“La ruota della fortuna”: i motivi del successo
“La ruota della fortuna” si è dimostrata la vera rivelazione dell’access prime time (tanto da riproporlo senza margini di dubbio il prossimo autunno), in grado di raccogliere ottimi risultati in una fascia oraria molto difficile. Un programma ripensato in modo strategico per accogliere due tipi di pubblico: gli “stufi” di Affari Tuoi e gran parte
“La ruota della fortuna” si è dimostrata la vera rivelazione dell’access prime time (tanto da riproporlo senza margini di dubbio il prossimo autunno), in grado di raccogliere ottimi risultati in una fascia oraria molto difficile. Un programma ripensato in modo strategico per accogliere due tipi di pubblico: gli “stufi” di Affari Tuoi e gran parte del pubblico ballerino con i tasti del telecomando nel dopo cena.
Tutto nasce dalla riproposizione di un gioco storico, completamente spogliato di ogni interesse estetico come una vecchia cascina diroccata e ricostruito ad hoc per ritrovare il gusto nostalgico di un gioco amato e la modernità costruita attorno ad un format nato in America nel ’75, portato in Italia nell’87 e nel 2003. L’aria fresca e un po’ troppo plastificata del vecchio studio è stato sostituito da un’atmosfera molto più moderna, simile a “Chi vuole essere milionario?“. Uno studio molto sobrio accompagnato da una regia dinamica che cerca di dare un approccio ancora più nuovo a tutto l’impianto.
Un presentatore, Enrico Papi, che gestisce la ripetitività del gioco in maniera brillante, rapida e chiara con una valletta che è il fulcro di tutta la trasmissione: Victoria Silvstedt. Se qualcuno pensava che gli italiani fossero pronti a superare il luogo comune della donna straniera “bella e scema”, la prosperosa ex coniglietta di Playboy è l’elemento senza il quale tutta la trasmissione perderebbe il suo appeal. Non è solo una questione di curve in bella mostra.
“La ruota della fortuna“, nella sua natura, è un game show che si può seguire senza attenzione, focalizzando la graduale scoperta della frase nascosta e dimenticandosi dei concorrenti e della loro vittoria, puro accessorio. Il nostro esercizio enigmistico viene accompagnato dalla perfetta interazione alla “Pupa e il secchione” del duo Papi-Silvstedt, dove complice il ruolo di Vittoria, il suo cattivo italiano e la sua rinomata storia professionale alle spalle, portano a creare un continuo gioco di ambiguità, ammiccamenti, stupidaggini dette nella totale spontaneità e qualche battuta ben assestata di risposta al presentatore per far capire che non è proprio in un altro pianeta. E se non la capisce, stringe le labbra, fa l’occhiolino avvicinando i gomiti (e di conseguenza i seni) e non c’è bisogno d’altro.
Se il gioco finale con il ruotino non fosse per lo più impossibile e se “La Caverna“, mini gioco nel gioco dove il concorrente può vincere oggetti materiali su un massimo valore determinato dallo spicchio di ruota, non fosse quasi imbarazzante, tutto sarebbe ancora più perfetto nella sua missione: incuriosire, ingrifare e far sorridere ad un ritmo sostenuto anche il pubblico giovanile. Lo stesso che dovrebbe vedere X Factor?