Amici continua a spaccare il pubblico (e la critica)
Amici è una trasmissione che spacca, in tutti i sensi. Spacca l’Auditel, tant’è che si mormora della richiesta di Mediaset di altre tre puntate, in aggiunta a quelle previste (resta solo da chiedersi come faranno ad allungare il brodo, salvo ripescaggi o eliminazioni col contagocce). Spacca il pubblico, che la segue in modo viscerale o
Amici è una trasmissione che spacca, in tutti i sensi. Spacca l’Auditel, tant’è che si mormora della richiesta di Mediaset di altre tre puntate, in aggiunta a quelle previste (resta solo da chiedersi come faranno ad allungare il brodo, salvo ripescaggi o eliminazioni col contagocce). Spacca il pubblico, che la segue in modo viscerale o vittimista, adorante o diffidente (ce ne rendiamo conto come blogger tutti i giorni). Spacca la commissione, con Garrison che ammette al Sorrisi e Canzoni di sentirsi dire ogni giorno che sta perdendo la credibilità, mentre dietro le quinte conversa amabilmente con la Celentano e ammette di averla raccomandata quando subentrò alla Brescia.
Ma, soprattutto, spacca la critica. Antonio Dipollina ne stigmatizza la deriva, sostenendo che un ragazzo talentuoso che ama farsi i fatti propri non verrebbe mai preso. Ma persino un critico cinematografico raffinato come Italo Moscati, cultore dello zapping compulsivo ma ragionato, non ha potuto resisterle domenica sera, interpretandone il segreto del successo nella stessa peculiarità onomastica del titolo: la disamicizia.
Rivalità, competizioni, sfide sono ormai il format. Alla vigilia di X Factor persino a Maria De Filippi non preme più parlare di talent show. Questo le serviva ai tempi della crisi del reality, per giustificare le distanze del suo programma da ogni rischio di flop. Ma, nell’anno in cui più si è abusato del termine talento, dal brutto Celebrity di Canino all’inutile Talentuno con Tommy Vee passando per i Fuoriclasse senz’anima di Conti, nella scuola di Cinecittà si è puntato tutto sulla personalità.
Amici vive ormai di vita propria, non ha bisogno di etichette né di comparazioni. Esiste e continua a funzionare, perché interpreta il gusto della rissa repressa del vivere contemporaneo. Spesso e volentieri non ci piace vedere sullo schermo reazioni brutali che fanno parte del nostro inconscio. Soffocandole nel quotidiano, ce ne facciamo sedurre in tv, per quel malefico spirito di morbosa attrazione che la De Filippi ha trasformato nel proprio marchio di fabbrica. Senza aver paura che qualcuno le rubi un’idea connaturata nella sua inimitabile identità catodica.
Poi finisce che persino il regista Paolo Pietrangeli, che nel ’68 componeva la colonna sonora del movimento studentesco e poi è stato arruolato dall’intera famiglia Costanzo, si confronta ogni giorno con il senso di colpa:
“Delle cinque mail che ricevo ogni giorno, almeno una mi chiede perché faccio programmi come Amici o C’è posta pe te. La mia risposta è che grazie a questo lavoro posso ancora fare canzoni. E poi mi diverto. Come altra tv considerata, a torto o a ragione, orrenda, Amici riesce a rappresentare un Paese molto più di programmi e film che si mettono a elucubrare sulla società. Il mio principio è: raccontare bene quello che ho davanti. Ma forse dico questo per salvarmi l’anima. Tra tv alta e tv bassa le strutture narrative sono le stesse: dopo tot minuti ci vuole il pianto, poi il momento più rilassato… La differenza è che la tv alta è più spudorata nel raccontare nefandezze. Ho chiesto solo di avvertire i ragazzi che esistono anche altri modelli, oltre quelli televisivi. I cantnati sono cloni di Giorgia, Gigi D’Alessio ed Eros Ramazzotti e i ballerini si rifanno solo al varietà del sabato sera. Non so se ascolteranno il consiglio”.
Quando, però, gli chiedono se è contento del continuo pollaio, ammette seraficamente che, “quando litigano, l’ascolto è più alto”. Un po’ come quando siamo con i nostri amici, veri o tarocchi, e scatta la maretta tra alcuni membri del gruppo. Non conta chi si merita la ragione e chi il torto. L’atmosfera si riscalda, le orecchie si spalancano. E un po’ ci vergogniamo, ma giusto quel tanto che basta per non ammettere a noi stessi che ci voleva proprio. Un diversivo per scacciare la noia.