Gli adolescenti problematici bucano lo schermo
Sono maledettamente scapestrati e ci piacciono per questo. Non importa se hanno la nostra stessa età o potremmo far loro da fratelli maggiori, ma gli adolescenti seriali che hanno un sacco di problemi ci hanno sempre accattivato. Poiché l’estate è la stagione ideale del ripasso, il sottoscritto è alle prese con un full immersion telefilmica,
Sono maledettamente scapestrati e ci piacciono per questo. Non importa se hanno la nostra stessa età o potremmo far loro da fratelli maggiori, ma gli adolescenti seriali che hanno un sacco di problemi ci hanno sempre accattivato.
Poiché l’estate è la stagione ideale del ripasso, il sottoscritto è alle prese con un full immersion telefilmica, tra passato e presente, revival e contemporaneità, per cercare di capire i motivi ricorrenti dell’immaginario teen o le novità di ultima generazione.
In primo luogo c’è da fare una distinzione di fondo, che è quella tra family series, spesso paludate e tendenti allo stereotipo, e i drama a sfondo teen (meglio se incentrati sul rapporto con gli adulti) che scandagliano in profondità l’argomento.
Se pensiamo al primo caso, non possiamo non citare Settimo Cielo, che sull’educazione paternalistica e a tratti puritana ci campa da sempre. Fox e Hallmark se la contendono su Sky tutt’ora, replicando stagioni diverse, ma il culmine del rigorismo etico è stato raggiunto nel corso della five season, quando Mary Camden beve birra e viene per questo cacciata di casa.
In realtà questo repentino esilio che sa di paradossale vede a monte un vero e proprio caso di oscurantismo moralistico.
Tutto è incominciato da quando l’interprete Jessica Biel, attualmente quotatissima come ragazza-copertina a livello globale, ha gradualmente “svilito” la propria immagine con alcune fotografie in pose sexy e senza veli. I produttori della serie stigmatizzarono questa sua scelta così audace, perché andava contro i principi dello show e i valori da esso trasmessi (come se un’attrice non potesse fare quel che le pare indipendentemente dal suo personaggio). E’ così che la sua Mary è stata per qualche tempo allontanata dal cast dopo una fase di ribellione (e la successiva parabola di redenzione degna di una serie religiosa che si rispetti) : per farla uscire di scena decisero che i genitori l’avrebbero mandata per alcuni mesi a Buffalo finché non fosse cambiata (mancò in alcuni episodi della stagione cinque e in molti si inventarono l’assurda trovata di farla comparire ‘per telefono’). Quando si dice, un castigo in piena regola per punire una duplica ragazzata, tra serial e realtà.
Quando la Biel tornò on stage per la sesta stagione, le divergenze tra lei e i produttori di Settimo Cielo fecero sì che il personaggio di Mary abbandonasse in modo (semi)definitivo lo show.
Ma la morale della favola insegna che Mary Camden era talmente amata e cruciale per la serie da rendere impossibile il rinunciarvi del tutto (mentre avremmo fatto volentieri a meno dell’inutile sorellina Lucy, tutta casa e sermoni).
Di qui il bisogno di farla tornare di tanto in tanto con dei cameo attira-pubblico, oltre all’obbligo ricorrente di menzionarla per tenerne vivo il ricordo.
Per una fanciulla che viola le regola e resta per questo indimenticata (in fondo voleva “solo” fare sesso con il suo boyfriend in un motel, sempre più confortevole dei sedili reclinabili di un catorcio), c’è una famiglia passata alla storia della serialità per un messaggio di fondo: l’ostracismo genitoriale sortisce come effetto contrario la trasgressione filiale.
A tal proposito, tra i giovani personaggi più interessanti del panorama seriale attuale c’è sicuramente Andrew Van De Kamp (Shawn Pyfrom), il figlio della maniacale casalinga Bree, forse la più disperata di tutte.
La problematicità di questo sbarbatello impertinente sta innanzitutto nell’essere gay, ma superando il cliché del ragazzo triste e emarginato, alle prese con il sofferto coming out e la battaglia per la difesa dei propri diritti.
L’omosessualità di Andrew è qualcosa di sferzante, che sovverte a testa alta qualsiasi moralismo e, al tempo stesso, si tiene al riparo dalla melodrammatica retorica a tema per ingaggiare una sfida tutta personale contro il suo peggior nemico: la madre matrigna.
Al termine della seconda stagione, che abbiamo visto in chiaro su Raidue, abbiamo assistito ad un conflitto edipico di netta ispirazione freudiana. Al centro di questo magistrale teatro dei sentimenti, un figlio alla ricerca di vere attenzioni da una genitrice leziosa e una donna ossessivamente schematica, che via via rinuncia all’ipocrisia della forma per affrontare una vita più brutalmente reale.
Il gioco di prospettive in Desperate Housewives 2, serie ingiustamente bistrattata per un presunto calo di mordente, è stato proprio quello di raccontare sino allo stremo le perversioni di Andrew, che vanno al di là della trasgressione fine a stessa o di un’iniziazione sessuale irrefrenabile, per metterne a luce le ragioni del rancore filiale.
Come fustigare, anziché rifletterci sopra, la scena in cui lo vediamo andare a letto con il libidinoso compagno della madre, alle prese con una dipendenza dal sesso che non si ferma davanti a nulla e che Andrew usa come un dispetto per ferire una volta per tutte i sentimenti materni?
A quel punto Bree dichiara che anche l’amore incondizionato di una madre ha un limite (dopo aver rivelato, qualche puntata prima, che se suo figlio la odia significa che tra loro c’è pur sempre un legame e resterà indissolubile).
Ad approfondire questo rapporto, ma in una chiave ancora più esasperata e a tinte forti, è stata la first season di Huff, in cui un ragazzo omosessuale si spara nello studio del proprio analista dopo essere uscito allo scoperto in famiglia.
In questo caso le ragioni di un atto così estremo vanno ricondotte a una matrice incestuosa, che vedrà la madre confessare allo stesso psichiatra di aver svezzato suo figlio da piccolo violandone l’innocenza sessuale.
Una storia macabra, di non facile presa sul pubblico ma che ancora una volta denuncia il fascino di questa problematicità, resa icasticamente da una sapiente scrittura narrativa.
Storie gay-oriented a parte, il telefilm in questione ha ripercorso anche le prime fantasie sessuali del preadolescente Byrd (Anton Yelchin), il figlio stesso di Huff alle prese con le tentazioni degli amici (e le prime curiosità sul sesso… orale).
Il bello di un telefilm, a differenza della tv-reality che riduce le paturnie giovanili alla rincorsa per l’ultimo capo firmato o all’ambizione di diventare tronisti, è che certe tematiche possono essere affrontate con grande impatto emotivo, raggiungendo un giusto mix tra spettacolarizzazione e riflessione.
E’ per questo che gli adolescenti problematici bucano sempre lo schermo.