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I sacerdoti possono guardare I Simpson

Cinismo, sarcasmo, irriverenza e…teologia. Oltre alla filosofia ed alla scienza (già trattati con opportuni libri), “I Simpson” ora diventano portavoci anche di una loro personalissima teologia, fatta di comunità, valori e famiglia.Ad affermarlo dalle pagine della rivista “Jesus” è Brunetto Salvarani, che si sofferma non tanto su quegli aspetti che spesso, negli anni passati, hanno

4 Febbraio 2008 08:30

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I SimpsonCinismo, sarcasmo, irriverenza e…teologia. Oltre alla filosofia ed alla scienza (già trattati con opportuni libri), “I Simpson” ora diventano portavoci anche di una loro personalissima teologia, fatta di comunità, valori e famiglia.

Ad affermarlo dalle pagine della rivista “Jesus” è Brunetto Salvarani, che si sofferma non tanto su quegli aspetti che spesso, negli anni passati, hanno fatto storcere il naso a molti, quanto piuttosto su quegli elementi che hanno reso la serie ideata da Matt Groening “la migliore del ventesimo secolo” secondo il “Time” e, al di là del titolo provocatorio di questo post, gli aspetti a suo parere degni di osservazioni teologico-culturali.

Nella sua interessante analisi, Salvarani infatti mette in luce le numerose battute e colpi sferrati da Homer alle istituzioni religiose, sostenendo però, appunto, che
“In realtà, a essere presa di mira non è tanto l’istituzione Chiesa, ma i suoi rappresentanti”.

Nell’universo dei Simpson, di cui ora Italia1 sta trasmettendo gli episodi inediti della diciottesima stagione, ci sono tutte quelle componenti che fanno pensare ad una vera e propria comunità,

“una compagnia di amici più che di concittadini, con tanto di mito fondatore, feste ricorrenti e tradizioni locali. E fungono da conferme viventi che il soprannaturale e le sue deviazioni fanno parte a pieno titolo del teatro della quotidianità, ed è assai più interessante imparare a gestirli che temerli ossessivamente”.

Uno dei segreti della famiglia più amata d’America, osserva l’autore, è quindi il rappresentare in chiave post-moderna la società nella quale viviamo, puntando il dito contro tutto e tutti, senza mezzi termini. Ciò vuol dire non solo attaccare anche l’inattaccabile, ma avere uno sfondo che permetta di farlo.

E questo sfondo, per quanto in ogni episodio (e nel film) appaia sconclusionato e fuori da ogni regola del vivere civile, alla fine trova il proprio ordine nel nucleo familiare dove, come in ogni finale della sigla -la mitica “gag del divano”- i cinque protagonisti si ritrovano seduti l’uno accanto all’altro, ritrovando anche negli altri la propria identità. Come dice Salvarani, infatti,

“Il nucleo familiare, per sgarrupato che sia, come bene-rifugio, investimento a lungo termine, àncora di salvezza in un universo denso di trappole: per dirla con un proverbio inglese, «east, west, / home’s best»”.

E’ incredibile come una serie televisiva inizialmente bistrattata e criticata da molti, abbia col tempo fatto ricredere quasi tutti, fino ad essere menzionati in libri e tesi di laurea. Ci mancava, è proprio il caso di dirlo, la benedizione dei sacerdoti.

[Via TgCom]
[l’articolo di Brunetto Salvarani]

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