La tv dei ragazzi non c’è più
In una tv pomeridiana sempre più urlata e “sgomitante”, responsabile almeno in parte del degrado giovanile attuale, abbiamo tanta nostalgia della tv dei ragazzi. Questo genere televisivo ormai dimenticato ha una sua veneranda storia, che risale agli anni del baby boom. Se prima della seconda guerra mondiale i giovani avevano poca libertà ed influenza, il
In una tv pomeridiana sempre più urlata e “sgomitante”, responsabile almeno in parte del degrado giovanile attuale, abbiamo tanta nostalgia della tv dei ragazzi. Questo genere televisivo ormai dimenticato ha una sua veneranda storia, che risale agli anni del baby boom. Se prima della seconda guerra mondiale i giovani avevano poca libertà ed influenza, il grande incremento demografico verificatosi fra il 1950 ed il 1960 fece in modo che i giovani assumessero maggiore importanza e potere di acquisto.
Erano anche gli anni del miracolo economico e i bambini economicamente più fortunati potevano invitare a casa i loro compagni di scuola per guardare la tv dei ragazzi, dalle 16.00 alle 17.00.
Gran parte del palinsesto era dedicata a programmi educativi o divertenti, pochi cartoni animati e alcuni sceneggiati musicali come La nonna del Corsaro Nero (Salgari), Gian Burrasca (Vamba). La sera si andava a dormire molto presto e, come tutti sappiamo, la frase ricorrente era: “dopo Carosello tutti a letto”.
Intanto, la stessa pedagogia consigliava ai genitori di rinunciare al controllo dei bambini attraverso punizioni e ricompense, e di esaudire il loro desiderio di ottenere regali e libertà così da evitare traumi psichici negli anni a venire. Dunque, posto che per ogni bambino il confronto con i coetanei avveniva già attraverso l’esibizione del possesso e l’ostentazione del proprio status sociale, la televisione si preoccupava di orientare i consumi verso obiettivi costruttivi e valori autentici.
E’ così che negli States, nel 1995, comparve con grande successo nella televisione americana Disney’s Mickey Club (Il club di Topolino), in cui i cartoni animati e i telefilm della casa venivano presentati in un clima di appartenenza a una tribù di ragazzi e di personaggi di cartone. L’intento era quello di favorire una cultura della socialità nei più piccoli attraverso una fruizione aggregata e condivisa. Mickey Club, una sorta di antesignano del nostro Disney Club, fu il primo di una lunga serie di programmi, animati e non, che dal 1982 furono trasferiti sul canale a pagamento Disney Channel.
Ma già da allora non tutti i programmi per ragazzi avevano queste qualità e, soprattutto, i bambini non si limitavano a guardare i programmi loro dedicati, visto che la fascia oraria in cui si registrava più pubblico giovane in ascolto era proprio la prima serata.
Negli anni ’60 gli Usa furono scossi da un’ondata di disordine, in gran parte razziale, e varie autorità accusarono la tv di educare i minori alla violenza, riprendendo preoccupazioni precedentemente rivolte al cinema e ai fumetti. Con speciali fondi governativi, un’attività di ricerca tendò di stabilire il nesso casuale intercorrente tra esposizione alla violenza televisiva e comportamenti aggressivi, senza riuscire effettivamente a dimostrarlo. Nel tentativo di creare un’oasi catodica senza violenza fu realizzata nel 1969 la televisione pubblica Pbs (Public Broadcasting Service), come collegamento nazionale di una rete di televisioni educative. Da essa nacque Sesame Street, prodotto a New York dal Laboratorio per la televisione dei bambini, intreccio di personaggi animati e in carne e ossa con il ritmo della tv commerciale che è passato alla storia come il migliore e più longevo prodotto per ragazzi.
Tuttavia, per ragioni di basso costo non si poteva fare a meno di importare dai paesi asiatici, Giappone fra tutti, cartoni dai contenuti più violenti. In più, la diffusione di materie plastiche, realizzate a prezzi minimi in Asia, iniziò a trasformare le serie televisive in lunghissimi spot dei giocattoli, con le industrie che premevano per la realizzazione di programmi aventi come protagonisti i brand acquistati nei negozi.
Anche in Europa, inizialmente sorvegliatissima, la programmazione per ragazzi è stata sconvolta dall’arrivo delle televisioni privat (maggiormente allo sbando laddove è mancata l’azione regolatrice statale), senza alcuna cautela nei contenuti delle fasce accessibili ai più piccoli. La disponibilità di un vasto magazzino di cartoni giapponesi e la sinergia con le produzioni di giocattoli ha fatto scattare l’invasione degli anime, via via oggetto di censura e ostracismo dai movimenti genitori. La prima mobilitazione in tal senso si giovava ancora delle argomentazioni di Karl Popper, autore di un famoso pamphlet antitelevisivo.
Se negli Stati Uniti e in Canada è stato introdotto il V-chip, un dispositivo elettronico per filtrare i programmi violenti, il Parlamento Europeo ha preferito evitare certi automatismi. Dalla direttiva Tv senza frontiere del 1997 si sono, invece, diffuse forme di autoregolamentazione, con la segnaletica sullo schermo per classificare i programmi e l’istituzione di fasce protette.
Perchè abbiamo voluto aprire questa lunga parentesi divulgativa?
E’ presto detto. Proprio in questi giorni l’annunciata sospensione dei cartoni animati di Italia1, prevista la settimana prossima per la concomitanza dello Zecchino d’oro, ha sollevato tra i nostri lettori una protesta nostalgica. In molti rimpiangono la leadership dei cartoon, oggi sempre più marginali, nei vecchi pomeriggi televisivi della tv commerciale, inizialmente su Canale 5 e poi nella rete giovane Mediaset. Ma ovviamente lo stesso discorso riguarda anche la Rai, che un tempo non aveva bisogno di rotocalchi frivoli per riempire la programmazione pomeridiana e metteva al primo posto l’intrattenimento per i più piccoli. I modernisti diranno che i tempi sono cambiati e tanto vale accontentarsi dell’ininterrotto successo dei Simpson o delle repliche sempreverdi di Dragon Ball. Eppure, quel che più manca è il sottotesto creativo da cui le vecchie glorie cartooniane di una volta ricevevano una precisa chiave di lettura. E a dare questo sottotesto erano i contenitori per ragazzi.
Ne ripercorreremo gradualmente la storia, chiedendoci se, più che mettere i lucchetti al cinismo della nuova generazione, si possa ancora confidare in una tv che dia messaggi positivi ed educativi.
Se con la diffusione di Internet, le preoccupazioni dei movimenti di opinione sui pericoli corsi dai bambini si stanno trasferendo dalla tv al web, si sente la mancanza di programmi che educhino ai media e all’uso della community in rete, sempre più invasa da sbarbatelli allo sbando che crescono a pane e Amici.
[fonte La Televisione di Enrico Menduni]