Europa 7, la tv che non c’è
Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la storia della televisione in Italia, conosce molto bene il caso Europa 7 (per chi avesse dubbi in merito, una spiegazione esaustiva la si trova sulla voce apposita di wikipedia). Ora, il Ministro Paolo Gentiloni fa sapere, come abbiamo scritto, che presto arriverà la sentenza della Corte di
Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la storia della televisione in Italia, conosce molto bene il caso Europa 7 (per chi avesse dubbi in merito, una spiegazione esaustiva la si trova sulla voce apposita di wikipedia). Ora, il Ministro Paolo Gentiloni fa sapere, come abbiamo scritto, che presto arriverà la sentenza della Corte di giustizia Ue indirizzata al Consiglio di Stato sul ricorso di Europa 7 (sentenza che conterrà anche le disposizioni relative al mancato passaggio al digitale, come da ddl 1825. Un disegno di legge mai approvato). L’Italia rischia pesanti sanzioni per l’una e per l’altra cosa.
Ma cerchiamo di spiegare al meglio la questione Europa 7, stralciando dal sito ufficiale.
Nel luglio 1999, Francesco Di Stefano, dopo aver messo da parte i capitali derivati dalla precedente attività di syndication (12 miliardi di lire), decide di partecipare ad una gara pubblica per l’ assegnazione delle frequenze televisive nazionali, prevista dalla Legge 31 luglio 1997, n. 249. Di 17 emittenti nazionali teoriche, viene deciso che 6 sono assegnate all’emittenza locale, per cui rimangono 11 frequenze da assegnare per la trasmissione analogica su scala nazionale, 3 per la RAI e 8 per i privati. Oltre a questo rimangono libere alcune parti dello spettro usabili per la trasmissione, ma con una minore copertura del territorio, che verranno dedicate sempre alle emittenti locali .
Con Decreto Ministeriale del del 28 luglio 1999 si dichiarano le vincitrici delle concessioni: delle 11 frequenze disponibili (3 assegnate alla la RAI e 8 per i gruppi privati) Di Stefano aveva partecipato per ottenere due concessioni, Europa 7 e 7 plus, e in un primo tempo riesce a vincere una concessione per Europa 7 (settima in classifica), al posto di Rete 4 (che sta trasmettendo dall’aprile 1998 grazie alle proroghe per il passaggio al digitale previste dall’art 3 comma 6 e 7 della legge 31 luglio 1997, n. 249), la quale perde così il diritto di trasmettere. La commissione ministeriale della gara nega la richiesta per 7 plus, ma Francesco di Stefano fa ricorso al Consiglio di Stato, il quale ordina al ministero di dare anche una seconda concessione.
Le frequenze in un primo tempo non vengono subito assegnate, perché il nuovo piano delle frequenze viene ritardato, tra le altre cose, da altri ricorsi effettuati da Rete Mia, Rete Capri e Rete A (oltre a 7 Plus).
Nel frattempo, Europa 7 si prepara per iniziare le nuove trasmissioni entro il 31 dicembre 1999 come prevede la licenza: il piano prevede 700 assunzioni, un centro di produzione a Roma di 20000 mq, composto da 8 studios e un importante library di programmi (nella graduatoria Europa 7 è prima in programmazione).
Europa 7, che, al contrario del servizio pubblico e di altri concessionari privati, non trasmette già su scala nazionale, deve tuttavia attendere il piano di assegnazione delle frequenze per poter iniziare le trasmissioni: il ministero, contravvenendo al risultato della gara pubblica non concede le frequenze, che continuano ad essere impiegate dalle “reti eccedenti” (Rete 4 e Tele+ nero) e con una autorizzazione ministeriale del 1999 (non prevista da nessuna legge) permette la prosecuzione delle trasmissioni analogiche a Rete 4, che in base alla gara pubblica non ne aveva diritto. Il ministero comunque, in una nota del 22 dicembre 1999, si impegnava con Centro Europa 7 perché in breve tempo si arrivasse “di concerto con l’Autorità, alla definizione del programma di adeguamento al piano d’assegnazione delle frequenze”. Europa 7 ricorrerà contro questa nota, e il Tar, nel 2004 (sentenza n. 9325/04), gli darà ragione, sostenendo che il Ministero doveva assegnare subito le frequenze una volta deciso di dargli la concessione, e non rimandare la cosa senza una apparente motivazione.