elegante. Mi riceve sul ufficio ai piani alti di Viale Mazzini. Intorno al collo ha un sottile boa di piume che ingentilisce un volto già gentile. Davanti ha un bel computer portatile, grande come una scrivania.

L’oggetto della nostra conversazione è la “Serra creativa” e i suoi metodi di lavoro. Ascolto in silenzio, molto interessato. Vengo da alcune esperienze sperimentali che hanno dato i suoi frutti- la scoperta di un buon numero di registi giovani e bravi, tra cui Gianni Amelio- e le mie orecchie amerebbero essere accarezzate da idee e proposte nuove. Sento con stupore che il computer sarà il tabernacolo della “Serra” e cioè il tabernacolo, il terminale spalancato alle richieste di collaborazione che tutti, ma proprio tutti, possono fare, mandando spunti, soggetti, racconti, raccontini, scalette o cartoline.
Cerco di mettere in guardia la gentile signora. Cominciare così significa farsi invadere di invii al punto tale da essere sommersi e di diventare incapaci sia di scegliere che di decidere. La signora col boa mi guarda male. Forse ignora che in Italia la tecnica di apertura totale, indiscriminata, è la manifestazione tipica di lanciare il sasso e di ritirare la mano, cioè si tratta di una delle manifestazione più affette di “letargia” che si possano immaginare. Come dimostrano le migliaia di premi e le centinaia di migliaia di concorrenti ai premi, di letteratura, di cinema, di teatro o altro
A distanza di qualche tempo, dopo aver buttato dalla finestra alcuni miliardi (decine?), i giornali pubblicano la notizia che la “Serra” sta chiudendo. Il dg l’ha voluta la “Serra” e la signora non c’è più. In qualsiasi azienda del mondo, per il costoso fallimento, questo dirigente tornando in ufficio una mattina non avrebbe trovato sulla scrivania di licenziato neppure le foto di famiglia, rispedite al domicilio privato. Invece, nulla accade. Si seppellisce semplicemente una etichetta pomposa e sterile, mentre il boa della signora finisce nel cassonetto, e i debiti vanno in bilancio del servizio pubblico.
Morale della favola: non c’è peggior “letargia” che buttare via soldi, idee, doveri. Ma di questo non si sente parlare. I dirigenti che hanno fatto il guasto si sono trasferiti senza pagare dazio, anzi hanno avuto ottime buon uscite e quando possono pontificano sulla necessità di innovare forme, linguaggi e contenuti.
A quando la sveglia? La Rai corre seri rischi. Lo dicono soprattutto i suoi vertici. Sono essi stessi “vittime” di un sistema politico che non cambia o non riesce a cambiare la situazione stallo, figuriamoci se pensa alla innovazione.
C’è qualcuno che ha qualche idea per la “serra creativa” che si potrebbe aprire e inaffiare con buon senso e soprattutto serietà?
ITALO MOSCATI