Dapporto, il vate che sfrutta la tv a suo piacimento
Se un tempo c’era il poeta vate, sacerdote assoluto della verità, carico di un fascinoso alone di sacralità, ora ci sono i mostri sacri del teatro – quale Massimo Dapporto può annoverarsi – che guardano dall’alto in basso la tv. Finché se lo possono permettere, direte voi, che ben venga che ci degnino di uno
Se un tempo c’era il poeta vate, sacerdote assoluto della verità, carico di un fascinoso alone di sacralità, ora ci sono i mostri sacri del teatro – quale Massimo Dapporto può annoverarsi – che guardano dall’alto in basso la tv.
Finché se lo possono permettere, direte voi, che ben venga che ci degnino di uno sguardo. Ma il sottoscritto continua a criticare l’approccio dell’attore in questione verso il suo ingaggio in Distretto di Polizia, che da austero si sta facendo astioso.
Il sospetto che Dapporto ci stia facendo a tutti un favore conferma le perplessità qui manifestate e riprese dallo stesso Sorrisi e Canzoni Tv (che abbiano tratto ispirazione da un nostro post e i suoi relativi commenti?).
Fatto sta che l’attore in questione aveva già dichiarato a Il Giornale la propria riluttanza ad entrare nel cast:
“Infatti non mi andrebbe tanto. Pensi che io Distretto di Polizia non volevo neanche farlo: mi hanno tirato per la giacca, hanno insistito. Pietro Valsecchi, il produttore della serie, mi ha messo simpaticamente alle corde. Fosse per me, insomma, mi dedicherei solo al teatro, al massimo ai film tv in due puntate. Ma il mio agente mi ha convinto ad accettare, perché il ritorno in termini di popolarità è straordinario e mi serve per riempire i palcoscenici di tutta Italia. Detto questo, non sono pentito della scelta”.
Della serie, se mi permette di guadagnare per fare le mie cose, tanto vale farmelo piacere.
Ma per risollevare le sorti della nostra tv, ora che richiamano in prima linea veterani come la Goggi, non ci vorrebbe un atto d’amore da parte dei professionisti di una volta?
Perché tutto questo snobismo? Perché sparare a zero sempre sugli stessi argomenti?
Così si crea una distanza col pubblico che, necessariamente, arriva a identificarsi con i meno ingrati e più calorosi reduci dai reality, prevedibilmente massacrati da Dapporto su Sorrisi:
“Vedo tante fiction in cui i protagonisti parlano ma non si capisce niente: sussurrano, vanno sul soffiato. Vengono dal Grande Fratello, attori improvvisati. Oggi ci si limita a fare dei fotoromanzi con il sonoro. Quelli che vanno in onda verso l’ora di pranzo. Le soap opera, tipo Vivere e Centovetrine, fatte da attori che un tempo si sarebbero fermati ai fotoromanzi di Bolero perché c’era il buon gusto di farli stare zitti. Che i giovani si chiedano se io sarò all’altezza o meno, non mi fa perdere il sonno. Pensare di essere messo in discussione come interprete di Distretto mi fa proprio sorridere”.
Fermo restando l’encomiabilità della campagna contro il nullatalento, e rinnovando il plauso a Dapporto per la sua interpretazione in Falcone, lo invitiamo a un pizzico di umiltà in più perché di questi tempi ce n’è tanto bisogno.
E, soprattutto, dovrebbe rinfrescare la sua carriera seriale, visto che Il Commissario e Ciao Professore, due delle sue più recenti fiction, sono andate maluccio e Casa Famiglia, il seguito di Un Prete tra noi, lasciava piuttosto a desiderare sia negli ascolti che in qualità (perchè va detto che le sceneggiature e le interpretazioni dei prodotti in cui ha lavorato spesso rasentavano il manierismo).
Ricordiamo tutti con affetto il buon vecchio Amico mio e ci auguriamo che per Dapporto non sia stato l’ennesimo compromesso per il raggiungimento dei suoi scopi, visto che a suo dire la televisione è un mezzo anziché un fine e gli riesce ancora più difficile riconoscersi in quella attuale (pur dominata egregiamente da altri bravi attori come Gigi Proietti, Flavio Insinna, Beppe Fiorello e Lorenzo Flaherty).
Considerato che sta approdando in una “fiction di guerra”, la classica corazzata da mandare in campo nella sfida dei palinsesti autunnali, farebbe bene già ad entrare nella parte, senza recriminazioni prima del tempo.
Altrimenti il conflitto di interessi tra arte e cachet rischierà di trasformarlo nel D’Annunzio dei tempi moderni, maestro sublime complice della società di massa.